La parabola di Monti

Giuliano Ferrara

Monti non avrebbe dovuto diventare presidente del Consiglio per nomina presidenziale senza legittimazione popolare. Meglio le elezioni, l’ordalia. Una volta deciso in contrario, Monti avrebbe dovuto chiudere il suo ciclo governativo assistendo da spettatore all’orrendo spettacolo della ritrovata democrazia elettorale, spartita da una classe dirigente senza visione. Ne sarebbe uscito fuori come un gigante. Una volta deciso in contrario, con buffo rovesciamento di un assunto più volte declamato in pubblico (tra poco avrò finito i compiti), Monti non avrebbe dovuto mischiarsi a una compagnia di giro improvvisata, un po’ di cattolici che non si impegnano, l’agenzia di Montezemolo, il quale se ne frega, e addirittura Fini e Casini.

    Monti non avrebbe dovuto diventare presidente del Consiglio per nomina presidenziale senza legittimazione popolare. Meglio le elezioni, l’ordalia. Una volta deciso in contrario, Monti avrebbe dovuto chiudere il suo ciclo governativo assistendo da spettatore all’orrendo spettacolo della ritrovata democrazia elettorale, spartita da una classe dirigente senza visione. Ne sarebbe uscito fuori come un gigante. Una volta deciso in contrario, con buffo rovesciamento di un assunto più volte declamato in pubblico (tra poco avrò finito i compiti), Monti non avrebbe dovuto mischiarsi a una compagnia di giro improvvisata, un po’ di cattolici che non si impegnano, l’agenzia di Montezemolo, il quale se ne frega, e addirittura Fini e Casini. Risultato: una piccola e rovinosa carriera politica, un risultato meschino e, ora si vede, anche ingestibile con dignità.

    Monti avrebbe dovuto avere dalla sua Confindustria, Fiat (con Marchionne in testa), banche, giornali borghesi e patti di sindacato, università e cultura civile, e un’epica schiera fatta di buona e alta amministrazione, di media e piccola impresa organizzata, più i sindacati aziendalisti e cosiddetti riformisti. Un’Italia che non esiste. Una superlista con l’alta ambizione di “depoliticizzare” la democrazia nell’ora dell’Europa sovranazionale e dei mercati a frontiere aperte, per creare nell’Italia iperprotetta e ipercorporativa che sappiamo il sostituto dell’Ena francese, delle grandi scuole britanniche, dello spirito prussiano che unifica la Germania nei momenti importanti. Ha avuto solo Bombassei e Buitoni Borletti, rispettabili figure isolate, ma un po’ poco. Ora gli converrebbe dire: io ci ho provato, ho fatto qualche errore, spero che il buono da me realizzato qualcuno trovi il modo di continuarlo e di rilanciarlo, mi ritiro in buono stile, riprendo a scrivere, insegnare e agire nella sfera d’influenza sottratta ai vaffanculo della politica d’oggi e ai piccoli trabocchetti parlamentari di cui non sono esperto. Cavatevela, e grazie di tutto, cari italiani e amici borghesi. Io non mi aspetto riconoscenza.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.