
L'avvocato e il gentiluomo
Tirare la corda o fare il governo? Il Cav. fra due linee e due consiglieri
E il più ascoltato divenne l’avvocato (e onorevole) Niccolò Ghedini. Tornato in Italia, a Roma, nel suo Castello, circondato dalla corte tutta, Silvio Berlusconi ha bloccato per un po’ la trattativa sulla composizione del nuovo governo, ha alzato la posta, malgrado il tono e la sicumera fossero in realtà soltanto l’effetto del timore dei giudici di Milano, della loro marcia inarrestabile e della tenaglia berlusconicida che alcuni temono si possa serrare.
E il più ascoltato divenne l’avvocato (e onorevole) Niccolò Ghedini. Tornato in Italia, a Roma, nel suo Castello, circondato dalla corte tutta, Silvio Berlusconi ha bloccato per un po’ la trattativa sulla composizione del nuovo governo, ha alzato la posta, malgrado il tono e la sicumera fossero in realtà soltanto l’effetto del timore dei giudici di Milano, della loro marcia inarrestabile e della tenaglia berlusconicida che alcuni temono si possa serrare. “Vorrei entrare nel governo, potrei fare il ministro degli Esteri”, ha detto ieri il Cavaliere di fronte ai suoi uomini. Berlusconi ha trasmesso per vie interne il senso dell’assedio di cui si sente vittima, ma dopo aver ipotizzato la linea dura, teorizzata dai suoi avvocati, a tarda sera ha poi cambiato idea e ha recuperato i toni della moderazione che gli suggerisce Gianni Letta.
Dietro le posizioni dei falchi, quelle più toste, si intravvede il profilo avvocatesco di Niccolò Ghedini, lui che considera questi negoziati politici sulla formazione del governo un’occasione insperata nella logica difensiva del suo assistito. Ghedini ha trasmesso con forza al Cavaliere il sospetto, fondato, che la Corte di cassazione non sposti a Brescia i processi nei quali Berlusconi è imputato a Milano. I difensori osservano preoccupati l’avanzare minaccioso del tribunale e dunque suggeriscono di mettersi al riparo: tirare la corda nei negoziati col Pd per ottenere il più possibile, delle garanzie, magari, chissà, persino il ministero della Giustizia. O altri posti chiave. Ma alcuni non sono d’accordo. C’è chi sostiene – tra questi Gianni Letta – che Berlusconi avrebbe vita più facile fuori dal governo, protetto da una nuova logica di sistema, dalla svolta di Napolitano ed Enrico Letta, dal loro esecutivo di pacificazione nazionale, dal clima complessivo nel paese. Ma l’ala dura del Pdl, e il collegio difensivo del Cavaliere, un po’ soffiano sulle paure e sui timori comprensibili di un Berlusconi che si sente braccato, sotto violentissimo attacco. “Se non lo vogliono nel governo, Napolitano potrebbe farlo senatore a vita”, dicono. Ma non è ancora la linea ufficiale. A Palazzo Grazioli gli uomini del Pdl, sotto gli occhi del Cav., ieri hanno quasi litigato tra loro.
“Ci sono troppi veti su Berlusconi”, sussurra Michaela Biancofiore coordinatrice regionale del Trentino, deputata sempre più inserita nei meccanismi decisionali del partito ed esponente del gruppo delle cosiddette “amazzoni” le donne potentissime del Pdl. “Troppi veti”, dunque. La strategia di proporre Berlusconi nel governo, di chiedere per il Cavaliere il ministero dell’Economia o degli Esteri, ieri sera, in tutta la sua stranezza (quasi follia), è servita soltanto a inquietare e forse ammorbidire i negoziatori del Pd. Ma ha avuto anche un altro effetto: ha fatto litigare tra loro i dirigenti del Pdl riuniti con Berlusconi attorno a un grande tavolo di Palazzo Grazioli.
Gianni Letta, sempre silenzioso e garbato, non ha detto una parola in pubblico, non ha contraddetto la linea durissima dell’avvocato Niccolò Ghedini, che consigliava di tirare al massimo la corda, di mettere persino a rischio la formazione del nuovo governo. Letta, il gran visir, ha poi semplicemente preso da parte il Cavaliere e ha versato con precisione i suoi consigli sempre pettinati nelle orecchie del grande capo. Berlusconi ha ascoltato, e ha poi in parte anche modificato le sue inclinazioni più bellicose. Ma non tutti ieri sera sono stati diplomatici come Letta. Fabrizio Cicchitto, il grande vecchio socialista, amico vero del Cavaliere, a un certo punto si è quasi alzato in piedi dalla rabbia ed è intervenuto contro Ghedini ricorrendo a una serie di sfumature, e di parole, non precisamente garbate nei confronti dell’onorevole e avvocato, il primo teorico della linea di difesa politico-giudiziaria del Cavaliere. “Questo governo si deve fare”, dice Cicchitto, “e deve essere un grande investimento di Berlusconi, un governo di pacificazione nazionale. E’ l’unico modo per venire fuori da tutto il macello della Seconda Repubblica”. E’ l’unico modo, sembra dire l’ex capogruppo del Pdl alla Camera, anche per mettere in sicurezza il Cavaliere.


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