
Parliamone
Caro Mauro, ti scrivo
Caro Ezio Mauro, direttore di Repubblica, ieri abbiamo fatto il solito gemellaggio: noi abbiamo pubblicato Ritanna Armeni che denunciava con intelligenza e coraggio la mutazione genetica del popolo di sinistra, la sua trasformazione da opinione concreta, da esigenza sociale in movimento, a pregiudizio gridato e tendenza anche violenta, a rimbambinimento da eccesso di rete; tu hai pubblicato un tuo editoriale sorvegliato, prudente, responsabile e misurato nel riconoscere a Napolitano, al suo passo di carica, alle sue argomentazioni, quel ch’è suo, e nello stesso tempo hai fissato i tuoi “limiti dell’emergenza”.
Buttafuoco La folla è femmina e cerca il bastone
Caro Ezio Mauro, direttore di Repubblica, ieri abbiamo fatto il solito gemellaggio: noi abbiamo pubblicato Ritanna Armeni che denunciava con intelligenza e coraggio la mutazione genetica del popolo di sinistra, la sua trasformazione da opinione concreta, da esigenza sociale in movimento, a pregiudizio gridato e tendenza anche violenta, a rimbambinimento da eccesso di rete; tu hai pubblicato un tuo editoriale sorvegliato, prudente, responsabile e misurato nel riconoscere a Napolitano, al suo passo di carica, alle sue argomentazioni, quel ch’è suo, e nello stesso tempo hai fissato i tuoi “limiti dell’emergenza”. Il limite, affermi, è il rispetto dell’opinione pubblica, di sentimenti e ragioni che non si esauriscono nel gioco delle parti politiche e nella strategia dei partiti, e nemmeno in un’astratta idea di funzionamento delle istituzioni, costi quel che costi. Ti capisco. Tu guidi un giornale che è tribuna autorevole e riconosciuta dell’Italia di sinistra, e ti preoccupi non banalmente del consenso e della tua capacità di rappresentanza di quel popolo. Sei un vero giornalista, un campione nel genere, e le tue curiosità e passioni culturali, per esempio quelle emerse nel dibattito milanese con Angelo Scola o nell’intervista barese a Camillo Ruini, le subordini istintivamente all’imperativo classico, montanelliano, del “lettore nostro padrone”. Ti capisco, e non come clausola retorica.
Però, caro Mauro, ti invito a riflettere. Ci sarà una ragione se un paio di grandi vecchi, come Giorgio Napolitano e Eugenio Scalfari, si sono decisi a dare segnali di riscossa contro l’andazzo avanguardistico, tardo diciannovista, caotico e ignorante, di certe emozioni incontrollate. Io spero che quello del presidente della Repubblica rieletto risulti nella prassi politica e civile dei prossimi mesi e anni non un fuoco fatuo ma un pezzo solido di ricostruzione della disciplina razionale del paese. Così come ho sperato che le cose scritte da Scalfari sulla trattativa stato-mafia ovvero la piccola menzogna provocatoria della solita banda cingolata di giustizialisti senza principi, per non citare la mirabile polemica con il giurista vanesio che si fa imbarcare dalle mode urlanti del grillismo arrembante, possano lastricare di buone intenzioni la via che è sembrata finora una via dell’inferno. Ma comunque si vogliano giudicare nel merito gli argomenti dei grandi vecchi, e la discussione non può essere chiusa d’imperio, perché le decisioni devono maturare come nuova stagione di civiltà e di cultura democratica, sta di fatto che non hanno vere alternative, e nemmeno il richiamo generico all’opinione pubblica di sinistra rimuove la loro base di verità e di logica. Napolitano viene da una cultura molto diversa da quella di Scalfari, ciò che capita nel mio piccolo anche a me, eppure a un certo punto, sollecitati da una radicale degenerazione e putrefazione del sentimento del tempo da parte di milioni di italiani che non capiscono, accecati dall’assalto alla casta, la differenza tra il ricambio della classe dirigente e la distruzione del sistema dei partiti e della rappresentanza politica, le loro conclusioni sono venute a coincidere. E, senza voler fare della concorrenza sleale, è ovvio che questo apre un problema anche con i tuoi editorialisti e umoralisti e moralisti e firmatari d’appello. Alla fine, alla radice dell’opinione pubblica ammalata, fervente ma dissennata, che ci ritroviamo, ci sta anche il comportamento di questi chierici, che sono persone intelligenti, non soltanto vanitosi e frustrati, ma cedono la loro intelligenza al contatto improprio, più morboso che ardente, con i cuori della folla anonima che li assedia.
Lo ricorderai, perché sei un torinese che conobbe la stagione delle Brigate Rosse: successe anche al vecchio e da me ammirato Giorgio Bocca, quando cominciò a sparare la sua non dissimulata ammirazione per i barbari, da Curcio alla prima Lega. Non è solo questione di destra o sinistra: i cattivi maestri hanno un problema intimo, il contatto con i giovani, non vogliono riconoscersi per quei bravi vecchi che sono, contribuiscono a nutrire un’opinione adolescente, immatura, violenta, perché hanno paura di invecchiare nel senso della realtà, e così tradiscono i significati della ragione politica e civile.
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