La lezione irlandese

Redazione

Quello irlandese sembra un percorso di redenzione, culminato il 1° gennaio con l’incarico per la presidenza di turno dell’Unione europea. Un’economia permeata dalla finanza, che le era valsa il soprannome di “tigre celtica” nei tempi del boom, l’ha poi portata al collasso con la crisi del 2008. Sembrava un K.O. anche per via dall’intervento di salvataggio europeo che ha imposto stringenti misure di austerità. Ora Dublino annuncia il suo ritorno sul mercato dei capitali nel 2013, dopo il successo, nel 2012, delle emissioni di titoli pubblici pluriennali che hanno fruttato ai sottoscrittori un rendimento del 28,13 per cento.

    Quello irlandese sembra un percorso di redenzione, culminato il 1° gennaio con l’incarico per la presidenza di turno dell’Unione europea. Un’economia permeata dalla finanza, che le era valsa il soprannome di “tigre celtica” nei tempi del boom, l’ha poi portata al collasso con la crisi del 2008. Sembrava un K.O. anche per via dall’intervento di salvataggio europeo che ha imposto stringenti misure di austerità. Ora Dublino annuncia il suo ritorno sul mercato dei capitali nel 2013, dopo il successo, nel 2012, delle emissioni di titoli pubblici pluriennali che hanno fruttato ai sottoscrittori un rendimento del 28,13 per cento. Il salvataggio delle banche irlandesi, fallite per le speculazioni su mutui immobiliari e carte di credito, è costato 85 miliardi (la metà del pil), forniti per due terzi dall’Ue e per un terzo dal Fondo monetario internazionale. La contropartita: un programma di risanamento triennale fatto di tagli alla spesa e aumenti delle tasse. E’ rimasta, però, intatta la controversa aliquota del 12,5 per cento sulle imprese, vitale per gli insediamenti delle multinazionali e punto di forza dell’attrattività del paese: la bassa aliquota sui profitti assieme alla vicinanza culturale e geografica con l’Inghilterra rendono attraente la delocalizzazione dei segmenti più profittevoli delle imprese di tecnologie elettroniche, medicali e di servizi immateriali. Il deficit di bilancio dall’iniziale 30 per cento del pil è così sceso all’8,2 per cento nel 2012; in tre anni arriverà al 3 per cento. Il paventato avvitamento dell’economia non c’è stato: tagli di spesa, aumenti dell’Iva e riduzione dei salari, hanno comportato una recessione di sette punti di pil a fronte di una diminuzione della domanda interna maggiore. Grazie alle multinazionali straniere il pil ha registrato un aumento di 1,4 punti nel 2011 e di circa un punto nel 2012. La bilancia dei pagamenti è in forte surplus.

    E Dublino, dopo aver resistito a chi da Bruxelles le chiedeva di alzare le tasse sulle imprese, chiede adesso una dilazione per il rimborso del debito che verosimilmente le sarà concessa. Il modello funziona e, anche se non replicabile, non è detto che non vi siano lezioni utili per altri paesi europei. Il rigore fiscale è necessario, ma praticato con criteri puramente contabili ci porta a sbattere. Meglio puntare su uno stato che, diventando più leggero, chiede meno ai cittadini lasciandoli liberi di intraprendere.