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Le dimissioni del migrante Miliband sono uno schiaffo allo spirito inglese
Le dimissioni di David Miliband da direttore non esecutivo del Sunderland sono il perfetto coronamento della sua ritirata dalla madrepatria: prima si è dimesso dal Parlamento, poi si è trasferito in una colonia per occuparsi di crisi umanitarie per 300 mila sterline l’anno, infine ripudia il suo club adducendo che le posizioni politiche del nuovo allenatore, Paolo Di Canio, sono incompatibili con le sue, che lui è un impresentabile che fa il saluto romano alla curva e non è degno nemmeno di slacciare i sandali progressisti dell’ex politico più promettente del regno.
Londra. Le dimissioni di David Miliband da direttore non esecutivo del Sunderland sono il perfetto coronamento della sua ritirata dalla madrepatria: prima si è dimesso dal Parlamento, poi si è trasferito in una colonia per occuparsi di crisi umanitarie per 300 mila sterline l’anno, infine ripudia il suo club adducendo che le posizioni politiche del nuovo allenatore, Paolo Di Canio, sono incompatibili con le sue, che lui è un impresentabile che fa il saluto romano alla curva e non è degno nemmeno di slacciare i sandali progressisti dell’ex politico più promettente del regno. Innanzitutto, vorrei ricordare all’offeso Miliband una tesi calcistica ovvia che una volta proprio Di Canio ha reiterato a proposito di Lotito: la lazialità, diceva, prescinde dalle persone che la rappresentano in un certo momento storico. E’ il primo comandamento del tifoso, il dogma che regge la fede calcistica, ma evidentemente per la sunderlanità il ragionamento non vale, meglio lasciare il campo con le scarpette pulite, sai mai che fra dieci anni, quando Miliband dirigerà qualche istituzione sovranazionale di cui non sentivamo il bisogno, qualcuno gli rinfacci di aver tollerato senza rimostranze la scelta di affidare la sua squadra agonizzante a Di Canio.
La seconda falla nel ragionamento milibandiano è anche più spaventosa della prima: da quando l’Inghilterra odia il “bad boy”? Perché Di Canio è questo, un bad boy che parla la lingua schietta e abrasiva che una volta era il vanto del tipo inglese. Abbiamo prodotto e amato alcune fra le più spettacolari teste calde del calcio mondiale, le abbiamo coltivate, abbiamo chiesto per dovere di protocollo che gli eccessi fossero contenuti, ma era ovvio che il cuore del paese calcistico era fatalmente avvinto dai produttori di controversie più che dai bravi ragazzi con la riga da una parte come Miliband, al quale auguro prosperità in quel di New York: noi ci teniamo stretta la vecchia York e le amate teste calde.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
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