Sanremo. Papaveri, sondaggi e papere

Redazione

“Se il Festival di Sanremo diventa la festa dell’Unità credo che il 50 per cento degli italiani non pagherà il canone”.  Di buon mattino, di lunedì, prima che dal Vaticano un evento più ingombrante giungesse a silenziare, almeno per qualche ora, la campagna elettorale, Silvio Berlusconi aveva fatto definitivamente irrompere la politica dentro Sanremo. Costringendo sulla difensiva imbarazzata i vertici della Rai: “C’è una percezione sbagliata di un Festival che vuol entrare a piedi uniti sulla politica”. Ma con Maurizio Crozza che stasera avrà carta bianca (Fabio Fazio assicura), e il momento (ormai canonico) dedicato ai diritti delle coppie omosessuali, la polemica del Cav. rischia di avere buon gioco.

    “Se il Festival di Sanremo diventa la festa dell’Unità credo che il 50 per cento degli italiani non pagherà il canone”.  Di buon mattino, di lunedì, prima che dal Vaticano un evento più ingombrante giungesse a silenziare, almeno per qualche ora, la campagna elettorale, Silvio Berlusconi aveva fatto definitivamente irrompere la politica dentro Sanremo. Costringendo sulla difensiva imbarazzata i vertici della Rai: “C’è una percezione sbagliata di un Festival che vuol entrare a piedi uniti sulla politica”. Ma con Maurizio Crozza che stasera avrà carta bianca (Fabio Fazio assicura), e il momento (ormai canonico) dedicato ai diritti delle coppie omosessuali, la polemica del Cav. rischia di avere buon gioco.
    Non si era mai visto. E pensare che il Festival della canzone nacque proprio per favorire quello che oggi sarebbe lo schieramento di centrodestra. “Dopo il 1945, l’Italia era stata inondata da musica straniera, americana, francese, brasiliana. Ritmi esotici e, spesso, anche testi scollacciati. Sanremo, allora, fu inventata dalla Rai come strumento nazional-popolare per rilanciare la canzone italiana tradizionale… L’Italia scudocrociata che aveva vinto il 18 aprile 1948 decise che con l’Anno Santo era venuto il momento della riscossa contro le rumbe e i boogie-woogie”. Così raccontava Leoncarlo Settimelli, cantante e giornalista di sinistra scomparso un paio di anni fa, nel suo “Tuttosanremo” (scritto nel 1991 per Gremese), probabilmente la più approfondita storia del Festival mai compilata nell’era pre internettiana. Settimelli racconta anche di come, dopo che il Festival iniziò ad “agonizzare” negli anni 70 causa mutazione dei gusti, fu rilanciato negli anni 80 come grande spettacolo “anche perché nel frattempo erano comparse le reti private, e c’era il timore che Berlusconi si impadronisse del Festival”. Bizzarra nemesi, dunque, che ora con la gestione Fazio-Litizzetto-Crozza proprio Berlusconi minacci la rivolta contro il “Festival dell’Unità”. Sanremo si è dunque buttato a sinistra? A dire il vero, negli anni scorsi l’accusa si era esattamente mossa al contrario, contro le celebrazioni destrorse di Povia della famiglia tradizionale (“Se avessi il becco”) e soprattutto eterosessuale (“Luca era gay”). Ma poi, nel 2011 che preludeva alla fine del governo del Cav., vinse “Chiamami ancora amore” di Roberto Vecchioni, difficilmente equivocabile come manifesto anti gelminiano: “E per tutti i ragazzi e le ragazze / che difendono un libro, un libro vero / così belli a gridare nelle piazze / perché stanno uccidendo il pensiero”.

    Eppure, gli esordi del Festival, nell’epoca che va tra il 1950 e il ’54 in cui era trasmesso solo per radio, erano stati in tono nettamente tricolore, ancorato al sentire conservatore. Nel 1952 Nilla Pizzi vinse con un “Vola colomba”, che alludeva alla rivendicazione di Trieste: “Dio del Ciel se fossi una colomba / Vorrei volar laggiù dov’è il mio amor, / che inginocchiato a San Giusto/ prega con l’animo mesto: / Fa’ che il mio amore torni / Ma torni presto”. Nel 1953 arrivò seconda “Campanaro” di Nilla Pizzi e del triestino Teddy Reno, con l’ultima strofa dedicata ai caduti della Grande Guerra. E nel 1952 Nilla Pizzi era arrivata pure seconda (si poteva gareggiare con più canzoni) con un “Papaveri e papere”, che secondo l’autore Mario Panzeri era “un riferimento alla prosopopea di certi personaggi politici”. E se Luigi Tenco nel 1967 si suicidò perché non avevano capito la sua canzone sull’emigrazione, nel 1970 dell’Autunno caldo, Celentano e consorte arrivano primi con un “Chi non lavora non fa l’amore” su un malcapitato operaio stretto tra i pugni che si becca dai compagni se fa il crumiro, e lo sciopero del sesso imposto dalla moglie se non porta i soldi a casa.

    Insomma, Sanremo è uno specchio dei tempi. Il decennio breve degli anni 80 craxiani si aprì dopo il successo Mundial di Bearzot-Pertini con il trionfo dell’“Italiano” di Totò Cotugno e si chiude nel 1987 con l’inizio della sbronza di partecipazionismo referendario annunciata da “Si può dare di più”, del trio Morandi-Ruggeri-Tozzi. Nel 1991 dilagava la Lega, ma la canzone più venduta è l’italo-sarda “Spunta la luna dal monte” di Bertoli-Tazenda. Ma non si era mai visto che la fabbrica del consenso canora venisse attaccata nella sua essenza di contenitore politico da un rivale “ideologico” impegnato in campagna elettorale.