
Tentazioni pericolose
Fin dove può osare Berlusconi tornato decisivo nel gioco di Palazzo Chigi
E’ stato a un millimetro dalla morte, prigioniero d’un lugubre isolamento politico ha rischiato di vedere il peggiore dei suoi incubi diventare realtà: ha quasi assistito all’incoronazione quirinalizia del nemico giurato Romano Prodi e, inseguito da tribunali e procure, a un certo punto ha davvero pensato di essere spacciato. Insomma Silvio Berlusconi si è parecchio spaventato in questi ultimi tempi, eppure, malgrado tutto, sempre fedele a se stesso e al suo cinismo ludico, alla sua idea così equivoca sulla natura della politica, ora che ha centrato una vittoria octroyée, il Cavaliere è tentato dal riprendere il solito gioco d’azzardo.
E’ stato a un millimetro dalla morte, prigioniero d’un lugubre isolamento politico ha rischiato di vedere il peggiore dei suoi incubi diventare realtà: ha quasi assistito all’incoronazione quirinalizia del nemico giurato Romano Prodi e, inseguito da tribunali e procure, a un certo punto ha davvero pensato di essere spacciato. Insomma Silvio Berlusconi si è parecchio spaventato in questi ultimi tempi, eppure, malgrado tutto, sempre fedele a se stesso e al suo cinismo ludico, alla sua idea così equivoca sulla natura della politica, ora che ha centrato una vittoria octroyée, il Cavaliere è tentato dal riprendere il solito gioco d’azzardo.
“Siamo in testa nei sondaggi”, dice ogni tanto ai suoi uomini. E mentre pronuncia queste parole, nei momenti di più assoluta sincerità, Berlusconi ha indosso il suo sguardo più vero. D’altra parte non si può guarire da se stessi, svolte, trasformazioni, fughe, paure e grandi cambiamenti non servono che a questo: ritornare all’origine, al punto di partenza. Così ora il Cavaliere indossa, è vero, una aderente maschera da statista compassato: “E’ il momento delle larghe intese”, dice ai giornalisti che lo intervistano, ed è convincente, persino convinto, quando dice che “con il Pd abbiamo parecchi punti in comune”. Esagera pure: “Sull’Europa abbiamo una visione che coincide totalmente”. Nel folto delle sue parole le larghe intese sono un orizzonte già conquistato e il “Tutti per l’Italia” non è più un miraggio: basta stendere il braccio per afferrarlo. Eppure, improvvisamente, quando parla del governo e del suo, personale, futuro, il Cavaliere ha come un lampo che gli attraversa lo sguardo. “Matteo Renzi? Il rinnovamento generazionale? Le nuove elezioni? Abbiamo appena eletto un presidente che ha ottantotto anni, mi sembra”, dice. “Ci vuole esperienza per risolvere i problemi dell’Italia”. E si scorge la tentazione di alzare subito la posta, di riprendere quella danza fantasiosa, un po’ matta e talvolta vincente, che è il suo modo anomalo e ribaldo di stare nella politica: la voglia matta di contrattare al rialzo, di pretendere dei ministeri chiave nel nuovo governo (la Giustizia). Anche a rischio di far saltare tutto.
“Serve un governo forte, solido e duraturo, che resista nel tempo”, dice Berlusconi. “Un governo capace di fare subito i provvedimenti che servono al paese. Se non si riesce a fare un governo di questo tipo, allora si sciolgono le Camere e si ridà la parola ai cittadini”. Sono i termini chiari con i quali il Cavaliere si sta avvicinando alle trattative con il Partito democratico, ma sono anche parole double-face, palindrome, per un uomo che alla rappresentanza – a dirla tutta – ha sempre preferito la rappresentazione. Berlusconi ama, anzi adora, l’idea di essere legittimato dagli avversari del centrosinistra, e coltiva sinceramente l’idea di farsi padre della patria, al punto da essere riuscito ieri ad applaudire con apparente convizione quel passaggio del discorso di Napolitano in cui il presidente della Repubblica invitava al rispetto della mai amata (dal Cav.) magistratura e della ancora meno amata (dal Cav.) Corte costituzionale. Non è poco.
Ma Berlusconi ha pure interpretato spesso la politica come un gioco più finalizzato alla raccolta del consenso che all’attività di governo e all’amministrazione compassata della cosa pubblica. E dunque, anche adesso, mentre rassicura tutti sulle sue buone intenzioni (“un governo serio…”), e mentre dispensa auspici fraternamente paternalistici al povero Pd sfilacciato (“spero recuperino compattezza per sedere al tavolo delle trattative”), allo stesso tempo il Cavaliere irredimibile fa strisciare la sinuosa minaccia del voto anticipato, rivolge le parole di Napolitano contro il Pd (“è colpa loro se non si è fatta la nuova legge elettorale”) e mentre rilancia la sua idea di restituire l’Imu offre pure l’impressione di essere pronto a trasformare tutto in una sterile battaglia di bandiera. Elettorale.
Il Cavaliere ha ottenuto una vittoria strategica di cui tutti nel Pdl ormai disperavano: ha recuperato centralità e ha rieletto un capo dello stato, Giorgio Napolitano, che alla guerra civile permanente, e alla tentazione serpigna del berlusconicidio, preferisce politiche di governo fondate sulla condivisione delle scelte fondamentali. Considerate le premesse – tra Rodotà, Grillo e Prodi – non era affatto scontato che le cose andassero in questo modo. “Adesso ci vuole un comportamento opportuno”, tende a dirgli Gianni Letta, il gran visir, l’uomo dai consigli sempre pettinati. Occorre non gettare via tutto, non alzare la posta per eccesso di spavalderia: è necessario – viene detto a Berlusconi – non correre il rischio di essere di nuovo sospinti nell’angolo, nell’isolamento che prelude al disastro e alla fine ingloriosa. “La restituzione dell’Imu è una cosa facilissima, sono appena quattro miliardi”, è tornato a ripetere il Cavaliere dei manifesti elettorali, quello dei famosi e giganteschi 6x3. “Abbiamo un programma di otto disegni di legge già depositati in Parlamento. Le trattative per il nuovo governo dovranno partire da lì”, dice il Cavaliere immaginifico e azzardoso, quello che si gioca tutto, quello che o vinco tutto o perdo tutto, ma intanto tratto.


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