_492x275_1597878447441.jpg)
Il freddo che fa nella Lega tra offerte del Cav. e “quadra” del cerchio
Sopravvivere al cerchio magico ma non trovare più “la quadra”, che era prerogativa solo del Capo. Prerogativa di sintesi interna che alla fine metteva capo all’alleanza esterna, vincente o suicida che fosse. Ora l’estenuante trattativa-non trattativa con il Pdl, resistenza a oltranza o resa a distanza che sia alle pressanti offerte di Silvio Berlusconi per tornare insieme è invece lo specchio crudele del vicolo cieco, della quadratura impossibile, in cui la Lega di Roberto Maroni si trova. L’incontro di fine anno con Berlusconi, per quanto Maroni avesse mandato avanti il governativo Roberto Calderoli, è stato una fumata nera.
Sopravvivere al cerchio magico ma non trovare più “la quadra”, che era prerogativa solo del Capo. Prerogativa di sintesi interna che alla fine metteva capo all’alleanza esterna, vincente o suicida che fosse. Ora l’estenuante trattativa-non trattativa con il Pdl, resistenza a oltranza o resa a distanza che sia alle pressanti offerte di Silvio Berlusconi per tornare insieme è invece lo specchio crudele del vicolo cieco, della quadratura impossibile, in cui la Lega di Roberto Maroni si trova. L’incontro di fine anno con Berlusconi, per quanto Maroni avesse mandato avanti il governativo Roberto Calderoli, è stato una fumata nera. Molto lascia intendere che le strade resteranno divise – a partire dai tweet di Capodanno di Maroni che lanciano Flavio Tosi candidato premier – ma non tutto. Berlusconi insiste con la posta più alta, l’alleanza nazionale in cambio del Pirellone, e crede ancora di potercela fare. Con lui ci sono i forza-leghisti della passata stagione, quelli che sanno che “a Roma le cose non cambiano” (Tosi) ma anche che senza respiro nazionale si muore. E poi qualche numerino ancora dice che Pdl e Lega la Lombardia potrebbero provare a prendersela (un sondaggio Swg di metà dicembre dava Maroni solo tre punti sotto Umberto Ambrosoli, 35 contro 38 per cento, ma con il Pdl).
Ma il muro della Lega appare compatto. La sua linea di “politica estera”, cioè nazionale, è una: niente Berlusconi. Per la base è peggio della peste: si sta da soli, e “prima il nord”. Sembrerebbe una linea coerente: sicuri di non vincere, ma anche che vincere per ritrovarsi nelle stesse condizioni di prima sia peggio che perdere, i leghisti hanno coniato il loro nuovo slogan, e detto chiaro e tondo che conta solo la Lombardia. Un giro in castigo, per diventare “il partito del nord”. La faccenda diventa più complicata se dalla “politica estera” leghista si passa a quella interna, la vita di partito, parente stretta della politica federale, ossia il rapporto tornato a essere dialettico, dopo il regno pacificatore di re Umberto, tra la Lega lombarda e la Liga veneta. Roberto Maroni e Flavio Tosi, il segretario riluttante e l’astro nascente, sono stati alleati nella guerra contro il cerchio magico. Condividono la stessa strategia generale, l’idea di un partito-sindacato del territorio. Ma a un certo punto in mezzo c’è un macigno d’inciampo, Silvio Berlusconi, a biforcare le strade.
Maroni ha scelto, anche con un certo coraggio, di esporsi per la candidatura a governatore della Lombardia. La sua faccia sui grandi cartelli 6x3 “Lombardia in Testa” ha sostituito anche nello stile comunicativo la sagoma di Alberto da Giussano. Per il segretario, è la madre di tutte le battaglie in cui ha impegnato la Lega. Rimugina che con il Pdl potrebbe forse farcela, di temperamento è un trattativista. Gli costa un po’ dover tenere la linea dei duri, e della base. Ovviamente nel suo progetto ci crede, “prima il nord”, ma sa anche che se perdesse per lui sarebbe il capolinea politico, e la botta per il partito sarebbe tremenda. Per questo ha cercato di tenere viva la trattativa, sembrava quasi avercela fatta con la formula “col Pdl ma senza Berlusconi”, ma poi il Cav. si è ricandidato. Così a Bèrghem Frècc, la festa d’inverno della Lega dopo Natale, l’annuncio atteso non è arrivato.
Dall’altra parte c’è Tosi, forse più lungimirante, certo con più strategia. Tosi dice che “la nostra battaglia più importante è la Lombardia”. Ma, primo, a schiantarsi non ci va lui; secondo, sa che il futuro della Lega è sul territorio, alleati a liste civiche e a qualunque altra cosa ma lontani da Berlusconi. Modello Verona. Per questo da tempo i suoi sventolano i sondaggi interni, secondo cui con Berlusconi si perdono anche i voti dei leghisti. Per questo nelle scorse settimane c’era stato un Federale (la segreteria di partito) a muso duro, prima di dare a Maroni il via libera per una trattativa purché circoscritta. Per questo c’è anche chi nel partito, soprattutto nella vecchia guardia lombarda che non ci sta a perdere il Pirellone senza combattere, prova a mettere in guardia il segretario: se perdi a Milano, Tosi si prende il partito e se lo porta in Veneto. L’antica dialettica. Per Tosi, perdere senza Berlusconi può andar bene. Per Maroni, perdere in Lombardia è perdere e basta. Questo lo sa Berlusconi, che alterna minacce e blandizie, e ieri è tornato ad aprire uno spiraglio a Maroni, “forse non mi candido”, lo sa pure Angelino Alfano che ancora ieri scommetteva: “Nel momento in cui ci dovesse essere un accordo per la candidatura di Maroni, posso assicurare che Formigoni seguirà le indicazioni del suo movimento politico”. Dopo l’Epifania, dice Maroni, ci sarà la decisione finale, al Federale del 7 gennaio. Per ora, solo “frècc”. A Bèrghem, e in tutto il nord.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
