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Papa, una botta di buonumore
Era di buonumore ieri, il Papa regnante che ha messo un limite razionale all’esercizio del ministero petrino, e ne ha ben donde, come si dice. Va dilagando una stupida e facile formula di interpretazione della rinuzia al soglio di Benedetto XVI: se ne è andato perché non poteva fare altro, gravato com’era da dossier che spettegolano di appalti e altre piccole miserie, urtato dall’infedeltà di un maggiordomo cattivo e dai leaks provenienti dall’appartamento pontificio, insospettito e indispettito da una curia romana insidiosamente molesta e proclive alle rivalità carrieristiche.
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Era di buonumore ieri, il Papa regnante che ha messo un limite razionale all’esercizio del ministero petrino, e ne ha ben donde, come si dice. Va dilagando una stupida e facile formula di interpretazione della rinuzia al soglio di Benedetto XVI: se ne è andato perché non poteva fare altro, gravato com’era da dossier che spettegolano di appalti e altre piccole miserie, urtato dall’infedeltà di un maggiordomo cattivo e dai leaks provenienti dall’appartamento pontificio, insospettito e indispettito da una curia romana insidiosamente molesta e proclive alle rivalità carrieristiche. Essendo incapace di reagire con l’esercizio del comando, avendo sbagliato i collaboratori, sbagliato tutto e da subito, Ratisbona compresa, Ratzinger ha ceduto di schianto e ha passato la mano. Tutte le semplificazioni sono deformanti e spesso anche grottesche, questa in particolare lascia interdetti per la sua risibile grossolanità.
La rinunzia è fatta in coscienza, si propone dunque come un atto individuale sovrano, un esercizio perfino spericolato di razionalità e di soggettività, di sincerità della persona, e il Papa ieri ha specificato che il suo esame di coscienza è avvenuto “davanti a Dio”. Dei pontefici si presume che siano cattolici, la loro coscienza è diversa dall’Io penso di Cartesio, dal soggetto trascendentale di Kant, dalla psicologia del profondo di Freud, è moderna e anche postmoderna ma non è solitaria, non è assoluta, non riflette una libertà da Dio bensì la libertà di Dio che combacia con la libertà della sua creatura prediletta, l’essere umano.
Quando fu eletto, lo definimmo qui come il Papa della ragione. Per anni aveva combinato da custode della dottrina una capacità di dire con nitore, eleganza e rigore l’ortodossia dogmatica dei cattolici di sempre con un pensiero cristiano modernissimo, in dialogo con le coscienze laiche d’Europa intorno ai massimi problemi del nostro vivere comune, del nostro destino storico. Aveva posto il tema dell’allargamento degli spazi della ragione, e della sua infinita capacità di sollecitare laicamente anche la fede in chi la possiede, e aveva fatto una battaglia per la presenza del cristianesimo nello spazio pubblico che aveva una dignità e un peso di tipo costantiniano, il cui unico precedente fu l’alleanza imperiale e di diritto con Roma, quando il cristianesimo, che era di per sé una religione universale, diventò anche una chiesa, un apostolato universale pubblicamente riconosciuto, con tutta la sua santità e con tutte le sue macchie troppo umane. Professore teologo per vocazione, e pastore per necessità, Ratzinger ha coperto con lena e autorità pontificale la parte umanamente e razionalmente possibile di un percorso tanto ambizioso. Aveva cominciato con il Concilio, poi nel 1982 con Giovanni Paolo II, infine in quella funzione che canonicamente è legittimo restituire al popolo di Dio perché proceda a rinnovarne la titolarità con l’elezione di un nuovo Papa. La “grande sorpresa papale” è arrivata. Ratzinger era di buonumore perché a Pasqua sa che arriverà la seconda grande sorpresa papale, con un nome nuovo per una cosa antica. Altro che dossier.
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