
La caccia all'hacker
L’ultimo gesto dell’hacker e attivista della rete Aaron Swartz è stato impiccarsi nella sua casa di Brooklyn. Che il ventiseienne avvocato della libertà d’accesso alle informazioni su Internet stesse combattendo contro una forma depressiva non era un segreto. Così come non era un segreto che la possibilità di essere condannato a 35 anni di prigione e milioni di dollari di multa per aver rubato, attraverso il sistema del Mit, migliaia di articoli scientifici da un database avesse peggiorato le cose.
L’ultimo gesto dell’hacker e attivista della rete Aaron Swartz è stato impiccarsi nella sua casa di Brooklyn. Che il ventiseienne avvocato della libertà d’accesso alle informazioni su Internet stesse combattendo contro una forma depressiva non era un segreto. Così come non era un segreto che la possibilità di essere condannato a 35 anni di prigione e milioni di dollari di multa per aver rubato, attraverso il sistema del Mit, migliaia di articoli scientifici da un database avesse peggiorato le cose. La famiglia dice che “la tragedia di Aaron non è soltanto una tragedia personale. E’ il prodotto di un sistema giudiziario criminale che permette l’intimidazione e le esagerazioni giudiziarie. Le decisioni prese dai magistrati e dal Mit hanno contribuito alla sua morte”.
L’istituto del Massachusetts aveva chiesto al dipartimento della Giustizia di perseguire con forza il furto di Swartz anche quando Jstor – il servizio che raccoglie contenuti di giornali scientifici – aveva segnalato la volontà di non accanirsi contro un ragazzo che si batteva per l’accesso libero alla conoscenza, non per svelare segreti di stato. Il presidente del Mit, Rafael Reif, ha detto di essere “addolorato nel pensare che una vicenda in cui il Mit ha avuto un ruolo è risultata in una tragedia” e ha detto che è il momento di fare una “riflessione”. Quando un ragazzo di ventisei anni s’impicca, una riflessione è il grado zero della responsabilità, ma il caso di Swartz dovrebbe suscitare un esame di coscienza da parte del sistema giudiziario. Si può essere radicalmente contrari all’ideologia della trasparenza online, si può dissentire dalle ragioni dell’esercito degli hacker che vogliono abolire il copyright e creare un mondo open source, ma nella vicenda penale che ha fatto emergere la fragilità di un ragazzo come tanti brilla la luce sinistra della sproporzione. Swartz rischiava di passare decenni in prigione perché credeva che i giornali scientifici dovessero essere a disposizione di tutti gratuitamente. Non aveva rubato documenti top secret dell’Amministrazione o aiutato la Corea del nord a penetrare nei sistemi di Washington. Il solo sospetto che l’accanimento giudiziario abbia accelerato la sua corsa verso la morte dovrebbe inquietare ogni coscienza che aspiri a definirsi tale.


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