Guai ai saggi

Alessandro Giuli

Il vilipendio alla saggezza non è un reato, ma un’idiozia sì. E nella sua versione italiota sta diventando un vezzo politico: guai a coloro che sanno. Ora va di moda insolentire i così detti “saggi” nominati dal presidente della Repubblica, che poi sarebbero soltanto competenti nelle materie economico-costituzionali e “facilitatori” di un dialogo parlamentare tutto immaginario, destinato a modesta fortuna.

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    Il vilipendio alla saggezza non è un reato, ma un’idiozia sì. E nella sua versione italiota sta diventando un vezzo politico: guai a coloro che sanno. Ora va di moda insolentire i così detti “saggi” nominati dal presidente della Repubblica, che poi sarebbero soltanto competenti nelle materie economico-costituzionali e “facilitatori” di un dialogo parlamentare tutto immaginario, destinato a modesta fortuna. Oltretutto questi esperti del Quirinale, subito sottoposti a feroci critiche e lazzi trasversali, hanno già ricevuto da Napolitano gli “otto giorni” che in tempi non troppo lontani usava dare alle domestiche in vista del congedo dalle loro mansioni. Non è in questione la qualità non sempre eccelsa, diciamo così, dei prescelti, quanto la facilità nel disfarsi di un’idea che li trascende, l’idea di competenza. E’ una meccanica che investe in forma ancora più plateale i sopravvissuti del tecno-governo di Mario Monti. Fino a ieri erano un male necessario, gli artefici insostituibili di una cura dolorosa ma indispensabile alla sopravvivenza di un’Italia altrimenti condannata dall’incapacità dei suoi governanti. Oggi, anche da chi li aveva legittimati in funzione antiberlusconiana sui giornali della sinistra milionaria, quella profumata di élite tendenza Rep., vengono abbassati al rango d’imbroglioni fallimentari. Il punto è che la condanna viene surrettiziamente estesa ai concetti di competenza, selezione ed eccellenza in nome dei quali ci erano stati imposti alla fine del 2011. Presi al dettaglio, a cominciare dal presidente della Bocconi, ciascuno di loro porta con sé l’ambiguità del non eletto dal popolo, talora il marchio del narcisista, in alcuni casi la sproporzione tra il titolo personale e la resa fattuale del suo servigio. Ma il cono di luce oscura va dilatandosi ed è la categoria intera a subire la damnatio.

    Deve essere cambiato il vento, accade che i popoli difettosi nell’autostima siano condannati a vivere nella dismisura. L’Italia da secoli oscilla tra la calata dell’imperatore teutonico e la rivolta sanfedista (sempre però al servizio del Borbone di turno). Oggi che la maschera del cardinal Ruffo è indossata da Beppe Grillo, il senso comune si reinnamora della democrazia diretta e dei suoi rappresentanti fuoriusciti da un clic su Internet, dalle primarie condominiali e dal regno dell’indistinto in cui per emergere non è richiesta disciplina né applicazione (lo studium dei nostri padri), anzi s’incoraggia quella spontaneità pseudo virginale che spesso è il secondo nome dell’asineria. Hegel insegnava che la società civile svolge una funzione equilibratrice nella dialettica tra Stato e famiglia, ai suoi tempi non c’era ancora la società di massa e la funzione dell’aristocrazia ormai esangue veniva progressivamente devoluta alle caste liberali. Adesso, abbattuto ogni vallo che separa ordini e gerarchie, viene facile a chiunque insolentire l’eccezione all’informe (di cui Internet è il volto di Gorgone). Monti o non Monti, la conoscenza e la saggezza sono di per sé sospette al discorso pubblico più dei loro pallidi residui incarnati in questo o quell’organismo istituzionale.

    Il sasso che giudica la montagna
    Chi asseconda questo moto, naturale ma addomesticabile negli strati più bassi della società, finge di non sapere che ogni grande tensione politica è il risultato di una battaglia fra élite, e non fa che inverare la predizione tardo ottocentesca di D’Annunzio: “L’arroganza delle plebi non è tanto grande quanto la viltà di coloro che la tollerano o la secondano”. Ma se è storicamente provato che “le plebi restano sempre schiave, avendo un nativo bisogno di tendere i polsi ai vincoli” (ancora D’Annunzio), il vero colpevole sarà chi fornisce loro la convinzione illusoria di potersi disfare della saggezza o della sua degradazione larvale che è la competenza. E’ l’illusione del sasso che crede di poter giudicare la montagna.

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