Ministro a sua insaputa

L'umiliazione di Terzi sui Marò è solo l'ultima prova di inadeguatezza

New York. Mentre Mario Monti e Giorgio Napolitano sfiduciavano di fatto il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ribaltando la decisione di trattenere i nostri Marò in Italia, questi certificava su Facebook la sua estraneità al processo decisionale. A chi domandava conferme sulla notizia, appena uscita, del ritorno in India dei fucilieri, Terzi ha risposto sprezzante: “E’ strano che il ministro degli Esteri della Repubblica italiana non ne sappia nulla…”. Pochi minuti dopo è arrivata la conferma della restituzione all’insaputa del ministro, logica conseguenza della decisione precedente, quella di procedere allo strappo diplomatico e trattenere i militari in Italia.

    New York. Mentre Mario Monti e Giorgio Napolitano sfiduciavano di fatto il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ribaltando la decisione di trattenere i nostri Marò in Italia, questi certificava su Facebook la sua estraneità al processo decisionale. A chi domandava conferme sulla notizia, appena uscita, del ritorno in India dei fucilieri, Terzi ha risposto sprezzante: “E’ strano che il ministro degli Esteri della Repubblica italiana non ne sappia nulla…”. Pochi minuti dopo è arrivata la conferma della restituzione all’insaputa del ministro, logica conseguenza della decisione precedente, quella di procedere allo strappo diplomatico e trattenere i militari in Italia.
    Fonti della Farnesina dicono che Terzi da dicembre ha in testa il piano e, approfittando anche della distrazione elettorale, ha convinto il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, a unirsi al colpo di mano, realizzato mentre Monti era a Bruxelles. Napolitano aveva già messo in chiaro la sua posizione (“la parola va rispettata”) ma questo non ha impedito al ministro degli Esteri di coronare il disonorevole pasticcio diplomatico. L’ultimo araldo del fallimento terziano è stato Corrado Passera, il ministro dello Sviluppo economico, invitato da Monti a quantificare, durante la tesa riunione del Cisr (il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica) le enormi conseguenze economiche dello sgarbo agli indiani. E’ stato soltanto il segno finale di un isolamento costruito nel tempo – e ora avvolto nella bufera politica – che alle telecamere di Sky il ministro ha nascosto dietro il dito della “scelta collegiale”. In un’intervista a Repubblica Terzi ha detto che “senza lo strappo non avremmo potuto contrattare con il governo indiano le condizioni attuali, che prevedono per loro condizioni di vivibilità quotidiana nel paese e la garanzia che non verrà applicata la pena massima prevista per il reato di cui sono accusati”; la “conquista” è stata smentita da una nota del ministero degli Esteri indiano, in cui si dice che non c’è stato alcun cambiamento di posizione: Massimiliano Latorre e Salvatore Girone tornano a Nuova Delhi “alle condizioni stabilite dalla Corte il 18 gennaio 2013; e secondo la consolidata giurisprudenza indiana, il caso non rientra nella categoria di reati che comportano la pena di morte, il più raro fra i casi rari”. 

    Quella che Terzi presenta come una scaltra manovra per evitare ai soldati il patibolo è un’operazione di cosmesi postuma per imbellettare l’errore. La strategia non è nuova. Se è vero che c’è chi chiede le sue dimissioni da quando, su indicazione della Farnesina, la nave Enrica Lexie è attraccata nel porto di Kochi, all’interno del governo la sua posizione si è aggravata in modo definitivo quando qualcuno ha consegnato a Monti una nota scritta dal predecessore di Terzi, Franco Frattini, nella quale si sconsigliava l’impiego di nostri soldati sulle navi al largo dell’India, perché un eventuale scontro a fuoco avrebbe creato problemi di giurisdizione. E’ stata la decisione di disattendere le indicazioni del precedente governo a innescare il meccanismo dei negoziati trasversali e dei colpi di mano. Da quel momento i già freddi rapporti fra Monti e Terzi si sono congelati. Non ha favorito il disgelo lo scontro sul voto per il riconoscimento della Palestina all’Onu: Terzi voleva l’astensione, Monti – in accordo con Napolitano e in linea con la posizione europea – ha deciso per il voto favorevole. Non ha aiutato nemmeno quella che un diplomatico definisce “l’idiosincrasia antieuropea” del ministro, che ha costretto in più occasioni l’ufficio di Catherine Ashton a richiedere a Palazzo Chigi manovre di contenimento degli eccessi del ministro.

    Limitare il disonore per la Farnesina
    Sul fronte interno, quello della gestione della macchina ministeriale, Terzi non ha attirato più simpatie. Ha favorito il passaggio del segretario generale, Giampiero Massolo, al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (i due erano originariamente alleati, ma le strade si sono poi divise) e quando si è trattato di nominare un successore è intervenuto – ancora una volta – Napolitano, che durante un viaggio a Tunisi nel maggio del 2012 ha “suggerito” il nome di Michele Valensise, sgradito a Terzi. In poco più di un anno ha riempito le caselle del ministero di suoi pretoriani e ha incontrato il veto del Quirinale soltanto quando ha proposto la promozione di Placido Vigo a Buenos Aires, lui che a Panama si era invischiato in affari tutti da chiarire. Un ambasciatore di grado dice che ora la segreteria generale dovrebbe avere “il coraggio di sfiduciarlo” e i maggiorenti dovrebbero organizzare un “ammutinamento” per non disonorare la diplomazia italiana.

    Un diplomatico che conosce bene Terzi dice al Foglio che “quello che è successo è perfettamente in linea con la sua personalità”: un accentratore con qualche punta di nervosismo non proprio diplomatico. Nel 2011, in qualità di ambasciatore a Washington, ha fatto una scenata iraconda ai suoi collaboratori in un corridoio del dipartimento di stato durante la visita di Napolitano. I serafici americani non hanno gradito l’esternazione. A Washington Terzi è arrivato con una triangolazione gestita dal suo ex protettore, Gianfranco Fini, e da allora si divide fra la coltivazione delle ambizioni politiche e l’occupazione del territorio diplomatico. L’approdo al governo tecnico è stato il frutto di un compromesso offerto da Fini e recepito da Angelino Alfano, il cui consigliere diplomatico aveva lavorato con Terzi. Nell’ultima campagna ha fatto di tutto per ottenere un posto e se l’opzione della lista Monti era esclusa, vista la qualità dei rapporti fra i due, l’unico approdo rimaneva il Pdl. E’ durante un pranzo al circolo della caccia che il Cav. gli ha negato un posto in lista e anche la candidatura a sindaco di Bergamo, l’ultima spiaggia. Forse per questo Terzi è uscito dalla cabina elettorale del seggio di Brembate di Sopra chiedendo una nuova scheda: “Ho sbagliato a votare”.