La Thatcher e i cretini

Giuliano Ferrara

La grandezza vera della Thatcher è nell’aver lasciato aperta e sanguinante la ferita storica aperta con la sua rivoluzione. La memoria di un leader di quel tipo, un fatale e glorioso primo ministro di una democrazia moderna, muore quando smette di dividere, di appassionare, di fanatizzare perfino, nel contrasto di idee e fino all’iracondia dei ricordi, i sopravvissuti. Altrimenti è potenzialmente immortale.

    La grandezza vera della Thatcher è nell’aver lasciato aperta e sanguinante la ferita storica aperta con la sua rivoluzione. La memoria di un leader di quel tipo, un fatale e glorioso primo ministro di una democrazia moderna, muore quando smette di dividere, di appassionare, di fanatizzare perfino, nel contrasto di idee e fino all’iracondia dei ricordi, i sopravvissuti. Altrimenti è potenzialmente immortale. Imperatori, papi, re possono assumere su di sé, nel tempo lungo e nello spazio profondo della storia, il modello aureolato della leggenda, delle res gestae, della concordia e della comunità rinsaldata, riscaldata e consolata nei valori e nella speranza profetica. Non così un Churchill, nonostante la sua vena di aristocratico e la sua fulgida impresa di guerra, non così una Thatcher, che fece della sua identità filistea e della sua condizione middle class, la drogheria di famiglia e il resto, una bandiera di autorità, di incidenza politica, di libertà e di senso comune che ha notoriamente cambiato, e radicalmente, il nostro mondo.

    Non è affatto sconveniente che i tragidiaturi della sinistra intellettuale sconfitta nell’isola britannica, registi scrittori attori professori sindacalisti economisti sindaci giornalisti vecchia élite laburista, brindino alla morte della Lady che non si voltava indietro. E’ una testimonianza del rango della statista e rivoluzionaria trapassata, una misura dell’affetto che lega, nella forma di una passione inestinguibile, di un’incapacità a uscire dal solco che lei ha tracciato. Il solco di una contraddizione amico-nemico che è la lezione, ma non alla Carl Schmitt, non a sfondo nichilista, dei tre mandati democratici della prima e unica inquilina femmina di Downing Street. Una donna come la Thatcher non poteva non riscuotere anche l’omaggio della perfida Maureen Dowd, pestilenziale ma efficacissima corsivista ultraliberal del New York Times, che l’ha ricordata nell’atto di sbeffeggiare François Mitterrand, di tanto più pomposo, di tanto meno importante. Vendicativa e spiritosa, per restituirgli una scortesia protocollare nelle manifestazioni per il bicentenario della Rivoluzione francese, Maggie gli regalò, in una rilegatura in marocchino rosso, “A tale of two cities” di Charles Dickens, il romanzo londinese sul regno giacobino del terrore comparato con l’allegria un po’ ebbra delle classi dirigenti uscite dalla rivoluzione inglese, bloodless, senza sangue.

    Il cretino antithatcheriano alligna invece da noi, dove le caricature della cultura liberal o laburista hanno il culo al caldo, non conoscono nemmeno il rischio delle rivoluzioni sociali, custodiscono e coltivano un regime di scarsa protezione statale ma universale, di retoriche egualitarie e di bassi salari. Il cretino è qui, nei numerosi commenti scemi, improntati all’ostentazione dei buoni sentimenti. Un brindisi di Serra o Colombo sarebbe stato preferibile ai loro argomenti scaduti da libro cuore.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.