Il Nobel Soyinka: “L'islam politico è peggio della schiavitù”

Giulio Meotti

“Potete uccidermi se questo è il vostro modo di agire, ma le vostre bombe non mi costringeranno mai a sedermi a un tavolo con voi”, aveva detto di recente l’ottantenne Wole Soyinka dopo le minacce di morte che gli erano arrivate da Boko Haram, il potente gruppo islamista che sta insanguinando la Nigeria facendo strage di cristiani. Il nome del premio Nobel per la Letteratura del 1986, autore di capolavori quali “L’uomo è morto”, è infatti in cima alla lista degli intellettuali africani che i terroristi vorrebbero eliminare.

    “Potete uccidermi se questo è il vostro modo di agire, ma le vostre bombe non mi costringeranno mai a sedermi a un tavolo con voi”, aveva detto di recente l’ottantenne Wole Soyinka dopo le minacce di morte che gli erano arrivate da Boko Haram, il potente gruppo islamista che sta insanguinando la Nigeria facendo strage di cristiani. Il nome del premio Nobel per la Letteratura del 1986, autore di capolavori quali “L’uomo è morto”, è infatti in cima alla lista degli intellettuali africani che i terroristi vorrebbero eliminare. Il servizio d’intelligence nigeriano ha da poco consigliato a Soyinka di tagliarsi la barba per evitare di essere riconosciuto per strada.
    Dopo essere finito nel mirino dei fondamentalisti islamici, il premio Nobel, fra le personalità più prestigiose dell’Africa e storico protagonista delle battaglie per la democrazia, torna a scrivere contro i terroristi e gli islamisti con un nuovo libro “On Africa”.

    Il libro contro “l’aggressione egemonica dell’islam politico” esce nel momento in cui nella Nigeria natia di Soyinka decine di cristiani ogni giorno vengono uccisi dai terroristi. Nel grande plateau subsahariano descritto da Soyinka impazza l’odium fidei. Secondo Philip Jenkins, uno dei massimi esperti di religioni, “in Nigeria è in gioco l’equilibrio fra islam e cristianesimo”. Uno scontro che più che dalle immagini del film di Sydney Pollack “La mia Africa”, che inscena un continente opulento e affascinante, è simboleggiato dal villaggio nigeriano di Dogo Nahawa, dove gli islamisti hanno falcidiato a colpi di machete trecento cristiani, la maggior parte donne e bambini.  Trenta i fedeli uccisi una settimana fa. Prima, a Chibok, nel nord-est del paese, durante una funzione religiosa in una chiesa presa d’assalto da uomini armati. Poi a Musari, vicino al quartier generale dei militanti della setta islamica Boko Haram: i terroristi hanno tagliato la gola a quindici cristiani durante la notte.

    Soyinka definisce gli islamisti “una gang di psicopatici criminali”, sostiene che “sono mullah con una ideologia di morte”, dice che “per loro le scuole non devono esistere” e che “entrano in una classe, chiamano gli studenti per nome e li uccidono”. Soyinka chiede al governo nigeriano di dichiarare guerra agli islamisti e di distruggerli: “Boko Haram è una macchina violenta che va distrutta, vogliono islamizzare la Nigeria”. Il Nobel spende molte pagine per spiegare che “la natura nichilista dell’islam fondamentalista sta distruggendo molte nazioni africane”, a cominciare da Somalia, Mali e Nigeria.
    Il celebre scrittore scrive che l’islamismo è “più letale della schiavitù”. Soyinka, che si definisce “figlio riluttante del colonialismo” (il suo inglese è considerato raffinato e ricchissimo), riconosce che le “agenzie di reclutamento” del fanatismo sono la povertà, la mancanza di giustizia e soprattutto la privazione della dignità. Ma riparare questi torti, per quanto sacrosanto, non è sufficiente. Bisogna infatti rendere “ben chiaro che la dottrina degli Eletti è intollerabile”. Soyinka dice di più: “Lo spirito dispotico del laicismo oggi si confronta con il rivale teocratico. Tuttavia non scegliere è la peggiore delle scelte. E fra la mancanza di legge dei fondamentalisti e l’eccesso secolarista non c’è dilemma ed è una scelta importante non soltanto per il continente africano, ma per il resto del mondo. Mentre la dittatura secolare può essere affrontata a diversi livelli, la storia ci dice che le catene poste attorno alla mente sono più dure, tenaci e implacabili di quelle laiche”. Sembra quasi di leggervi, tra le righe, una giustificazione a certe società autocratiche in guerra con il fondamentalismo islamico.

    Il premio Nobel per la Letteratura, noto anche come il “Joyce nigeriano”, non è nuovo a sconcertare il milieu anglosassone in cui si muove e scrive. Quando l’ayatollah iraniano Khomeini condannò a morte lo scrittore Salman Rushdie per “I versetti satanici” e in occidente gli intellettuali liberal furono lesti a sanzionare il diritto della teocrazia di Teheran a regolare il discorso sull’islam anche nel mondo libero, Soyinka fu uno dei pochi principi delle lettere ad attaccare “il virus religioso” propagato da Khomeini. A migliaia protestarono di fronte al consolato britannico di Kaduna, in Nigeria, con striscioni che dicevano: “Soyinka deve morire”. Nel 1994, sette anni prima dell’11 settembre, Soyinka definì il fondamentalismo islamico “la minaccia del Ventunesimo secolo”.

    “Il potere di vita e di morte”
    Già nemico della “negritudine” in voga presso altri letterati africani, Soyinka, drammaturgo, romanziere, poeta e saggista, ha poi scatenato un terremoto nei salotti britannici dopo che a un incontro al Jaipur Literature Festival, in India, ha definito il Regno Unito “una fogna per islamisti”. “Cesspit”, parola inequivocabile che sta per letamaio, fogna, cloaca. “E’ logico consentire a tutte le religioni di professare il proprio culto in modo aperto, ma quanto sta avvenendo è illogico, perché nessun’altra religione predica la violenza apocalittica. Ricordate, questo paese era terreno fertile anche per il comunismo. Karl Marx aveva tutte le sue opere nelle biblioteche”.
    Nel nuovo libro, parlando della sua Nigeria, Soyinka dice: “Orde di assassini sono entrati nelle case, trascinando fuori le persone di altre fedi e colpendole a morte. Durante la mia giovinezza potevi sentire, fianco a fianco, le campane delle chiese e il bellissimo richiamo alla preghiera del muezzin. Adesso è una malattia”.
    Soyinka sostiene che lo zenit di questo fenomeno è stato il caso Rushdie: “Tutto è iniziato quando Khomeini ha assunto potere di vita e di morte sull’esistenza di uno scrittore. E’ stato uno spartiacque fra aggressione dottrinaria e aggressione fisica. Questa assunzione di potere di vita e di morte l’ha trasmessa a ogni musulmano sulla terra”.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.