
Il tecnocrate e la democrazia
La modestia di Mario Monti, stile personale a parte, è sempre più misteriosa sul piano pubblico e politico. Ha presentato un simbolo o una serie di simboli non così invitante, sia detto per grafica e glamour dell’evento, e alla fine si è infilato in una coalizione con due politici, uno un po’ più passabile ma non freschissimo (Casini) e l’altro un capataz decisamente grottesco (Fini), due che non sembrano fatti apposta per sostenere una credibile offerta politica.
La modestia di Mario Monti, stile personale a parte, è sempre più misteriosa sul piano pubblico e politico. Ha presentato un simbolo o una serie di simboli non così invitante, sia detto per grafica e glamour dell’evento, e alla fine si è infilato in una coalizione con due politici, uno un po’ più passabile ma non freschissimo (Casini) e l’altro un capataz decisamente grottesco (Fini), due che non sembrano fatti apposta per sostenere una credibile offerta politica. Come premier del rigore e della competenza, dell’Europa e della credibilità nel mondo convulso delle cancellerie mondiali e dei mercati, come economista con il suo linguaggio e le sue pose riformatrici, come uomo di stato severo sulle tasse, e anche come risultati concreti di un governo che certe cose doveva fare e le ha fatte, a partire dal valore dei titoli pubblici del debito fino a pensioni cambiate dopo decenni di discussione, Monti fino a ieri era un supereroe.
Come il Foglio sta raccontando ai lettori da giorni, Monti non nasconde il suo pensiero: è uomo delle élite, punta su competenza e rigore prima che su appeal democratico e charme elettorale, e ha in mente un sistema politico che nel mondo giudicano a metà strada tra l’autogoverno e una Repubblica degli ottimati. Come ricorda oggi nell’intervista a Marco Valerio Lo Prete la coautrice con il premier di un libro sull’Europa, l’eurodeputata liberale Sylvie Goulard, la democrazia perfettamente rappresentativa per loro, per i tecnocrati, non funziona, tende all’inefficienza e alle decisioni di corto respiro, alla demagogia, ci vuole qualcosa in più e di diverso. Al tempo stesso, Monti è molto isolato anche nel “suo” ambiente finanziario, accademico, nel mondo dell’editoria, dei patti di sindacato e di altri settori dell’establishment che hanno ricevuto sanzioni (una è quella sulle partecipazioni incrociate ai cda bancari) o non hanno avuto favori attesi: il paradosso è che il re dei poteri forti, il rettore bocconiano da sempre considerato capofila della galassia finanziaria che conta, agisce senza il loro appoggio, come si racconta di nuovo oggi, con qualche divertimento, o con la loro ostilità. Perché abbia deciso di misurarsi con la democrazia elettorale, prevedendo a quanto si dice di prendere qualcosina di più del dieci per cento di voti, è un generoso e curioso mistero. Sono aperte le scommesse: l’Italia elettorale ridimensionerà Monti, consegnandogli una fiche per fare politica, ma fermandolo sulla battigia di percentuali da Terzo polo, perché della competenza e delle élite se ne impipa? Oppure ci sorprenderà?


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