
Quanto è difficile scrivere un romanzo al tempo dei social network
Patricia Highsmith lasciò tre milioni di dollari alla colonia per scrittori di Yaddo, dove era stata per due mesi nel 1948. Su suggerimento di Truman Capote, la ventisettenne riscrisse “Sconosciuti in treno”: il romanzo non ebbe gran successo di pubblico ma nel 1950 attirò l’attenzione di Hitchcock, che ne ricavò un film. Da qui la ricca eredità lasciata alla residenza per artisti di Saratoga Springs, New York. Nell’albo d’oro, dal 1900 a oggi, ci sono seimila nomi. Tutti felici di avere trovato pace, tranquillità, distacco dalle grane familiari, magari qualche amorazzo per svagarsi nelle ore libere.
Patricia Highsmith lasciò tre milioni di dollari alla colonia per scrittori di Yaddo, dove era stata per due mesi nel 1948. Su suggerimento di Truman Capote, la ventisettenne riscrisse “Sconosciuti in treno”: il romanzo non ebbe gran successo di pubblico ma nel 1950 attirò l’attenzione di Hitchcock, che ne ricavò un film. Da qui la ricca eredità lasciata alla residenza per artisti di Saratoga Springs, New York. Nell’albo d’oro, dal 1900 a oggi, ci sono seimila nomi. Tutti felici di avere trovato pace, tranquillità, distacco dalle grane familiari, magari qualche amorazzo per svagarsi nelle ore libere.
“Sonnellini compulsivi, letture compulsive, onanismo compulsivo”: queste erano le distrazioni secondo Jonathan Ames, che a Yaddo è stato nove volte, fa parte del comitato direttivo, e in “Sveglia, Sir!” racconta un romanziere alcolista reso ricco da una provvidenziale assicurazione dopo una caduta sul ghiaccio. Ames è il primo a confessare le nuove turpitudini: “Ora faccio le stesse cose di prima, ma in più c’è Internet. Probabilmente non scriverò mai più un romanzo”. Fa calcoli precisi anche Junot Díaz, nato a Santo Domingo e ora cittadino americano, che con “La breve favolosa vita di Oscar Wao” vinse il premio Pulitzer nel 2007: “Se vado avanti così per i prossimi trent’anni, sacrificherò alle mie distrazioni internettiane un romanzo e mezzo, e non c’è da esserne fieri”. Si era appena disintossicato dai social network, quando l’editore gli chiese di tornare in pista per promuovere l’ultimo libro “This is How you Lose Her”: “In due giorni avevo ripreso i ritmi forsennati di prima”.
Le colonie per scrittori corrono ai ripari. Lo racconta Alex Mar sul supplemento libri del New York Times, certificando di essersi stabilito in una capannuccia nei boschi del New Hampshire (ospite per quattro settimane alla MacDowell Colony) e di aver magnificamente lavorato senza distrazioni. Fino a quando ha scoperto che in un angoletto del portico l’iPhone aveva campo. Fine della produttività, inizio dei sotterfugi: usciva al gelo per controllare i messaggi, e addio consegna nei tempi previsti dal contratto editoriale.
A Yaddo nel 1981 c’erano solo telefoni a pagamento. La politica attuale fornisce il wi-fi soltanto in biblioteca: il dettaglio viene chiarito immediatamente a chi fa richiesta per un soggiorno, per evitare isterie. Secondo Alex Mar – l’articolo è intitolato “Cento secondi di solitudine”, in memoria di quando si scrivevano e si leggevano romanzi fiume – uno scrittore ha una crisi di ispirazione ogni dieci minuti circa. Anche la lettura ne risente, calcola ancora Junot Díaz: “Sono passato da un libro alla settimana a un libro al mese”. Altri, come Geoff Dyer – le sue storie di jazz “Natura morta con custodia di sax” sono state pubblicate una decina di anni fa da Instar Libri – si dicono convinti che “limitare l’accesso a Internet sia una violazione dei diritti umani”. Aveva affittato uno studio senza collegamenti e distrazioni, è precipitosamente tornato a scrivere nella cucina di casa.
Sapevamo di Jonathan Franzen, che odia i social network e per allontanare le tentazioni ha usato la colla per rendere inservibili le porte del computer. Altri più tecnologici si affidano alle App scolleganti, che è come tenere il frigo vuoto per non distrarsi mangiucchiando. Il vero rischio è che gli scrittori professionisti si pongano il problema, e gli scrittori dilettanti invece no. Che i primi combattano per la concentrazione, e gli altri sfornino romanzi scritti tra un tweet e l’altro. Tanto chi li legge sarà altrettanto distratto e difficilmente si accorgerà dei buchi.


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