Non è come otto anni fa, tanti auguri per l'extra omnes

Giuliano Ferrara

Martedì è il gran giorno dell’extra omnes. Otto anni fa Joseph Ratzinger fu scelto come Papa dopo aver pronunciato un duro giudizio pasquale sulla sporcizia nella chiesa e dopo avere denunciato con sconvolgente vigore omiletico la dittatura del relativismo che riconosce soltanto l’Io e le sue voglie. I signori cardinali sapevano quel che avevano da fare in conclave, e conclusero in fretta il complicato lavoro politico e spirituale di dare un ancoraggio sicuro, un’autorità indiscutibile, alla cristianità universale. Oggi è diverso.

Leggi La libertà cristiana in Europa di Christoph Schönborn

    Martedì è il gran giorno dell’extra omnes. Otto anni fa Joseph Ratzinger fu scelto come Papa dopo aver pronunciato un duro giudizio pasquale sulla sporcizia nella chiesa e dopo avere denunciato con sconvolgente vigore omiletico la dittatura del relativismo che riconosce soltanto l’Io e le sue voglie. I signori cardinali sapevano quel che avevano da fare in conclave, e conclusero in fretta il complicato lavoro politico e spirituale di dare un ancoraggio sicuro, un’autorità indiscutibile, alla cristianità universale. Oggi è diverso.

    Otto anni fa la decisione veniva dopo un quarto di secolo dominato da una forte reazione restauratrice alla follia implicita nella ricezione modernista e assembleare del Concilio Vaticano II. Cristo è un uomo, dicevano, un povero, una metafora mitica del divino che muore e risorge per la salvezza dai peccati, è un maestro d’amore e di giustizia, la chiesa non è il suo corpo mistico, è per sua natura peccatrice, solo il posto spirituale di un Cristo umanizzato e destituito di ogni autorità che non sia l’incontro con la coscienza credente, nel cuore del credente, del singolo credente, senza medizioni sacerdotali, papolatriche, è al sicuro da ogni contaminazione. La tradizione cattolica come base della fede e della devozione e dell’obbedienza era stata radicalmente rovesciata in nome della libertà e dell’incontro con i tempi, e Giovanni Paolo II, il Papa polacco, aveva deciso di rimetterla all’onore della cristianità con un discorso temprato nella dottrina e nell’empito razionale di un teologo come Ratzinger, fondato sulla rimozione di ogni residuo di antigiudaismo cristiano, ma affidato al fascino personale del vescovo di Roma, alla sua capacità di tenere la scena mondiale e produrre grandi fatti politici nel cuore del cristianesimo, in Europa e sopra tutto nell’est travolto da decenni di comunismo ateo, e laddove il cristianesimo stava rinnovando la sua identità, nel resto del mondo. Il Cristo di Giovanni Paolo II era via verità e vita, cioè il compendio di ogni possibile autorità, altro che il Gesù bambino di Ermanno Olmi, un bravo cristiano che pensa sia sempre Natale.

    Eleggere Ratzinger, otto anni fa, voleva dire attuare un programma noto. Voleva dire dislocare l’opzione complessa di un Conclave su un crinale conosciuto, in un territorio perimetrato da idee chiare, discutibili ma chiare. Per anni il prefetto teologo divenuto Papa aveva intrecciato una discussione aperta, onesta, impegnativa con gli intellettuali laici d’Europa e del mondo, e aveva fissato le coordinate possibili, in collaborazione con loro, per ripristinare un terreno di ragione, di realismo cristiano, che fosse anche un fatto politico, che producesse un novità nello spazio pubblico e nel diritto pubblico europeo e occidentale. Oggi non è più così. Oggi siamo davanti alla consumazione nella malinconia e nella rissosità prelatizia del programma di Ratzinger, attuato solo con le pur potenti armi della scrittura e della predicazione, ma non con quelle callide e in definitiva efficaci del governo della chiesa e delle conferenze episcopali; programma infine rivendicato come occasione perduta e come speranza da una rinuncia che parla il linguaggio alto e solenne delle grandi occasioni.

    Questo impone una scelta meno limpida, almeno in partenza. Non c’è un sicuro percorso, non ci sono candidati impegnati a un cammino che si conosca, che sia stato apertamente dichiarato, ci sono allusioni e mazurche e minuetti ballati entro le figure di vecchi schieramenti, curia e clero mondiale, centro e decentramento, collegialità e primato, progressismo e conservazione dottrinale, geopolitica delle passioni cristiane, e sopra tutto molto pettegolezzo finanziario e sessuale, segno certo del fatto che la chiesa ha per sé il futuro, specie per chi crede con intensità e purezza di cuore, ma nel presente è seriamente ammalata. Auguriamoci che la chiesa sappia resistere alla pressione del secolo, che è il secolo del soggettivismo e dei mass media, e scegliere un capo che difenda la sua autonomia, la sua funzione non soltanto introspettiva, la sua gagliarda rilevanza e problematicità in un mondo tanto banale e sbilenco.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.