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Twitter non esiste
Federico Sarica: In un crescendo culminato in questi giorni, Twitter ha magicamente conquistato la scena dei media e della politica: lunedì il social network era in un titolo di prima pagina del Corriere, lo stesso giorno Matteo Renzi a pagina 2 di Repubblica diceva di sognare un Partito democratico capace di dettare la linea alla Rete, e dei parlamentari altrettanto capaci di non tremare a ogni cinguettìo. La prima domanda che vorrei fare a Luca Sofri è come si sia arrivati a tutto questo.
Luca Sofri: Intanto bisogna capire dove siamo arrivati, perché mi sembra che in questo dibattito siano finiti parecchi temi diversi.
Pubblichiamo la trascrizione del talk “Assidui di Twitter, vizi e virtù”, a cura di Rivista Studio e Isbn Edizioni, che si è svolto il 22 aprile scorso a Milano. Partecipano Luca Sofri, direttore del Post, e Serena Danna, giornalista del Corriere della Sera, moderati da Federico Sarica, direttore di Studio.
Federico Sarica: In un crescendo culminato in questi giorni, Twitter ha magicamente conquistato la scena dei media e della politica: lunedì il social network era in un titolo di prima pagina del Corriere, lo stesso giorno Matteo Renzi a pagina 2 di Repubblica diceva di sognare un Partito democratico capace di dettare la linea alla Rete, e dei parlamentari altrettanto capaci di non tremare a ogni cinguettìo. E ancora il tweet di Barca che ha fatto scalpore, Bersani che ha chiesto ai suoi di stare meno su Twitter. La prima domanda che vorrei fare a Luca Sofri è come si sia arrivati a tutto questo.
Luca Sofri: Intanto bisogna capire dove siamo arrivati, perché mi sembra che in questo dibattito siano finiti parecchi temi diversi. C’è una tendenza della stampa e dei media a cavalcare il tormentone che suona particolarmente efficace, perciò tutto ciò che gira intorno a Twitter in questo periodo fa molto notizia e fa molto “titolo” – così come in periodi precedenti lo era tutto ciò che avveniva intorno a Facebook. La settimana scorsa però, quando è stata affondata la candidatura Marini, a molte persone – l’abbiamo fatto notare io sul mio blog, Filippo Sensi su Europa, Martinetti sulla Stampa – è sembrato che ci fosse stato un salto di qualità nella discussione. Io sono sempre molto diffidente dell’enfasi che si dà a Internet sui giornali. Però in quel caso lì mi era sembrato che l’affossamento di Franco Marini fosse effettivamente figlio di una grande pressione che era arrivata sui grandi elettori via Internet, e questa si doveva soprattutto al fatto che i politici hanno scoperto Twitter e ne sono diventati parte. Non è ancora il mondo – come non lo era due anni fa – perché non ne è che un pezzetto, è una bolla. Solo che prima era una bolla che non frequentavano, e quindi trovavano estranea, mentre adesso sono dentro quella bolla e la sentono molto presente. Credo davvero che la settimana scorsa, se non ci fosse stato Internet, Marini sarebbe diventato presidente della Repubblica, e lo dico pensando a tutta una serie di meccanismi di pressione e contropressione, di tweet che arrivavano dalla difficile riunione del Pd di giovedì scorso. L’obiezione più forte che ho letto in questi giorni è che se davvero Twitter avesse influenzato l’elezione del presidente, allora sarebbe passato Rodotà, vista la spinta che c’era per il suo nome, o la Bonino. In realtà secondo me quest’obiezione è infondata e rivela la sostanza della questione – che non è tanto Twitter o non Twitter, ma quanto sia diventata importante la paura del dissenso e la paura della contestazione nella politica italiana. Gli interventi e le scelte della nostra politica sono improntati palesemente alla ricerca del consenso – tanto è vero che le famose “scelte impopolari” non sa farle più nessuno ormai, e siamo arrivati al punto che il governo Monti è stato nominato sulla tesi che nessuno dei partiti sarebbe stato in grado di fare queste scelte per paura del dissenso. La paura del dissenso è diventata altissima in conseguenza a una maggiore fragilità umana e di un minore spessore psicologico nostro e dei nostri rappresentanti – e quel dissenso oggi è presentissimo: Dario Franceschini, che come avete visto è stato molto contestato in una trattoria, io l’avevo incontrato due settimane prima e mi aveva detto esattamente questa cosa. Sintetizzo: “Siamo diventati dipendenti da tutti gli input che ci arrivano dalla Rete”. L’obiezione che viene fatta a questa considerazione è: “E’ giusto, dovete sapere cosa pensano e vogliono i cittadini”. Il problema è che questi messaggi arrivano con grande forza e insistenza e sono in gran parte critici e negativi. Tutti noi siamo più abituati a esprimere critiche negative, un po’ perché la critica negativa è un’affermazione di sé, diversamente da quella positiva. Su questo si innesta un’insicurezza dei politici che fa loro subire tutto questo. Non è che ricevono i messaggi, ne fanno le valutazione del caso e poi fanno le scelte più oculate; ne sono molto pressati e spaventati, non hanno la sicurezza e la maturità di colui che in mezzo alla battaglia ha una visione d’insieme e capisce cosa deve fare anche se gli fischiano gli spari intorno. No: terrorizzato dal fischio degli spari, se la batte immediatamente, perdendo una battaglia che si poteva vincere. In questo dibattito Twitter è un’occasione per discutere del terrore del dissenso in un periodo in cui questo stesso dissenso diventa molto preoccupante. Abbiamo tutti sostenuto per anni che bisognava ribellarsi, che bisognava incazzarsi, che c’era un regime; quando improvvisamente quelli a cui abbiamo detto di incazzarsi, ribellarsi e contestare sono venuti a incazzarsi, ribellarsi e contestare noi, avremmo voluto dirgli: “No, ma non con noi!”. Penso che sia questo il discorso, che prescinde da Twitter, anche se ovviamente il mezzo è importante.
Sarica: A proposito di questo, tu hai giustamente nominato più volte la Rete. Questa Rete con la R maiuscola, il “popolo della Rete”, che è un po’ l’allargamento di quello di Twitter. Serena Danna sul Corriere qualche giorno fa ha scritto un fondo in merito a questa fantomatica Rete. Le chiederei di riassumercene il concetto di fondo.
Serena Danna: Innanzitutto la genesi dell’articolo. Domenica mattina accendo la tv: conferenza stampa di Mario Monti che presenta la candidatura di Anna Maria Cancellieri. Vado in cucina a fare il caffè e di sottofondo inizio a sentire: “Perché la Rete ce l’ha chiesto”, “questa è una candidatura che è emersa con forza dalla Rete”, fino a un crescendo di donne e Rete, donne e Rete. Monti, se vogliamo, per alcuni aspetti è il simbolo dello spaesamento che c’è nei confronti di questi mondi: l’uomo che noi avevamo conosciuto come l’immagine dell’austerità, il professore, a un certo punto arriva su Twitter e comincia a scrivere come un ragazzino. Perché gli hanno detto che, per questioni di consenso, è obbligatorio fare così. Il che ha portato alla domanda collettiva: “Ma è lo stesso Mario Monti o un altro?”, esattamente la stessa sensazione che ho provato domenica mattina vedendo l’ex serioso premier che parlava della “Rete” e delle “donne” in una maniera che gli consentiva di sembrare “sul pezzo”. Ho pensato che poteva essere doveroso provare a fare un po’ di chiarezza coi lettori. Il punto di partenza è che ci sono 20 milioni di persone che non usano Internet. Mia madre, che è peraltro una persona laureata, non usa Internet – e se pensate alla vostra famiglia ci sarà sicuramente uno zio o una zia che si comporta allo stesso modo. In più, statisticamente, anche fra quei milioni che usano Internet, ce ne sono molti che non si pongono il problema di cosa sia o meno “la Rete” di fatto. Anche perché questa fantomatica Rete non esiste. Voglio dire, io immagino il dramma del politico che si sveglia e non sa come sta la gente e per avere un po’ di polso va su Internet, legge il tweet di Luca Sofri che gli dice “anche questa volta avete fatto una stronzata”, va in crisi, chiama il collega di partito e inizia la discussione su quello. Ma il problema, appunto, viene da una classe politica spaesata, che a un certo punto dopo l’arrivo di Beppe Grillo, invece di provare a ragionare su altro e trovare altri terreni di scontro – ce ne sono tantissimi su cui batterlo – ha cominciato a inseguire il Movimento 5 stelle su tematiche che non domina (generalizzo, poi sicuramente ci sono politici bravi che sanno gestire bene i social network, ovviamente). L’errore è quello di identificare una minoranza con l’umore della gente, le persone con la “Rete”. Che, come abbiamo già detto, non esiste.
Sarica: Faccio una domanda a Sofri riallacciandomi alle ultime cose che ha detto Serena Danna, a proposito del rischio che adesso, siccome una serie di politici risultano goffi mentre un’altra serie invece risulta avere un marcia in più sui social network, la grossa sfida si giochi anche su questo terreno. C’è qualcuno che sta prospettando questo scenario, mi pare fosse Antonio Polito che metteva in luce come, secondo lui, Renzi e Barca – ennesimo duello del centrosinistra italiano – si sfideranno sul “partito pesante” di uno e sull’essere “smart” dell’altro. Lui spostava – e non solo lui: lo stanno facendo in molti – la battaglia del centrosinistra sostanzialmente sul terreno di chi sa usare certi mezzi e chi no. Secondo te questa cosa è verosimile oppure siamo al di là del grottesco?
Sofri: Io trovo che siano tempi in cui crescono parallelamente e in conflitto una tendenza alla sempre maggior complessità delle cose e una tendenza invece alle letture sempre più schematiche. Dovremmo sfuggire un po’ a queste sistematizzazioni, come quella – ormai mi sembra in parte superata – per cui esiste il “popolo della Rete” e “il popolo non della Rete”. Internet ormai 4 anni fa è diventata una cosa mainstream, soprattutto grazie a Facebook: sono arrivate quantità di persone che prima utilizzavano Internet poco o niente e per cui Facebook è diventato Internet. Non erano più i fighetti geek, erano le stesse persone che poi qualunque politico incontrava al mercato e al bar, però quando doveva parlarne faceva la distinzione fra le persone al mercato, il territorio e le nicchie di Internet. Ha ragione Serena quando dice che è quantitativamente poco rappresentativo quel campione, però non è più qualitativamente così distante. E’ più piccolo dei 60 milioni di italiani, però c’è dentro di tutto e qualunque cosa. Il problema è che fa sentire molto la sua voce. Per questo capisco certe reazioni dei politici; nel momento in cui tu cominci ad avere 50 mila, 100 mila, 300 mila, 600 mila follower, le cose cambiano in modi che non si possono prevedere. L’altro giorno mi ha colpito Giacomelli del Partito democratico, che ha scritto una cosa che mi sembrava una fesseria: aveva associato gli abbattimenti di Marini e di Prodi, dicendo che erano entrambi gravi. Io ho segnalato che i franchi tiratori erano quelli di un caso, gli altri erano persone che avevano espresso il loro dissenso pubblicamente e con una certa coerenza. Lui ha sostenuto che quando c’è una scelta a maggioranza tutti quanti devono seguirla a meno che non si tratti di questioni di coscienza. Ma nel momento in cui l’ho ritwittato, naturalmente le sue opinioni sono circolate e hanno cominciato a scrivergli e rispondergli in tantissimi. E lui s’è messo a rispondere a tutti, uno per uno. Questa cosa è clamorosamente tentatrice. Io sono sicuro che Giacomelli, così come me, non fa queste cose per ragioni di demagogia ma perché se hai persone che ti dicono delle cose, a te viene da rispondere. E fra quelle persone c’è qualunque cosa: da uno molto intelligente che ti fa un’obiezione che rimette in discussione ciò che hai detto, a uno che non ti convince tanto ma ti dà elementi per capire quali possano essere le debolezze delle obiezioni. Quella è la cosa più interessante del confronto in Rete in generale. Le cose buone che ne trai capitano, ma sono molto poche. Per chi fa un lavoro come il mio – dove c’è una gran parte di commento, opinione, polemica – tutto ciò ti aiuta a verificare preventivamente quali sono le obiezioni che puoi ricevere e le eventuali fragilità del tuo discorso. Ti viene da rispondere a tutti quanti, per una passione e tentazione alla conversazione: uno mi dice una cosa, io ci parlo. Solo che molte volte ti accorgi solo al terzo scambio che quello è cretino – perché ci sono – che quello è aggressivo, spiacevole, sgradevole – perché ci sono. Ed io, lo dico senza presunzione, sono io nel senso che frequento questi ambiti da tempo, dovrei essere un po’ vaccinato. Passo tempo a dire alle persone più varie, dai miei parenti ai blogger del Post: “Fregatevene, non è un problema, capita, ci sono i rompicoglioni, lasciate stare, non vi rovinate la giornata per un commento così”. Glielo dico tutto il tempo e predico tanto su questo, ma in realtà capisco benissimo questo meccanismo. Uno fino a dieci anni fa una cosa la diceva in un bar di Pesaro a un suo amico – e tu non l’avresti mai saputa. Adesso improvvisamente le sai tutte e ti arrivano tutte insieme. E’ complicato, e genera ansie, perdite di tempo e agitazioni in chiunque lo viva. Figuriamoci nei politici che sono i primi soggetti/oggetti dell’eventuale critica. Io ancora posso dire a qualcuno: “Non mi rompere, faccio quello che mi pare”, ma il politico è lì esattamente in nome del fatto che deve rispondere, rappresentare, “ti ho eletto io”. Non lo vorrei mai fare il politico, perché non sono tagliato per “essere vostro” e di nessuno. Loro mi sembrano completamente perduti su questo fronte, e lo trovo umanamente comprensibile. Poi andiamo dicendo da un sacco di tempo che i politici in realtà dovrebbero essere straordinari e sovrumani, quindi dovrebbe essere questa la cosa da risolvere.
Sarica: Vorrei sapere da Serena Danna quanto il fatto di lavorare per un’istituzione come il Corriere della Sera – e soprattutto essere conosciuta come la voce del Corriere su questi fenomeni – condizioni il suo essere su Twitter.
Danna: Vuoi la verità? Zero. Quando mi sono iscritta non avevo mai avuto un blog, Facebook l’ho aperto per rimanere in contatto con gli amici dell’Erasmus. Non l’ho fatto da studiosa, ma da persona che sperimenta dei nuovi territori. Ed è avvenuto tutto in maniera abbastanza naturale, non mi lascio condizionare. Chiaramente ora le persone si aspettano qualcosa da me, non mi posso permettere di dire la prima cosa che mi viene in mente su un argomento perché ho dei lettori con cui ho instaurato dei rapporti di fiducia. E questo lo sento. Ma l’unica responsabilità la sento nei loro confronti. So di essere diventata per le persone che mi seguono una voce interessante su alcuni temi e provo a non deluderli. Però per me è stato tutto estremamente naturale: pian piano ho capito chi volevo seguire. La mattina quando mi sveglio lo guardo perché seguo tutta una rete di persone…
Sofri: E’ la versione contemporanea delle agenzie.
Danna: Assolutamente. Con la differenza che il filtro dell’agenzia è estremamente ampio: per quanto tu potevi mettere “Cultura” e ti arrivava la mostra di Avellino, invece su Twitter decido io. Seguo tantissime persone che sono la base dei miei pezzi e della mia ricerca. Prima scherzavamo con Michele Boroni che è un collaboratore della Lettura. Io l’ho conosciuto via Twitter: abbiamo iniziato a interagire, ha fatto delle proposte, l’ho trovato una persona intelligente e divertente. Il 90 per cento delle persone che intervisto le contatto via Twitter e la mia agenda quotidiana viene fuori da lì. Faccio una confessione: io non seguo Luca Sofri per due motivi: il primo, un po’ ruffiano, è che me lo ritwittano tutti comunque; il secondo è che a me di Luca, come di tutte le persone che seguo…
Sofri: … non me ne può fregar di meno.
Danna: No, se ti esprimi sull’economia non mi interessa. Se tu ti esprimi sui temi che seguo…
Sarica: Però seguire le persone solo su temi specifici, che è una regola che ti sei imposta in quanto professionista e studiosa del fenomeno, è un po’ la negazione dell’usare Twitter come “specchio” di quello che succede. E’ difficile trovare persone che twittino di un argomento soltanto.
Danna: E’ difficile ma, appunto, se vedi i tweet che faccio io, non mi esprimo su tutto, provo a tenere una linea di argomenti. Poi ovviamente, se parla il presidente Napolitano, ci voglio stare nella mischia, voglio dire la mia. C’è sicuramente una componente di partecipazione a 360 gradi. Ma io ho fatto una scelta a monte: per me Twitter è una fonte. Ed è una fonte di informazioni rispetto alle cose di cui mi occupo. Se poi mi serve anche ad avere un’idea su chi eleggeranno come presidente della Repubblica o su quale sarà la linea del Pd, va bene, però la mia scelta è questa. Immagino che per un direttore di testata, per esempio, non valga questo tipo di discorso.
Sofri: Anche io uso molto Twitter come fonte. E’ vero che scegli molto rispetto alle agenzie – oltre a essere un flusso di informazioni molto più versatile ed eclettico. In parte sostituisce le agenzie, perché con tutti i giornalisti italiani che ci sono le agenzie le twittano subito. Sugli esteri ormai Twitter supera e annulla completamente il valore di un’agenzia di stampa in Italia, perché arrivano cose prima da fonti più attendibili. Detto questo, io non mi contengo come Serena, mi comporto – stupidamente, avendo 48 anni e dirigendo un giornale, per cui forse il mio modello su Twitter dovrebbero essere Ezio Mauro o Ferruccio de Bortoli – come se fossi a cazzeggiare coi miei amici in un qualsiasi contesto. Mi colpiscono molto le reazioni che cercano continuamente la polemica. E’ normale che le reazioni siano diverse da come sarebbero con gli amici al bar. Equivoci continui. L’altro giorno è uscita la foto di Beppe Grillo al sole, sul mare, con la maglietta e i capelli al vento, mentre il momento era di una tetraggine parlamentare romana incredibile. Il protagonista di quello che stava succedendo era lì: sembrava un film, un lavoro di montaggio, cambio scena: lui su una barca, in mezzo al mare. Allora ho messo questa foto e scritto “Sembra una fiction l’Italia, ormai”. Voi direte: c’è una tendenza grillina all’aggressività. E va bene. Ma è volato di tutto! C’è stata una contestazione giornalistica: “Non stai dando la notizia, sei stato parziale perché lui era lì a un comizio a Grado e si stava spostando a Trieste”. Ho capito, ma diciamo che è abbastanza irrilevante. Non mi pongo il problema, non scrivo un articolo di sette paragrafi sul fatto che Grillo si stia spostando in barca. Tutto questo per dire che tu segui chi vuoi seguire. Trovo abbastanza insopportabile che qualcuno critichi qualcun altro per quello che ha twittato. Defollowa. Se segui uno ti becchi tutto quello che scrive e che ritwitta – e saranno anche stronzate, ma te le becchi.
Sarica: Per chiudere: in questo rimbalzo continuo tra televisioni, giornali, radio, Twitter e social media vari, chi aiuta chi, in questo momento?
Sofri: Twitter secondo me aiuta tantissimo il lavoro che facciamo noi. Io potrei fare il Post avendo soltanto Twitter come fonte, perché Twitter è un milione di fonti. Perché da Twitter a me arriva in tempo reale che c’è stata un’esplosione a Boston, mi arriva un pezzo del New Yorker su un tema che ci interessa raccontare, mi arriva che Stefano Menichini di Europa dice “pare che stiano per candidare tal dei tali”. Mi arriva una segnalazione di un post su un blog italiano. Se io uso altre fonti è solo perché, non stando 24 ore su 24 su Twitter, vado a vedermi cose che mi sono perso in precedenza. Tutte le fonti che mi servono vengono da lì.
Danna: Credo che i social media siano un traino eccezionale. Non so se ha mai avuto una crisi la televisione, ma se sta vivendo una nuova primavera è anche grazie ai social media. Le televisioni corteggiano Twitter: tutti hanno l’account, l’hashtag, questo continuo rapporto offline-online. Se io penso alla televisione tra 4-5 anni immagino una convergenza totale tra i mezzi. Non esisterà più la tv staccata da Internet o dal giornale. Ormai il panorama mediatico è un panorama fluido e i residui immobili sono destinati a sgretolarsi.


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