Ruby: "Per colpire Berlusconi avete fatto del male a me"

Redazione

Questa mattina la giovane marrocchina Karima El Mahroug, circondata da decine di giornalisti e fotografi, ha letto davanti al tribunale di Milano una lunghissima dichiarazione scritta nella quale ha chiesto di essere sentita dai magistrati del processo in cui è imputato Silvio Berlusconi e ha negato di essere una prostituta. Ecco le sue dichiarazioni.

    Questa mattina la giovane marrocchina Karima El Mahroug, circondata da decine di giornalisti e fotografi, ha letto davanti al tribunale di Milano una lunghissima dichiarazione scritta nella quale ha chiesto di essere sentita dai magistrati del processo in cui è imputato Silvio Berlusconi e ha negato di essere una prostituta. Ecco le sue dichiarazioni.

    "Oggi, dopo aver sopportato tante cattiverie sono qui a chiedere di essere sentita.
    Se questo è il Palazzo di Giustizia voglio che giustizia sia fatta veramente.
    Lo devo a mia figlia, lo devo a Luca che mi è sempre stato vicino e lo devo a me stessa.
    Voglio che si comprenda di chi è la colpa della mia soffrenza.
    Voglio che si sappia che la colpa è di quella stampa che per colpire Silvio Berlusconi ha fatto del male a me. Parlo di quei giornalisti che mi hanno violentato pubblicando le intercettazioni telefoniche che mi riguardavano.
    Le stesse persone che manipolando la verità mi hanno trasformato in quella che non sono: una prostituta.
    Per due lunghi anni ho scelto di rimanere in disparte nel tentativo di riacquistare, grazie alle persone a me care, la tranquillità e la normalità che mi spettano e che il processo Ruby mi ha sottratto.
    Ho atteso con pazienza di poter spiegare cos’è successo veramente. Quanto mi senta strumentalizzata da quella parte della stampa e della magistratura che aveva un obiettivo comune: colpire le persone che mi hanno aiutato.
    Ero sicura che prima o poi il Tribunale di Milano mi avrebbe ascoltato, ero certa volesse raccogliere anche la mia verità: quella della asserita parte lesa, l’ipotizzata vittima. La versione reale delle cose.
    Ma questo non è successo e adesso, dopo due anni, ho scelto di rompere il silenzio.
    Lo faccio per mia figlia Sofia e per la mia famiglia.
    Lo faccio per non dovermi sentire più colpevole come qualcuno ha tentato di farmi sentire la domenica di Pasqua.
    Dope essere andata a amessa con il mio compagno Luca e con nostra figlia, sono stata vittima dell’ennesimo episodio di intolleranza. Una donna sconosciuta guardando mia figlia si è permessa di dire con disprezzo: speriamo non diventi come sua madre!
    Quella donna è solo l’ultima di una lunga serie di persone che mi hanno umiliato per troppo tempo: per loro sono qualcuno da evitare, un modello da cui sfuggire.
    Ho reagito insultandola e di ciò sono dispiaciuta.
    Però forse è stato proprio in quel momento che ho sentito il bisogno di parlare. A lei e a chi come lei, magistrati e giornalisti inclusi, mi ritiene una poco di buono.
    Ho capito che la decisione dei Giudici di Milano e dei difensori di Silvio Berlusconi di sentirmi come teste mi ha danneggiato.
    Perché c’è ancora tanta gente che mi guarda dall’alto in basso, mi considerano una prostituta, sebbene il processo Ruby abbia dimostrato esattamente il contrario.

    Trovo sconcertante e ingiusto che nessuno voglia ascoltarmi, soprattutto perché secondo l’ipotesi accusatoria io sarei la parte lesa, secondo la ricostruzione dei pubblici ministeri sarei la vittima.
    Eppure nessuno ha interesse ad ascoltare la mia versione dei fatti, cioè l’unica verità possibile.
    Mi dispiace per aver mentito anche sulla parentela con Mubarak e di aver detto altre bugie sulle mie origini, ho giocato di fantasia perché il vecchio passaporto me lo ha permesso.
    Presentarmi come la nipote di Mubarak mi serviva a costruire una vita parallela, diversa dalla mia. Mi serviva a mostrare un’origine diversa, lontana dalla povertà in cui sono nata e cresciuta e dalla sofferenza che ho patito prima e dopo aver lasciato la mia famiglia in Sicilia.
    Per non parlare di chi, tra i media, devoto solo agli ascolti televisivi, ha lasciato a casa il tesserino da giornalista per diventare un venditore di frottole: mi riferisco al programma Rai in cui fu ospite un certo Ian, uno sconosciuto che si spacciava per il mio fidanzato.
    Ha raccontato che mi prostituivo: ha mentito e per questo sono andata a cercarlo.
    L’ho trovato e ha ammesso: ha mentito per euro 3000. Infatti, non compare nella lista dei testimoni.
    Ma ad alcuni giornalisti evidentemente è concesso di sbagliare e mentire, a Ruby no!
    La colpa della mia sofferenza è anche di quei magistrati che, mossi da intenti che non corrispondono a valori di giustizia, mi hanno attribuito la qualifica di prostituta, nonostante abbia sempre negato di aver avuto rapporti sessuali a pagamento e soprattutto di averne avuti con Silvio Berlusconi.
    L’unica prova fornita nel processo che dimostrerebbe che io mi prostituivo, sono delle fotografie che il capo degli investigatori ha mostrato in aula dopo averle scaricate dal mio profilo Facebook: una circostanza ridicola!
    All’epoca dei fatti avevo solo 17 anni e di questo stampa e magistrati non hanno tenuto conto.
    Ma non è tutto!

    La violenza che più mi ha segnato è stata quella di essere vittima di uno stile investigativo fatto di promesse mai mantenute di aiutarmi a trovare una famiglia e di proseguire gli studi; un metodo fatto di domande incessanti sulla mia intimità, le propensioni sessuali, le frequentazioni amorose, senza mai tenere conto del pudore e del disagio che tutto ciò provoca in una ragazza di 17 anni.
    Eppure nulla di tutto ciò è stato messo a verbale, anzi dei ripetuti interrogatori che ho subito solo alcuni sono stati verbalizzati e sul testo di alcuni non ho neanche apposto la firma.
    Una atteggiamento investigativo apparentemente amichevole che è progressivamente mutato quando è stato chiaro il fatto che no avrei accusato Silvio Berlusconi.
    A quel punto sono iniziate le intimidazioni subliminali, gli insulti nei confronti delle persone che mi avevano aiutato: una vera e propria tortura psicologica.
    Una volta, non potendone più, sono addirittura scappata dalla comunità di Genova in cui mi trovavo per non dover subire ancora quella pressione e l’unico che si preoccupò e mi convinse a rientrare è stato un amico al quale sono tuttora affezionata.
    Sono rientrata e di fronte alle pressione incessante dei magistrati ho ceduto: era più facile dire sì e raccontare storie inverosimili, piuttosto che farmi angosciare o peggio far accettare la verità che avrei voluto raccontare.
    Mi sono resa conto che a loro non interessava nulla di me.
    Ho raccontato di aver incontrato persone che conoscevo solo grazie ai rotocalchi, come Cristiano Ronaldo o Brad Pitt e dentro di me mi domandavo come fosse possibile che non si accorgessero che erano frottole.
    Questa è stata la peggiore delle violenze che ho subito, oltre alle costanti diffamazioni riportate dalla stampa alle quali mi pento di non aver reagito prima.
    Spero che d’ora in poi anche la stampa comprenda la verità dei fatti e che cessi la strumentalizzazione che ho subito.

    Mi vergognavo di me, del posto in cui sono nata, della mia famiglia, dei piccoli lavori di fortuna che sono stata costretta a fare per racimolare qualche spicciolo: a 12 anni mi sono improvvisata cameriera e vendevo asciugamani in spiaggia, passavo da una comunità all’altra.
    Ho raccontato bugie per sentirmi diversa per convincere anche gli altri che lo fossi davvero.
    Diversa come avrei voluto sempre.
    Mi spiace aver raccontato queste bugie anche a Silvio Berlusconi il quale, oggi sono sicura, sei sarebbe dimostrato rispettoso e disposto di aiutarmi anche se avessi detto la verità.
    La verità è che io vengo da un paesino che si chiama Letojanni e che la mia famiglia vive in condizioni di grave precarietà.
    La verità è che per tanto tempo volevo essere un’altra persona, desideravo una vita diversa lontana dalle sofferenze e adesso pago il conto: il rischio di vivere il resto della mia vita con appiccicato il marchio infamante della prostituta, che qualcuno ha voluto affibbiarmi a tutti i costi.
    A 17 anni non sapevo nemmeno chi fossero i pubblici ministeri, non leggevo i giornali, a malapena sapevo chi fosse Berlusconi. Oggi ho capito che è in corso una guerra nei suoi confronti che non mi appartiene, ma che mi coinvolge, mi ferisce.
    Non voglio essere vittima di questa situazione, non è giusto.
    Chiedo che qualcuno ascolti quello che ho da dire, voglio raccontare l’unica verità possibile e lo voglio fare in sede istituzionale.
    Non voglio essere distrutta, non voglio che venga distrutto il futuro di mia figlia a causa di un gioco pericolosissimo molto più grande di me nel quale sono stata trascinata con violenza quando avevo solo 17 anni.
    Non ho nulla di cui vergognarmi e nulla da nascondere. Per questo voglio essere ascoltata.
    Non posso accettare che si nasconda la verità.
    E’ giusto che venga messo a verbale anche quello che ho subito io stessa quando ero in comunità, la violenza psicologica e l’invadenza di chi stava indagando.
    La stessa violenza che oggi colpisce anche il mio compagno Luca Risso, accusato dalla Procura di Genova di reati mai commessi.
    Per tutto quello che ho appena letto chiedo di essere sentita dai Giudici di Milano, per raccontare la verità e impedire a chiunque di offendermi ancora per qualcosa che non ho fatto.
    Voglio che mia figlia sia fiera di sua madre".