Passeggiate romane

D'Alema, i centouno voti contro Renzi e la giravolta di Vasco Errani

Redazione

Nel Partito democratico sembra non esserci proprio più pace. Nonostante il forte calo nei sondaggi i dirigenti del Pd, invece di preoccuparsi per le sorti di una forza politica che rischia l’implosione, sembrano in preda a una sindrome autodistruttiva. Perciò c’è chi è disposto a dare battaglia contro l’arrivo di Matteo Renzi. Le prime avvisaglie, a dire il vero, si erano già avute il giorno della votazione di Romano Prodi. In quell’occasione un’inedita alleanza tra dalemiani ed ex democristiani ha voluto far capire al sindaco di Firenze che il partito non era roba sua. Centouno voti contro l’ex premier dell’Ulivo, ma, soprattutto centouno voti contro Renzi.

    Nel Partito democratico sembra non esserci proprio più pace. Nonostante il forte calo nei sondaggi i dirigenti del Pd, invece di preoccuparsi per le sorti di una forza politica che rischia l’implosione, sembrano in preda a una sindrome autodistruttiva. Perciò c’è chi è disposto a dare battaglia contro l’arrivo di Matteo Renzi. Le prime avvisaglie, a dire il vero, si erano già avute il giorno della votazione di Romano Prodi. In quell’occasione un’inedita alleanza tra dalemiani ed ex democristiani ha voluto far capire al sindaco di Firenze che il partito non era roba sua. Centouno voti contro l’ex premier dell’Ulivo, ma, soprattutto centouno voti contro Renzi. E non finisce di certo qui. I dirigenti del Pd non intendono infatti regalare il partito a Renzi. Certamente non prima di aver contrattato con lui posti e potere.

    Che sia già pronto il fuoco amico lo testimonierebbe l’indiscrezione che circola in queste ore a Largo del Nazareno. Stando a questa voce in realtà Massimo D’Alema non ha stretto nessun patto con Renzi in quel famoso incontro di Palazzo Vecchio. Non si è ripromesso di affidargli il partito. Piuttosto punta a convincere il Pd a dare vita a un governo che duri almeno due anni. Il tempo giusto per risollevare le sorti elettorali del Partito democratico, e fare in modo che la candidatura del sindaco rottamatore si ammosci. Dicono che tutto sommato l’ex presidente del Consiglio preferisca di gran lunga Enrico Letta a Renzi, perché lo ritiene più gestibile. E questo spiega il fatto che da qualche tempo in qua il primo cittadino di Firenze stia meditando se dare la scalata al partito candidandosi al congresso o se piuttosto sia meglio guidare il governo che Giorgio Napolitano sta per varare. Sono due vie per evitare che per l’ennesima volta i maggiorenti del Pd gli sbarrino il passo.

    Tutti hanno avuto a che ridire per l’ingratitudine di Alessandra Moretti, la neo deputata che dopo aver fatto la portavoce di Bersani nella sua campagna, non ha rispettato le indicazioni di partito nella votazione del presidente della Repubblica. Ma che dire allora di Vasco Errani? Il presidente della giunta regionale dell’Emilia Romagna, solo qualche ora dopo che Pier Luigi Bersani aveva dato le sue dimissioni, si aggirava tra i maggiorenti del Partito spiegando di essere stato “contrario” alla linea adottata dal segretario per gestire la vicenda del Quirinale. E questo dopo aver seguito tutte le trattative passo passo con Bersani.