
“Israele ama volti nuovi”
“Bibi e Lapid insieme”. La crisi di Netanyahu e l'attrazione del centro
In passato le elezioni israeliane sono state dominate dal tema della sicurezza, da quella del laburista Ehud Barak nel 1999 a quella del generale Ariel Sharon due anni più tardi. Quelle del 2013 sono state scandite da una parola d’ordine: “Share the burden”. Dalle tasse al servizio militare, tutta la società deve farsi carico delle responsabilità nazionali. Questa dimensione “domestica” della campagna elettorale ha punito Benjamin Netanyahu, che ieri mattina si è risvegliato con due incubi: la perdita di dieci seggi in Parlamento (dove il Likud resta primo partito) e la creazione di una coalizione di governo stabile.
In passato le elezioni israeliane sono state dominate dal tema della sicurezza, da quella del laburista Ehud Barak nel 1999 a quella del generale Ariel Sharon due anni più tardi. Quelle del 2013 sono state scandite da una parola d’ordine: “Share the burden”. Dalle tasse al servizio militare, tutta la società deve farsi carico delle responsabilità nazionali. Questa dimensione “domestica” della campagna elettorale ha punito Benjamin Netanyahu, che ieri mattina si è risvegliato con due incubi: la perdita di dieci seggi in Parlamento (dove il Likud resta primo partito) e la creazione di una coalizione di governo stabile.
“Netanyahu andrà con Yair Lapid”, ci dice Efraim Inbar, capo del Besa Center e consulente del premier (fu Inbar a organizzare il discorso del 2009 di Netanyahu di apertura a uno stato palestinese). Il partito centrista Yesh Atid (“c’è un futuro”) del giornalista televisivo è arrivato secondo, mentre il Labour è finito con quindici miseri seggi. “La crisi di Netanyahu ha molte spiegazioni”, ci dice Inbar. “Il potere logora e premia chi sta fuori, Israele ama volti nuovi, Bibi ha sbagliato a fondersi con Avigdor Lieberman e ha pagato l’attacco personale a Naftali Bennett”. Nelle ultime settimane il Likud ha speso parte della campagna elettorale a criticare il partito Habayit Hayehudi del milionario dei corpi speciali dell’esercito. “Così molti voti di Netanyahu sono andati al centro di Lapid”, prosegue Inbar. “Bibi e il giornalista troveranno un accordo perché sono molto simili. Entrambi concordano sul servizio militare per i religiosi, entrambi sono per non tassare la classe media, entrambi vogliono impedire che l’Iran ottenga la bomba nucleare, entrambi sono attenti al rapporto con gli Stati Uniti e la pensano allo stesso modo sui palestinesi. Sanno cioè che c’è poco da fare, al momento, sui negoziati. Lapid non ha mai parlato dei palestinesi, mentre i partiti che ci hanno scommesso tutto, come Tzipi Livni, sono andati male. La questione agli israeliani non interessa”. Non a caso Lapid ha scelto la colonia di Ariel, la più grande in Cisgiordania, per presentare il suo programma di politica estera.
Benjamin Netanyahu, che adesso ha davanti a sé giorni di intensi colloqui con il presidente Shimon Peres per la formazione del governo, ha poche opzioni a disposizione e sono tutte problematiche. La prima è una coalizione di destra pura che si regga sul partito Habayit Hayehudi di Naftali Bennett e gli ultra-ortodossi ashkenaziti. Ma fra Netanyahu e Bennett non scorre buon sangue e Netanyahu avrebbe molti problemi a livello internazionale con “la coalizione più destrorsa della storia israeliana”, come è già stata ribattezzata. Netanyahu cercherà di allearsi con Yair Lapid, il partito Hatnua di Tzipi Livni e la moribonda Kadima dell’ex generale Shaul Mofaz, escludendo un partito confessionale. Un esecutivo che si farebbe carico della leva per gli ortodossi e il matrimonio civile, fondamentali per Lapid. Ambienti vicini a Netanyahu dicono però che il premier tema un governo senza i “timorati”, considerati partner naturali. La terza possibilità è un governo “allargato”, da Bennett al centro di Livni, che però non sarebbe disposta ad allearsi con il milionario conservatore (Livni ha puntato tutto sulla nascita di uno stato palestinese, mentre Bennett è noto per la sua opposizione). Per questo Netanyahu potrebbe spingere per un governo con Bennett e Lapid, senza Livni e gli ortodossi. In ogni caso, l’attrazione del centro si basa sull’arruolamento dei religiosi, tema decisivo in campagna elettorale e per il prossimo governo, dopo che la Corte suprema ha annullato la legge che prendeva il nome del giudice Tzvi Tal che aveva esonerato i religiosi. Lo slogan più usato in campagna elettorale è stato: “Un popolo, un servizio militare”.


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