L'invasione degli ultragrilli

Marianna Rizzini

Non hanno mandato l’ambasciatore in avanscoperta come i marziani dai grandi occhi del film “Mars attacks!”, gli alieni grillini che roteano con le astronavi sul cielo sopra Roma, fermandosi ogni tanto qui e lì, indistinti per volontà, spersonalizzati per autoconvincimento, come avessero sempre addosso la maschera di Anonymous che indossano in piazza – senza partito, senza statuto, senza sedi, senza quadri, senza mediatori, senza ufficiali di collegamento e senza soldi da democrazia corporea (non ne vogliono). Eppure la scena, al momento, sembra proprio quella dei marziani di Tim Burton.

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    Non hanno mandato l’ambasciatore in avanscoperta come i marziani dai grandi occhi del film “Mars attacks!”, gli alieni grillini che roteano con le astronavi sul cielo sopra Roma, fermandosi ogni tanto qui e lì, indistinti per volontà, spersonalizzati per autoconvincimento, come avessero sempre addosso la maschera di Anonymous che indossano in piazza – senza partito, senza statuto, senza sedi, senza quadri, senza mediatori, senza ufficiali di collegamento e senza soldi da democrazia corporea (non ne vogliono). Eppure la scena, al momento, sembra proprio quella dei marziani di Tim Burton: l’extraterrestre arriva, il presidente terrestre non capisce bene che cosa stia dicendo, il traduttore universale serve a poco, i due si parlano senza intendersi, uno pensa di aver fatto l’accordo e l’altro prepara i fucili laser della guerra. Non ce l’hanno nemmeno, l’ambasciatore, gli alieni grillini, che un po’ alieni sono davvero, “estranei” della Repubblica per come la si conosce. La rivoluzione è quella della forma. Non c’è un luogo fisico, non permanente, c’è soltanto l’indirizzo di un blog a cui devono guardare loro, gli eletti al Parlamento, e tutti quelli che con il loro capo in ologramma vorrebbero parlare – un blog che ogni giorno alla stessa ora dice qualcosa che diventa verbo da commentare, sposare, moltiplicare. O lo prendi o lo rifiuti, ma se lo rifiuti sei fuori. Se ti relazioni con il resto, e cioè con la baracca della democrazia imperfetta per com’è stata finora, rischi di dissolverti – ecco il perché delle passate espulsioni esemplari, con la gogna per il trasgressore-donna che va al talk-show. Ma se non ti relazioni, se non getti la maschera da Anonymous, non è detto che tutto funzioni come previsto nell’incorporeo universo del Web: questo il problema, ora, per Grillo e per i suoi eletti. Posizione di forza, ma pure rischio cul-de-sac (anche se per ora nel cul-de-sac ci sono gli altri, gli avversari politici). E infatti Grillo non si relaziona, per ora, vieta ai suoi di relazionarsi, contaminarsi, disegna attorno a loro il confine tra Terra e spazio, e continua a uscire dal retro (o dall’uliveto) della villa di Sant’Ilario per non parlare al contesto con i canoni del contesto, e allora parla solo con la Bbc, con toni da visionario, non da tribuno che con tutto il corpo esprimeva la rabbia in campagna elettorale (Stretto di Messina a nuoto, braccia che fendono l’aria, voce roca, capelli grondanti).

    E mentre i suoi alieni entrano a Roma come senza entrarci, come all’interno di una bolla trasparente, con le sembianze del vicino di casa, effettivamente vicini di casa se presi come singoli, ma anonimi e lontani per volontà loro e del capo nell’unicum grillino, Beppe Grillo dice alla Bbc che la rabbia sollevata da lui è anche “ottimistica”, non come quella “senza speranza che crea violenza”, e che lui la contiene, la rabbia, e che dovrebbero ringraziarlo. “Vedrai, vedrai”, dice Grillo all’interlocutore inglese, in quanto inglese simbolicamente non terrestre come la Terra che vorrebbe veder invasa dai suoi cittadini-ultracorpi. “Vedrai”, dice Grillo: noi “non vogliamo rimpiazzare”, “vogliamo distruggere tutto”, è “un nuovo modo di pensare: fuori i partiti, cittadini al posto dei partiti, rovesciare la piramide”. “Il Pd vuole il mercato delle vacche, non siamo in vendita, hanno la faccia come il culo, modo puttanesco di fare politica”, dice Grillo, mentre il suo spin doctor Gianroberto Casaleggio, in una rara intervista al Guardian – sempre “estero su estero” – dice che il movimento non darà fiducia ad alcun governo, ma solo, eventualmente, “limitato appoggio” a un “governo di minoranza” formato da altri partiti, nel senso spiegato più volte da Grillo (voto soltanto alle proposte che si sposano con il programma a Cinque stelle). Il movimento non vuole entrare “nel processo” durante il quale il presidente della Repubblica decide se esistono le condizioni per formare un governo, dice Casaleggio, l’uomo che nei suoi sempre cliccati video robotici “Gaia” e “Prometheus” ha disegnato quello che secondo lui sarà l’avvenire del mondo post Terza guerra mondiale, con distruzione di monumenti e democrazia diretta degli Avatar su Google (al posto degli uomini in carne e ossa). E insomma il primo partito alla Camera, l’M5s, costringe gli osservatori a una caccia al tesoro con le parole dei suoi due leader: cerca qui, cerca lì, un po’ sul blog un po’ sul Guardian un po’ su Twitter, e componi il quadro, se ci riesci. E siccome Grillo si era dichiarato pronto ad andare di persona alle consultazioni con Giorgio Napolitano, al giornalista inglese (John Hooper) sembra che Casaleggio sia “su una linea ancora più dura” dell’ex comico, e già col pensiero alla presa del governo da soli, un giorno. Ma al Guardian sembra anche che Casaleggio non sia così sfavorevole a un “governo tecnico” sostenuto dai principali partiti (un altro), cosa che può mettere in luce le magagne altrui, e dare slancio all’argomento dell’M5s: “Siamo la sola unica alternativa”.

    “Uno vale uno”, cantavano la sera della vittoria i grillini eletti. Hanno due inni, e tutti e due gli inni ripetono quel concetto, formula magica autorassicurante: chiunque può essere al posto di chiunque, capigruppo alla Camera e al Senato a rotazione, parlare a rotazione, comunicare a rotazione, perché non è l’individuo che pensa e parla, ma il totem “Movimento”, divinità che assume di volta in volta le sembianze di questo o di quell’attivista. Sappiamo quello che “non” siamo, sembrano dire i nuovi marziani a Roma, e in quel “non” c’è la forza e la debolezza. Il primo inno, scritto da Fabrizio Nano, rapper della crex Sanobusiness, e da dj Nais, è il non-statuto musicato: “Non siamo un partito / non siamo una casta / siamo cittadini punto e basta. Ognuno vale uno, ognuno vale uno / ognuno vale uno, vale, vale, uno / c’è un Movimento senza capi né padroni / puoi trovarlo sotto la voce non associazioni / una rete di persone in connessione diretta / siamo il popolo del Web in diretta con le webcam / … Destra e sinistra sono solo congetture / non si arrenderanno mai! Ma gli conviene? Noi neppure!”. Il secondo inno, “L’Urlo della rete”, la cosiddetta “taranta” del Movimento cinque stelle, scritta dal giornalista Rai Leonardo Metalli con Raffaello Di Pietro, aveva ricevuto inizialmente, sul blog di Grillo, anche i commenti negativi degli attivisti più realisti del re, che lo trovavano poco ortodosso (l’autoironia non spopola nell’astronave grillina), nonostante il ritornello che rimandava alla formula “uno vale uno”: “Forza, coraggio brava gente / da sempre indifferente / solo chi merita / batte il prepotente / vita che corre sulla rete / chi ha cuore e chi ci crede, riforma le città / vita rubata dai cialtroni / vestiti da buffoni che mangiano milioni / Uno che Vale Uno / niente e nessuno la rete fermerà / figlio di brava gente, mettiti in gioco e la vita cambierà / Basta amici cittadini / salviamoci i bambini, che siamo tutti nei casini… pensa a quei nonni poveretti frugar nei cassonetti / senza più dignità / altri coi soldi nel cassetto oppure sotto al letto / nulla da dichiarar…”. Poi però, l’“Urlo della rete” è diventato il canto della vittoria, intonato dagli eletti duranti i festeggiamenti al Bar del Fico, una volta tempio della movida radical-chic. Erano lì, al bar, a mangiare frittelle, di nuovo apparentemente nelle sembianze dei vicini di casa, ma al primo accenno di discorso sul “che farete?” tornavano a essere alieni e fedeli al modulo stabilito: non parlare, parlare con una sola voce, rimandare al blog, al tweet di Grillo, al post di Grillo, e non avventurarsi a dire qualcosa di non sdoganato dal grande capo.

    Su Repubblica Andrea Manzella guarda all’Aula nuova delle “Idi di marzo” (si insedia il 15) come possibile “interporto delle rappresentanze smarrite”, e si augura la “parlamentarizzazione” come rinnovamento “di queste molte Italie in un rapporto continuo e diretto con la democrazia parlamentare… la speranza è che la nuova classe di eletti si metta subito al lavoro, decisa non a una sterile occupazione del Parlamento: ma alla sua trasformazione per ‘occupare’, per ‘parlamentarizzare’ il paese”. E però quello che si vede non è la volontà di osmosi. Non si vede come e se lo sbarco dall’astronave si farà rapporto con la democrazia per come la si conosce. Per ora c’è un “codice di comportamento” per deputati e senatori che vieta di associarsi “con altri partiti o gruppi se non per votazioni su punti condivisi”, vieta di andare ospiti nei talk-show (si comunica giornalmente via YouTube: le votazioni parlamentari vengono “motivate e spiegate giornalmente con un video”) e stabilisce, come la lettera che i candidati al Parlamento hanno dovuto pre-firmare, che i fondi per la comunicazione dei gruppi parlamentari vadano a una società di comunicazione “designata” da Beppe Grillo (altro che partito-azienda). Non aiuta il paragone con i Pirati tedeschi, alieni solo a metà, e anche già in crisi: hanno una struttura partitica ridotta ma articolata, i Piraten, come prevede la legge sui partiti in Germania. Hanno dunque un leader, delle sotto organizzazioni territoriali (regionali, comunali) ognuna con un suo capo. Hanno anche formazioni giovanili e nelle scuole secondarie. Usano la piattaforma liquid feedback per votare sul Web, ma il leader viene eletto ogni anno al congresso nazionale del partito, e ovviamente anche i suoi vice. Vivono la fase di disinnamoramento dell’elettorato dopo il grande amore, i Piraten, con litigiosità interna e ostracismo internettiano di chi la pensa diversamente. I “marziani” grillini di oggi, invece, si mettono fuori dalla forma conosciuta per non sfiorare l’omologazione, sospettosi verso chi rappresenta la baracca scomunicata dal leader. Né “sono nuovi barbari” come i leghisti di ieri, che comunque entravano (a modo loro) nel codice e nel gioco, come pure ci entravano i nuovi parlamentari di Forza Italia nel 1994, strani animali per l’occhio da Prima Repubblica, diversi negli abiti e nell’eloquio, non certo per la volontà di essere “altro”.
    Marco Travaglio, sul Fatto, vede già in Parlamento “volti freschi e sorridenti” contro il “carrello di bolliti carichi di rimborsi pubblici, indennità, diarie, gettoni di presenza e assenza, prebende, pennacchi… pappagorge, bargigli, ascelle, parrucchini, tinture e ceroni colanti, dentiere, forfore, alitosi, flatulenze, prostate gonfie, plantari, cateteri e pannoloni”. Ma quale sarà l’esito della “rivoluzione” non si sa. La rivoluzione, intanto, è non accettazione della forma altrui, oltreché spersonalizzazione: non si parla per sé; prendi tutto o niente; il dissenso, se c’è, te lo tieni, e se vuoi tirarlo fuori è preludio del distacco; non ci si discosta dalla linea del blog, si coltiva il mito del formicaio in cui lavorare alacremente e anonimamente.

    Non vogliono essere chiamati setta, i grillini, non volevano neanche essere chiamati grillini, l’avevano detto ai giornalisti – noi siamo “attivisti a Cinque stelle” – e dicono che non è vero che Gianroberto Casaleggio è il loro santone. Ma è pur sempre un’azienda di e-commerce, la Casaleggio associati, a far apparire il verbo di Grillo quotidianamente sullo schermo, e a diffondere nella rete, anche con altre voci, l’idea di giorno del giudizio con catarsi e rigenerazione internettiana che spazza via i poteri forti e oscuri. Tra gli eletti al nuovo Parlamento c’è chi crede che così si faranno fuori le “massonerie” e i “complotti”, e c’è chi considera “illuminante” il documentario “Zeitgeist, the Movie”, prodotto e diretto da Peter Joseph, punto di riferimento del cospirazionismo, con lettura astrologica della Bibbia e rivisitazione degli attentati dell’11 settembre 2001: chi può averne tratto beneficio? chi non ha evitato anche potendo evitare? (corollario: chi poteva tirarsi giù le torri, magari?). Tutto porta alle “logiche affaristiche” dei maggiori cartelli bancari statunitensi e della Federal Reserve, con flashback dalla Prima guerra mondiale a oggi.

    Sono comunque Grillo e Casaleggio, due demiurghi e una sola voce, a decidere le regole. Non c’è possibilità di fare battaglie interne (congresso) per contestare o sostituire la leadership – se lo permette, l’M5s rischia di diventare altro, e quindi di perdersi, e di perdere consenso. E’ cancellata, per il momento, l’interlocuzione con il nemico partitico là fuori, sono livellate le differenze individuali. Non riesce a illuminare l’individuo neanche l’opera di scandaglio dei vari fenotipi degli eletti grillini – la giovane laureata in Alabama (Marta Grande), il reporter con esperienza sulle Ande (Alessandro Di Battista), il tecnico Rai di Malagrotta che ricicla limoni, si fa il detersivo e si arrampica sui tetti per spiegare la nuova ecologia (Stefano Vignaroli), l’ex commessa ed ex disoccupata veneta (Arianna Spessotto), la senatrice romana anche stornellista (Paola Taverna), il No Tav (Marco Scibona), il veterano della lotta al rifiuto, fondatore del meet-up di Napoli (Roberto Fico), il pilastro del grillismo lombardo (Vito Crimi), la biologa laziale (Ivana Simeoni), l’avvocato cinquantenne che tifa per la green economy (Cristina De Pietro), l’insegnante di sostegno (in Sardegna) Manuela Serra, il fan di Chávez (Bartolomeo Pepe), la studentessa emiliana (Giulia Sarti) e la mamma ex disoccupata (Mara Mucci). C’è il maestro e il medico, l’ingegnere e l’impiegato, ci sono storie individuali da illuminare, ma per Grillo (e quindi per gli eletti) non devono avere importanza. Questo dicono i neo parlamentari, facendosi appunto manipolo anche quando, all’Esquilino, si vedono per brindare, come tutti, di nuovo individui, fra turisti rubizzi, maxischermi e curiosi infiltrati che provano a rompere la corazza, solo che il manipolo può farsi affabile ma non permeabile, adesso, pena l’annacquamento nella fuffa, nel vecchio, nel già morto (Beppe Grillo per mesi ha usato un lessico da funerale preventivo, pieno di “zombie” e “morti che parlano”). Cercano casa in condivisione, i nuovi parlamentari che vogliono dirsi “cittadini” e non “onorevoli”, altro simbolo del voler essere “indistinto grillino”, e attendono la riunione di lunedì con Grillo e Casaleggio, a Roma, da cui uscirà la linea da vidimare con sondaggio online (la tattica intanto la gestisce direttamente Grillo).

    Attorno alla bolla dei nuovi arrivati si parla di scenari, soluzioni, uscite dall’Aula, governissimi, governi di minoranza, governi a Cinque stelle, e partono petizioni pro e contro l’idea di un “accordo” Bersani-Grillo (su change.org si sono fronteggiate entrambe le fazioni, con il blog di Grillo che accusava la fazione “pro accordo” di essere farina di un sacco infiltrato). Grillo sbatte sempre la scarpa sul tavolo – no, no e no – mentre, nella terra di nessuno tra alieni e terrestri, si muovono Dario Fo come pontiere con il Pd e Adriano Celentano come decrittatore, Romano Prodi come persona non sgradita ai grillini e Gustavo Zagrebelsky come ipotesi gradita all’area Palasharp (possibile premier “neutrale”). Ma è come se al momento l’ascolto nell’astronave grillina non ci fosse. Ci si mettono proprio i tappi per le orecchie, come antidoto alla contaminazione, in ascolto soltanto di Grillo che dal solito blog dice al Pd “volgari adescatori”, e quelle parole si propagano nei blog, nei forum, nelle formule usate per i pochi commenti ufficiosi, come se Grillo avesse parlato in cuffia al suo esercito, un po’ Boncompagni e un po’ Charlie, il capo delle “Charlie’s Angels” che si fa vivo solo via interfono.

    C’è, nell’aria percorsa dall’astronave, la divisione tra “noi” e “loro”, tra quelli che hanno capito come sarà il futuro e quelli che si ostinano a essere ciechi e sordi. C’è l’idea che la democrazia vera sia quella della Rete, anche se poi il parlamentare grillino lo scelgono in duecento o trecento persone sul Web, da Civitavecchia o Canicattì, con il porcellum che facilita il quadro di un manipolo di anonimi che vogliono restare tali, sotto un re taumaturgo che pensa per gli altri, oltre a decidere per gli altri. C’è la realtà con il suo chiaroscuro, e la realtà ipersemplificata sul blog-bibbia. Ed è la diffidenza il sentimento principale, in nome del “noi” e del “voi” che divide il mondo riscritto dai forum.

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    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.