L'ULTIMA RIVOLUZIONARIA

Giuliano Ferrara

Poteva essere molto paziente, diceva, a patto che alla fine si facesse come voleva lei. Nessuno come lei, prima e unica donna a comandare l’esecutivo nella Gran Bretagna contemporanea, ha mai deciso tanto, tanto di rilevante, e in così poco tempo (1979-1990).

Pedersini Margaret, tutta suo padre - Peduzzi Una lady non è fatta per voltarsi, e nemmeno per tornare a casa - Stagnaro Eccentrica di massa - Bruni Outsider di massa

    Poteva essere molto paziente, diceva, a patto che alla fine si facesse come voleva lei. Nessuno come lei, prima e unica donna a comandare l’esecutivo nella Gran Bretagna contemporanea, ha mai deciso tanto, tanto di rilevante, e in così poco tempo (1979-1990). Possedeva un senso dello stato e della premiership spinto fino alla grandiosa vanità del pluralis maiestatis ricalcato sulla lingua della Regina: “We have become grandmother”, disse dopo un lieto evento familiare (“Siamo diventate nonna”). E della nonna, di certe nonne, aveva nelle labbra dipinte dal rossetto intenso, nella linea prensile degli occhi, nei tratti pertinenti, la sensualità dominatrice che fece impazzire di invidia e ribollire di masochismo tanta parte della nomenclatura parlamentare inglese, e innamorare il popolo.

    Margaret Hilda Benson, vedova Thatcher (1925-2013), morta ieri per ictus a 87 anni dopo un finale di vita oblioso, in cui la sua immagine supericonica si fece evanescente e distante, portava la borsetta al braccio come insegna di conformismo militante, indossava tailleur di foggia polverosa e una coiffure tradizionale da signora, da sposata non avrebbe mai rinunciato al nome di famiglia del marito Dennis, era di destra, retrograda e filistea nei comportamenti, nelle predilezioni, nel linguaggio. Forse per tutte queste ragioni è stata una rivoluzionaria, ha demolito quel che restava del socialismo come pianificazione pubblica dopo quasi un secolo di esperimenti (con le coccole dei grandi intellettuali di Bloomsbury). Ha salvato la Gran Bretagna riscattandola da una lunga epoca di declino e privatizzando le cose che i privati gestiscono meglio. Ha avviato un ciclo volitivo, decisionista e di colore liberista, se non di ortodossia, che ha trasformato largamente per il meglio Europa e mondo (compreso il terzo, con qualche miliardo di persone che si sono messe improvvisamente a mangiare proprio nella stessa epoca, con Deng Xiao Ping e gli altri leader asiatici assaliti dalle leggi di mercato e trionfatori della globalizzazione). E ha plasmato prassi cultura e società in tutto l’occidente con le sue idee o intuizioni o volizioni.

    Come tutti i grandi rivoluzionari, lady Thatcher (detta Iron Lady o Signora di Ferro, baronessa per volontà della Regina subito dopo aver lasciato Downing Street numero 10) ha suscitato odio nei suoi molti nemici. E’ stata derisa, respinta dalle grandi Università, calunniata dagli economisti teorici e dai politologi astratti; i media della società affluente e d’establishment l’hanno considerata una populista e una figlia del droghiere, un idolo polemico buono per le campagne di superiorità antropologica in voga tra la bella gente che fa immagine e presentabilità nella sinistra internazionale; e una certa Europa burocratica da lei sempre bacchettata sulle dita come una scolaretta l’ha ripagata di cattiverie e manovre politiche ribalde senza tregua. L’avevano quasi accoppata, a Brighton, durante il congresso annuale dei conservatori, un attentato del terrorismo irlandese che l’ha mancata di poco, ha ferito due dei suoi ministri più importanti e ha fatto cinque morti (lei era stata spietata con i detenuti dell’Ira in sciopero della fame, e aveva atteso senza batter ciglio la morte in carcere del celebre Bobby Sands).

    E’ stata in guerra per la sovranità delle isole Falkland con i generali argentini che le avevano invase a tradimento, e che furono da lei terminati in un’epica battaglia navale dell’Ottocento, compreso l’affondamento di un incrociatore che si chiamava General Belgrano, ma con i missili francesi Exocet alla caccia delle navi britanniche. Ha devastato l’epopea della lotta di classe nella sua forma ottocentesca e novecentesca battendo sonoramente con una lunga e drammatica resistenza lo sciopero dei minatori guidati da Arthur Scargill. Ha creato un vasto fenomeno di azionariato popolare e di diffusione dello spirito proprietario nelle classi medie e medio-basse tra i britannici e al di là dei confini, lavorando in coppia ideologica con il grande Ronald Reagan. Non esiste una cosa chiamata società, diceva questa nemica del giacobinismo emula di Burke e delle sue osservazioni sulla Rivoluzione francese, la responsabilità e la libertà appartengono agli individui.

    Al Saint James’s di Londra, tanti anni fa, sulla piccola porta d’ingresso arrivò una guardia che era una, con un auricolare che mi fece capire di essere incocciato in un discreto servizio di stato, poi si accostò una Jaguar e ne uscì la Thatcher, che entrava per un tè politico con suoi sostenitori. Svelta, radiosa, sguardo significativo e vagamente cattivo, mia moglie le fece istintivamente la riverenza che lei accettò con regale e sbrigativa naturalezza. L’abbiamo rivista tanti anni dopo da Marilù e Gaetano Rebecchini, con i suoi amici Charles Moore, Paul Johnson e Carla Powell. C’era e non c’era, ma era più bella e segreta della stessa Meryl Streep.

    Pedersini Margaret, tutta suo padre - Peduzzi Una lady non è fatta per voltarsi, e nemmeno per tornare a casa - Stagnaro Eccentrica di massa - Bruni Outsider di massa

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.