Che cosa manca a Prodi

Giuliano Ferrara

Sebbene gli inglesi non lo sopportino, e anche tra gli europei ortodossi si contino parecchi detrattori del suo curriculum di economista e di politico di lungo corso, Romano Prodi non è privo di qualità, ovvio. Gliene manca una decisiva: la visione. Ha sempre presentato se stesso, dopo la fine della stagione democonsociativa dei governi Andreotti e del regno baronale sull’Iri, in un assetto da combattimento. E ha sempre e solo costruito steccati, fossati e ponti levatoi, come un guerriero medievale, in relazione a una stella fissa nel firmamento dei suoi nemici: Silvio Berlusconi, e l’Italia che bene o male Berlusconi ha rappresentato, dandole corpo politico, da due decenni.

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    Sebbene gli inglesi non lo sopportino, e anche tra gli europei ortodossi si contino parecchi detrattori del suo curriculum di economista e di politico di lungo corso, Romano Prodi non è privo di qualità, ovvio. Gliene manca una decisiva: la visione. Ha sempre presentato se stesso, dopo la fine della stagione democonsociativa dei governi Andreotti e del regno baronale sull’Iri, in un assetto da combattimento. E ha sempre e solo costruito steccati, fossati e ponti levatoi, come un guerriero medievale, in relazione a una stella fissa nel firmamento dei suoi nemici: Silvio Berlusconi, e l’Italia che bene o male Berlusconi ha rappresentato, dandole corpo politico, da due decenni. Prodi è uscito frustrato dal fallimento della doppia esperienza governativa, nata in entrambi i casi da vittorie politicamente forzate (il ruolo decisivo di Scalfaro e l’impropria alleanza con Bertinotti, la prima volta; ventiseimila voti di vantaggio spesi male, e la nemesi dei magistrati, la seconda).

    Non ha fatto tesoro del senso politico delle sue sconfitte, non ha cercato di allargare il campo visivo del famoso Ulivo, anzi, si è stretto sempre di più nelle maglie di una coorte spadaccina senza alcuno scrupolo vero per il futuro del paese e senza un minimo denominatore di interesse nazionale comune a tutti. Il risentimento ha trasformato il suo giro in una fitta trama di inimicizie, e si è fatto la fama del leader vendicativo, arrogante, che bada esclusivamente agli affari propri e del suo piccolo circuito di riferimento. La colpa era sempre di D’Alema, di Veltroni, dei popolari, di pezzettini a lui ostili dell’establishment, di Ruini ovviamente e, sopra tutto, della malvagità dell’Arcinemico. La favolistica prodiana ha qualcosa di spettrale, di particolarmente innaturale nel rampollo di una famiglia piena di figure gioviali e sincere, come l’astrofisico e lo storico del Cristianesimo; cambiare l’architettura del sistema è urgente, per farlo ci vuole una scelta di pacificazione, Prodi potrebbe trasformarsi in arbitro, in corrispondenza al ruolo di primo garante della Repubblica, ma in base all’esperienza c’è poca voglia di scommetterci. O punta.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.