Il ventre del cavallo di Troia, che Omero non cantò

Pietrangelo Buttafuoco

E’ una storia di paradossi “Nel ventre”, il romanzo di Sergio Claudio Perroni. Il cavallo di legno, la leggendaria statua cava di legname tramandata dal mito, è il primo paradosso. Trainato da funi, il cavallo procede a ritroso dalla riva alle mura di Ilio, la città inespugnabile, che per dieci anni i greci hanno invano affollato nell’assedio. Ed è un paradosso che Troia si offra ignara a quel che la pancia – il ventre del purosangue – occulta. Un paradosso che in luogo di budella fatte di trucioli e fasciame ci siano muti militi in furba attesa.

    E’ una storia di paradossi “Nel ventre”, il romanzo di Sergio Claudio Perroni (Edizioni Bompiani, euro 13,00. Illustrazioni di Velasco Vitali). Il cavallo di legno, la leggendaria statua cava di legname tramandata dal mito, è il primo paradosso. Trainato da funi, il cavallo procede a ritroso dalla riva alle mura di Ilio, la città inespugnabile, che per dieci anni i greci hanno invano affollato nell’assedio. Ed è un paradosso che Troia si offra ignara a quel che la pancia – il ventre del purosangue – occulta. Un paradosso che in luogo di budella fatte di trucioli e fasciame ci siano muti militi in furba attesa. E’ un paradosso, infine, che a comandare quei soldati senza nome – ombre schiacciate sul fondo dell’animale – siano tre uomini famosi per meriti diversi. La virtù d’acume di Epeo, l’artefice. La dote d’astuzia di Ulisse, l’ideatore del tranello. E la benemerita spada di Neottolemo, figlio di Achille, scelto personalmente da Agamennone. Un paradosso lega i tre alla stessa paura: non sopravvivere alla loro stessa trappola, morire dentro il cavallo se il nemico non cadrà nel tranello.

    “Nel Ventre” è il romanzo della notte vissuta dagli eroi nella pancia del cavallo che Atena, apparsa in sogno ad Epeo, gli ha comandato di costruire dopo che Ulisse ha ideato lo stratagemma. Omero nulla racconta delle emozioni di quella notte e Perroni fabbrica il paradosso che il cavallo porta scritto sulla sua carne di legno: "I greci offrono questo dono di ringraziamento ad Atena per un buon ritorno". Perroni inscena una partita a dadi, a tre, dove ognuno dei giocatori è più d’uno. La posta in gioco è una guerra di nervi, ma anche di supremazia, e perciò di potere. In bilico, nel volteggiare dei dadi, c’è l’imponderabile rischio di qualunque impresa ma anche il ragionare di cavilli: è più duce Ulisse che ha ideato il cavallo o Epeo che in tre giorni lo ha costruito, oppure lo stesso Neottolemo che, per l’impresa, è stato scelto personalmente da Agamennone mentre gli altri due si sono offerti? Qui non c’è psiconalisi, vana superstizione che il sangue d’Ellade non conosce, in questa notte tutta di maschi in arme, c’è la profondità spirituale che dà radici all’epopea degli eroi. Il cavallo ha gli occhi che sono due fessure rivolte al mare. Non è possibile da quella posizione vedere ciò che succede sulla terraferma. Si ode ad un tratto una voce di donna che è archetipo femminile impastato di presagio. Tutto sa dei tre che, al suo cospetto, al tenue chiarore della candela impallidiscono. Sono ombre di se stessi, loro. E la dea dipana il loro futuro. Sa che la morte non permetterà ad Epeo di uscire vivo dalla sua creatura di legno – lui che meno degli altri mostrava di aver paura – una morte stupida e perciò paradossale: infilzato da una lancia scagliata da un troiano sospettoso sul fianco della bestia di legno. La dea legge nel libro del fato tutto quel mare che, oltre la botola pronta a spalancarsi, attende Ulisse. E sa che Neottolemo, da vile, ucciderà il figlio di colui che suo padre uccise da eroe. Altro che introspezione, qui precipita il contrappasso di hubris. Ecco, quindi, la sentenza di Atena a Neottolemo: "Emulerai nel peggio, soltanto nel peggio…".

    Il ventre di legno è pronto a partorire gli eroi. Col passo che solo la parola limata di Perroni sa dare al respiro, la pagina evoca l’alito del chiarore quando s’impossessa della notte per farne alba. I troiani hanno portato dentro le mura il cavallo, le funi sono servite a trainarlo dentro e non a precipitarlo in un burrone, come ha temuto Neottolemo per tutta il tempo della partita a dadi con se stesso e gli altri. C’è il silenzio. E c’è una dea che assiste al compimento di un disegno. Bisogna decidere chi deve calarsi per primo giù dalla botola. La storia si chiude nel paradosso: ad uscire per primo sarà il cadavere di Epeo. Viene offerto quale esca nel caso qualche troiano, vigile nell’ombra, voglia avventarsi sui vivi. Escono, subito dopo, Ulisse e Neottolemo, fatti unica carne, irromperanno fuori dal ventre del cavallo per precipitare dentro Troia, dentro il loro destino. Una potente lettura, “Nel Ventre”, una festa di emozioni. Come per le illustrazioni, quelle di Velasco Vitali. Sono eleganti e belle: vera festa per gli occhi.

    • Pietrangelo Buttafuoco
    • Nato a Catania – originario di Leonforte e di Nissoria – è di Agira. Scrive per il Foglio.