La valigetta della Thatcher

Marco Valerio Lo Prete

Dietro ogni grande primo ministro inglese, c’è quasi sempre un grande cancelliere dello Scacchiere. Margaret Thatcher almeno in questo non fece eccezione alla regola, anche se Lord Nigel Lawson – uomo del budget della Lady di Ferro e presenza chiave nel suo governo ininterrottamente dal 1981 al 1989 – parlando con il Foglio continua a ripetere che in quegli anni di “remarkable”, cioè di “straordinaria”, c’era soprattutto lei.

    Dietro ogni grande primo ministro inglese, c’è quasi sempre un grande cancelliere dello Scacchiere. Margaret Thatcher almeno in questo non fece eccezione alla regola, anche se Lord Nigel Lawson – uomo del budget della Lady di Ferro e presenza chiave nel suo governo ininterrottamente dal 1981 al 1989 – parlando con il Foglio continua a ripetere che in quegli anni di “remarkable”, cioè di “straordinaria”, c’era soprattutto lei. Eppure storici ed economisti, quando devono riferirsi al periodo di incredibile sviluppo di Londra nella seconda metà degli anni 80, con il prodotto interno lordo che cresceva di circa 4 punti l’anno, parlano di “Lawson Boom”: “Io contribuii, come cancelliere dello Scacchiere – dice Lawson, classe 1932 – Ma quel boom lo dobbiamo alle politiche di libero mercato che applicammo come esecutivo, sempre di pari passo con la disciplina fiscale”. Perché il miracolo, appunto, consistette per esempio nel contemporaneo abbassamento delle tasse pur a fronte di bilanci fiscali in avanzo. Un tandem di politica economica che oggi molti leader europei si sognano. “Ma soprattutto – aggiunge subito Lawson – in quel periodo continuò anche ad aumentare la produttività media della nostra economia, superando quella degli altri paesi europei”. Non si tratta di un dettaglio da poco, spiega, perché “il ciclo economico non puoi sempre controllarlo, ma il fatto che la nostra produttività aumentasse più che altrove dimostra che non stavamo beneficiando soltanto di una fortunata congiuntura mondiale”.

    Lawson si è sposato due volte e ha in tutto sei figli che potranno – se lo vorranno – usare in ogni momento l’appellativo di “honorable”, essendo loro padre diventato Lord. Tuttavia al di fuori della sua pur nutrita cerchia familiare l’ex cancelliere dello Scacchiere sarà ricordato soprattutto per la celebre frase con cui aprì il “White paper” sulla spesa pubblica del novembre 1979 e che conteneva i piani per il bilancio dell’anno successivo: “La spesa pubblica è al cuore delle attuali difficoltà economiche della Gran Bretagna”. In una legge finanziaria italiana, una frase così, non la leggeremo mai. Anche i burocrati inglesi del tempo però saltarono sulla sedia, essendo abituati a pubblicazioni governative un po’ meno esplicite, ricorda oggi ironico l’inquilino del civico numero 11 di Downing Street. D’altronde Lawson è lo stesso che, nel suo libro “Memoirs of a Tory Radical”, dice di essersi sentito soltanto una volta legittimato a spendere e spandere (si fa per dire) con i soldi del contribuente: quando bisognò attrezzarsi per “piegare” la resistenza di Arthur Scargill e della sua Unione nazionale dei minatori che dal 1984 al 1985 tentarono di paralizzare il paese con uno sciopero selvaggio. Quell’eccezione al rigore fiscale rimase tale, però, soprattutto perché “Thatcher era un primo ministro straordinario e un leader straordinario. Perfino io sono un po’ sorpreso delle discussioni e delle divisioni nell’opinione pubblica che oggi sta suscitando la sua scomparsa. D’altronde è la dimostrazione postuma di una grande leadership, necessariamente controversa. Se in quegli anni non fosse stata disposta a divenire una leader controversa, non avrebbe ottenuto i risultati che ha ottenuto. Questa lezione dovrebbe valere anche per i leader politici di oggi”.

    Lawson fu il primo, se si esclude una pubblicazione marxista semiclandestina che lui stesso ha ritrovato, a utilizzare pubblicamente il termine “thatcherismo”. Che non consistette soltanto in meno tasse e meno spesa, ma anche in più libertà per i privati di operare nell’economia. All’inizio degli anni Ottanta, secondo i calcoli di Lawson, le industrie di proprietà pubblica erano responsabili di un decimo del pil nazionale, di oltre un settimo degli investimenti complessivi del paese e impiegavano 1,75 milioni di lavoratori. La loro gestione, però, era tutt’altro che soddisfacente. Allora il politico conservatore disse che era il momento di cambiare drasticamente rotta: “Il flusso di White paper, studi e report è stato infinito. Ma i problemi restano, più acuti che mai”. “Come diceva il mio vecchio amico Patrick Hutber, non puoi far sì che un’industria di stato imiti fino in fondo un’industria privata dicendogli di seguire le regole di economia dei libri di testo oppure di stimolare prezzi più competitivi, allo stesso modo in cui non puoi trasformare un asino in una zebra semplicemente dipingendogli strisce bianche sul dorso”. Lawson iniziò l’opera già da segretario alle Finanze, nel 1979, spingendo per la privatizzazione della British national oil company. Lo “spartiacque” fu però la “denazionalizzazione” di British Telecom, per un valore di 4 miliardi di sterline, nel novembre 1984. Non c’erano soltanto ragioni di cassa dietro questa scelta di fondo, ricorda Lawson, ma soprattutto “il tentativo di inoculare il virus della concorrenza e della responsabilità nell’economia nazionale e in un settore pubblico altamente inefficiente”. Gli inglesi in possesso di pacchetti azionari passarono dal 7 per cento del totale nel 1979 al 25 per cento dieci anni dopo.

    Una delle critiche fondamentali mosse alle politiche della Thatcher, però, è quella di essere state troppo pro business e pro aziende, più che genuinamente liberiste. Come risponde a queste obiezioni? “Che il nostro governo fosse pro libero mercato lo dimostra innanzitutto la forte opposizione degli industriali ad alcune nostre scelte. Faccio un esempio: quando la sterlina iniziò ad apprezzarsi, sulla scorta delle nostre politiche rigoriste che rassicuravano i mercati sulle prospettive future del Regno Unito, i rappresentanti delle aziende cominciarono a protestare”. Alla fine del gennaio 1981 la sterlina – anche per l’effetto congiunto di eventi esterni, certo – si era rivalutata del 20 per cento rispetto al giorno delle elezioni. Non a caso già alla fine del 1980 la Confederation of British Industry (Cbi), cioè la Confindustria locale, al suo congresso approvò mozioni anti Thatcher. “Chiedevano di svalutare la moneta per tornare a esportare di più”, visto che fino al 1997 il cancelliere dello Scacchiere aveva anche il controllo sulla Banca centrale inglese. “Gli imprenditori non compresero invece che quella disciplina che noi imponevamo sarebbe stata positiva per loro, sia perché riduceva l’inflazione sia perché li avrebbe spinti a diventare più efficienti e quindi più produttivi per rimanere competitivi a livello internazionale”. E l’aumento della produttività, come già visto, è uno degli indicatori cui Lawson tiene di più per valutare l’operato suo e di Thatcher. Più in generale fu il tentativo di domare il Leviatano pubblico a non rendere sempre e comunque felici i vertici delle aziende medio-grandi. A questo proposito l’ex cancelliere dello Scacchiere ricorda che alcune voci della spesa pubblica aumentarono in termini reali, anche se poco, pure sotto i governi Thatcher: applicazione della legge e ordine pubblico, misure per l’occupazione e il training dei lavoratori, sanità. A diminuire drasticamente, di quasi il 40 per cento, furono invece i finanziamenti pubblici ad attività commerciali e industriali. Come potevano le associazioni, quantomeno nel breve termine, felicitarsi per la riduzione dei sussidi che avevano ricevuto fino a quel momento?

    Altra accusa: il settore della finanza avrebbe beneficiato di una prolungata fase di deregulation, al punto che personalità autorevoli come Romano Prodi, già presidente della Commissione europea, hanno detto che fu proprio Thatcher a porre le basi della crisi scoppiata nel 2007-2008: “Il signor Romano Prodi è ‘extremely ignorant’”, replica Lawson con uso piuttosto british e letterale dell’aggettivo. “E’ vero che oggi le nostre ricette di quel tempo non sarebbero sufficienti a risollevare le economie europee, non foss’altro perché a tanti problemi economici si aggiunge la situazione disastrata del settore bancario, situazione che noi non dovemmo affrontare. Detto ciò, la crisi di credito e finanza è scoppiata nel 2007-2008, mentre noi governammo venti anni fa”. Insomma, troppo facile, oltre che “fuorviante”, scaricare le responsabilità sulla Thatcher. “Senza contare che nel 1987 rivendico di aver approvato in particolare il Banking act che rafforzò di molto la supervisione prudenziale sugli istituti di credito. Nel 1997 furono i laburisti a distruggere tutto questo sistema di controlli”.

    Lawson conclude con una riflessione sul futuro dell’euro, di cui lui auspica lo smantellamento. Thatcher fece benissimo a tenersene alla larga, dice, ed ecco cosa la spinse: “Innanzitutto teneva molto alla relazione speciale con gli Stati Uniti, per lei molto più importante del legame con l’Europa continentale. Poi agì come una sorta di ‘gaullista inglese’, sempre contraria a perdere indipendenza e sovranità del Regno Unito democratico. Infine la Lady di Ferro era totalmente ostile all’idea di una Unione economica e monetaria. Come poi la storia stessa ha dimostrato, sosteneva che tale unione avrebbe nociuto innanzitutto alle economie dell’Europa. Un tale sistema richiede infatti un’Unione politica forte, difficile da formare. Altrimenti si finisce per alimentare una disarmonia tra paesi, come sta avvenendo oggi”.