Un viaggio italiano al fianco (e in memoria) di James Buchanan

Francesco Forte

Ho conosciuto James Buchanan a metà del 1955, a Pavia, quando lui aveva una borsa di ricerca a Roma per lo studio della teoria del debito pubblico nella scienza delle finanze italiane. Se n’è andato ieri all’età di 93 anni. Era un ufficiale di marina durante la guerra e aveva studiato l’italiano. Si era procurato un anno di congedo dalla Florida State University per venire in Italia con la moglie Ann, una signora bella ed elegante che aveva da poco sposato.

    Ho conosciuto James Buchanan a metà del 1955, a Pavia, quando lui aveva una borsa di ricerca a Roma per lo studio della teoria del debito pubblico nella scienza delle finanze italiane. Se n’è andato ieri all’età di 93 anni. Era un ufficiale di marina durante la guerra e aveva studiato l’italiano. Si era procurato un anno di congedo dalla Florida State University per venire in Italia con la moglie Ann, una signora bella ed elegante che aveva da poco sposato.
    Il principale teorico della tesi per cui il debito pubblico è un onere per le future generazioni era infatti l’anziano professor Griziotti, con la cattedra a Pavia, di cui io ero l’ultimo allievo. E lui mi affidò Buchanan perché gli procurassi i libri e le riviste che gli occorrevano e gli facessi conoscere Milano ed altre località. Allora io ero supplente di Ezio Vanoni all’Università di Milano, e ciò era facile. La mia fidanzata e Ann fecero amicizia. Buchanan scoprì che anche io, come lui, avevo scritto saggi sul principio del beneficio nella tassazione, cioè sulle imposte come prezzo dei pubblici servizi, l’altro tema che lo appassionava e che sarebbe diventato centrale nella sua teoria anti keynesiana della finanza pubblica. Quasi alla fine del soggiorno italiano gli avevano comunicato, proprio mentre era a Pavia, che era stato nominato Full professor all’Università della Virginia. Mi trasmise la notizia e aggiunse che, non appena avesse avuto la nomina a capo del dipartimento di Economia, mi avrebbe offerto una borsa di ricerca post dottorato per continuare la ricerche iniziate insieme. Fu così che nel 1959 io ebbi la “Jefferson post doctoral fellowship” all’Università della Virginia. Lì trovai anche un altro futuro premio Nobel dell’Economia, Ronald Coase, che lì teneva corsi di microeconomia, e si occupava, come me, di economie esterne. Dopo un anno Buchanan e Coase mi chiesero di restare, come professore associato, e mi diedero da insegnare appunto “Theorethical welfare economics” per i corsi avanzati.

    Buchanan oramai era entrato in un nuovo filone di indagine, quello dei processi di decisione nell’economia pubblica, stimolato dagli studi fatti in Italia sul pensiero della scuola italiana di scienza delle finanze da Francesco Ferrara ad Antonio De Viti de Marco e Luigi Einaudi. Le mie dispense di economia del benessere trattavano di ciò nell’ultima parte. Insieme dunque scrivemmo un saggio sulla teoria della valutazione dei servizi pubblici, pubblicato dal Journal of Political Economy, che mi valse la nomina a Full professor, su proposta sua e di Coase. Nel frattempo, però, Einaudi mi aveva dato la sua cattedra. Assiduo lettore della letteratura economica internazionale, mi parlò con ammirazione di Buchanan quando, da poco tornato dagli Stati Uniti, lo incontrai a Roma. Senza che me ne rendessi conto, nel 1961-’62, in cui avrei dovuto essere all’Università della Virginia, lì nacque la scuola di “Public choice” creata da James Buchanan con i suoi saggi su riviste e con il libro “The Calculus of Consent”, scritto con Gordon Tullock, nel quale egli portava il tema a livello di scelte costituzionali, con elaborate indagini sulla teoria del voto a maggioranza qualificata. Ed è nata così una nuova disciplina, la “Constitutional economics”, e Buchanan proprio per il suo contributo seminale alla stessa ebbe il premio Nobel nel 1986. Fra la teoria antikeynesiana dell’imposta come prezzo dei servizi pubblici, la teoria del debito pubblico come onere per le future generazioni e le regole della costituzione fiscale per impedire la tendenza ai deficit e al debito delle maggioranze presenti a danno di chi voterà in futuro, vi è uno stretto legame. Ed è su ciò che si basa la parte centrale della teoria di James Buchanan, e molto del dibattito attuale di politica pubblica.

    Chiedo scusa al lettore se ho parlato a lungo dei miei anni italiani e virginiani con Buchanan e non abbastanza della sua teoria. Ma è un ricordo comune che ci ha legato nel tempo e volevo così salutare l’amico che non c’è più, ma sarà sempre nella mia memoria.