Bruciare Dolan

L’interrogatorio di tre ore al quale è stato sopposto mercoledì l’arcivescovo di New York, il cardinale Timothy Dolan, è arrivato con tempismo avvelenato. Non importa se i fatti sui quali ha riferito riguardano il suo passato come vescovo di Milwaukee, se le vittime degli abusi in quella diocesi sono state risarcite e i colpevoli condannati, se diversi casi sono caduti in prescrizione, se molti degli accusati in uno dei tanti faldoni sulla pedofilia compilati dall’avvocato che voleva trascinare tutta la gerarchia ecclesiastica in tribunale, Jeff Anderson, non erano nemmeno impiegati dell’arcidiocesi di cui Dolan era responsabile.

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    New York. L’interrogatorio di tre ore al quale è stato sopposto mercoledì l’arcivescovo di New York, il cardinale Timothy Dolan, è arrivato con tempismo avvelenato. Non importa se i fatti sui quali ha riferito riguardano il suo passato come vescovo di Milwaukee, se le vittime degli abusi in quella diocesi sono state risarcite e i colpevoli condannati, se diversi casi sono caduti in prescrizione, se molti degli accusati in uno dei tanti faldoni sulla pedofilia compilati dall’avvocato che voleva trascinare tutta la gerarchia ecclesiastica in tribunale, Jeff Anderson, non erano nemmeno impiegati dell’arcidiocesi di cui Dolan era responsabile. Diocesi che poi è stata costretta a dichiarare la bancarotta, il modo migliore per compensare le vittime e tornare a guardare avanti, come aveva detto il successore di Dolan, Jerome Listecki. Quello che importa è che il nome del cardinale è tornato a comparire nei titoli dei giornali accanto alla parola “pedofilia” e si è allontanato dalle altre parole evocate costantemente in questi giorni: soglio, Conclave, trono. E’ una macchia che ritorna dal passato, un promemoria per rammentare maliziosamente all’America e al mondo che Dolan non è quello delle battute fulminanti e delle battaglie a viso aperto contro gli eccessi della secolarizzazione, non è fra quelli che hanno redatto, su richiesta di Benedetto XVI, un rapporto senza sconti sulle vicende che hanno macchiato la chiesa irlandese, ma è quello che una volta ha coperto, o ha omesso di perseguire con il necessario zelo, sacerdoti colpevoli di abusi nell’ambito della diocesi.

    Non poteva che essere il New York Times a dare la notizia, al solito evitando di confezionarlo come un esplicito atto d’accusa e limitandosi a far trillare il campanello che induce salivazioni collettive. Anderson ha detto che “la deposizione del cardinale Dolan è necessaria per mostrare che esiste una pratica sistematica per custodire i segreti e impedire ai sopravvissuti di sapere che sono stati commessi degli abusi”. L’avvocato, insomma, ha convocato il cardinale per riportare alla luce la storia, nel timore che qualcuno se la fosse scordata.

    Il portavoce dell’arcidiocesi di New York ha spiegato che il cardinale “ha avuto l’occasione attesa da tempo per parlare della sua decisione, presa nove anni fa, di rendere pubblici i nomi dei preti che hanno commesso abusi sui minori e del modo in cui ha risposto alla tragedia durante il suo servizio a Milwaukee” e ha ricordato che non è la prima volta che Dolan risponde alle domande degli inquirenti sulla vicenda. Soltanto che questa volta la deposizione è arrivata una settimana prima della partenza del cardinale per Roma, proprio nel momento in cui si intensificano le speculazioni su una sua possibile elezione come successore di Benedetto XVI. Anche dopo l’abdicazione del Papa, Dolan non ha tradito la sua vocazione di grande comunicatore, si è mostrato nei salotti televisivi per commentare l’accaduto e di fronte alle domande dirette sulle possibilità di salire al soglio petrino il tono delle sue risposte è passato da “chi lo dice deve aver fumato marijuana” a “siamo su Abc o su Comedy Central?”. Giornali liberal come il magazine New York, in guerra perenne con il “conservatore” Dolan, il capo della Conferenza episcopale americana che è andato allo scontro frontale con l’Amministrazione Obama sulle linee guida della riforma sanitaria che impongono agli istituti di ispirazione religiosa di offrire metodi contraccettivi ai propri dipendenti, non si sono lasciati sfuggire l’occasione e hanno ripescato vecchie storie dai loro cassetti digitali: i pagamenti ordinati da Dolan ai preti colpevoli di abusi, 55 milioni di dollari nascosti in un fondo segreto, le 575 vittime rappresentate da Anderson. Connettendo con furbizia gli eventi è facile trasformare uno dei più vocianti fautori della purificazione della chiesa in un complice che con volto rubicondo si muove nella zona d’ombra degli abusi. Associarlo alla vicenda del cardinale Roger Mahony, l’ex arcivescovo di Los Angeles che qualcuno giudica inadeguato a partecipare al Conclave per via degli abusi coperti quand’era titolare della cattedra, è fin troppo semplice; con lo stesso metodo si associa la vicenda di Dolan a quella del cardinale Seán O’Malley, cappuccino al quale è assai difficile attribuire colpe dirette – sul laicissimo Boston Globe è apparso anche un appassionato endorsement dell’ex sindaco di Miami, Xavier Suarez – ma con l’opportuna disposizione mentale la sua provenienza dalla travagliata arcidiocesi di Boston può diventare una condizione sufficiente per restaurare un clima di sospetto.

    O’Malley e Dolan sono i nomi americani ricorrenti quando si parla dei papabili. Il primo ha assicurato ai fedeli della diocesi che “il biglietto per Roma è di andata e ritorno”, il secondo si è raccolto privatamente in preghiera e si è fatto pubblicamente grasse risate quando qualcuno ha suggerito l’ipotesi della sua elezione. Non sfugge però la rapidità con cui è passato da titolare di un’arcidiocesi periferica alla cattedra di New York, ricevendo in meno di due anni la nomina a capo della Conferenza episcopale e la berretta cardinalizia. Il tutto nel contesto di un’affinità con Benedetto XVI che non è mai stata nascosta. Per bruciarlo bisognava rivangare vecchie storie con perfetto tempismo.

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