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Bad vibration
Marguerite Yourcenar (1903-1987) fu autore nel 1951 di un libro di successo, scritto bene, con passione e sapienza letteraria, che venne poi tradotto altrettanto bene e imposto con cura sul mercato editoriale europeo e italiano, con il risultato di un rilancio di vasto pubblico nei turbolenti e sognanti e scemi anni Sessanta, quando la scuola si inabissò e la tradizione andò in vacanza: era il racconto dell’amore dell’imperatore Adriano per il giovanissimo Antinoo, un amore avvolto nel crepuscolo di un impero e di un imperatore, consegnato alle regole della nostalgia, del rimpianto, e dell’onnipresente abbraccio di piacere e morte.
Marguerite Yourcenar (1903-1987) fu autore nel 1951 di un libro di successo, scritto bene, con passione e sapienza letteraria, che venne poi tradotto altrettanto bene e imposto con cura sul mercato editoriale europeo e italiano, con il risultato di un rilancio di vasto pubblico nei turbolenti e sognanti e scemi anni Sessanta, quando la scuola si inabissò e la tradizione andò in vacanza: era il racconto dell’amore dell’imperatore Adriano per il giovanissimo Antinoo, un amore avvolto nel crepuscolo di un impero e di un imperatore, consegnato alle regole della nostalgia, del rimpianto, e dell’onnipresente abbraccio di piacere e morte. Ne è venuto fuori un permale ideologico ancora oggi avvilente.
L’omosessualità degli eminenti vittoriani era farcita di tragedia e buon umore, era trasgressiva e impertinente, minoritaria e intellettualmente vivace, spesso legata a matrimoni solidissimi anche dal punto di vista patrimoniale (basta pensare a Virginia Woolf) e a storie esili o a comportamenti un po’ ebbri. Oscar Wilde parlò di un amore che non dice il suo nome, fu il semidio della violazione del codice morale punita con la tortura del processo e del carcere, ebbe forte il senso tortuoso e liberatorio della colpa fino al martirio gay. Nessun omosessuale aveva mai pensato che la storia d’amore tra un maturo uomo di potere e un efebo di quattordici, quindici anni, rimorchiato in Bitinia e venerato fino alla deificazione, non senza la ricca spremitura dell’eros carnale, potesse risultare edificante, sentimentale e, vedremo ora in che senso, vibrante.
Nel giornale online edito da Taki Theodoracopulos, vecchio amico dandy di Gianni Agnelli ai tempi d’oro della bella vita romana, è stato pubblicato mercoledì 27 marzo un articolo spiritoso di Steve Sailer: racconta come nella nostra “disco era” il termine “vibrante”, che una volta era trascurato dalla buona letteratura internazionale, sia diventato di uso più che comune. Obama, la Merkel, i pianificatori urbanistici e i community organizer, i cronisti del New York Times: tutti usano “vibrante” per descrivere l’aspetto più dinamico ed eccitante del pensare positivo, quando l’attenzione moderna si localizza su una situazione che luccica e incanta. Se cercate su Google, in questo caso veramente Gogol, alle parole Haiti e vibrante troverete, per descrivere quell’isola di Pasqua della gay culture, le espressioni “vibrant literary community” o “vibrant Haitian civil culture”. Ma invano cerchereste una qualunque relazione di realtà tra Haiti, la vibrazione e il terremoto.
Alcuni americani, anche quelli inclini a equiparare il matrimonio tra persone dello stesso sesso a quello più consueto, si domandano come sia stato possibile un così rapido cambiamento di mentalità nella società, che ancora ieri era contro il gay marriage e adesso, in pochi anni, è diventata pro, tra i giovani per i due terzi del campione. Secondo Sailer, se vuoi sapere perché la causa delle nozze frocie è così popolare tra i tipi middle class da Camera di commercio, basta pensare all’abuso della parola “vibrante”. Ma deve esserci stata anche una rapida rilettura del libro della Yourcenar.
Insomma, la tesi di questo elzeviretto è semplice. Tutto è buono della Yourcenar e del suo mito letterario gay ante litteram, tranne la infinita ricezione estetizzante, e molto volgarmente edificante, fondata sulla normalizzazione e sull’inserimento, nel sentimentalmente corretto, di una vibrazione esistenziale molto complicata e controversa. Non voglio ora fermarmi sulla strana faccenda degli amori adolescenti e della differenza di giudizio su di essi a seconda delle circostanze: perfetti e stilizzati per gli imperatori al tramonto, criminali anzi abominevoli per i preti, ridicoli per i paggetti del Congresso, da sopportare nel segno della tragedia e dell’impellenza di vivere quando si tratti di poeti da RaiTre.
C’è una mostra in corso a Villa Adriana, presso Tivoli, e tutti ne cantano le lodi paragay, abbellite dallo splendore della biografia della Yourcenar che si sovrappone, trionfalmente archeologica e lesbica, alla vita imperitura del mito di Adriano e Antinoo. C’è una mostra fotografica al Parco della Musica, e sono sessanta fotografie anni Venti di Tina Modotti, la compagna sexy e avventuriera di Vittorio Vidali, con il trionfo old fashion dei proletariati sudamericani, della miseria rivoluzionaria e della figaggine hollywoodiana, i molti mondi di Tina. Non sto a dirvi quale delle due credo sia la più vibrante.


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