Per il montezemoliano Calenda, l'agenda Monti tarpa le ali (populiste) al bipolarismo

Marco Valerio Lo Prete

Conta il modo in cui Mario Monti, e i neo montiani attorno a lui, interpretano i concetti di “crescita” e di “eguaglianza”. Una volta compreso questo, dice al Foglio Carlo Calenda, imprenditore e tra i fondatori del movimento montezemoliano ItaliaFutura, si capisce perché l’agenda Monti non sarà “mai compatibile” con il populismo di sinistra di Nichi Vendola e di parti del Pd”, né “con il populismo di certa destra e di Silvio Berlusconi”.

    Conta il modo in cui Mario Monti, e i neo montiani attorno a lui, interpretano i concetti di “crescita” e di “eguaglianza”. Una volta compreso questo, dice al Foglio Carlo Calenda, imprenditore e tra i fondatori del movimento montezemoliano ItaliaFutura, si capisce perché l’agenda Monti non sarà “mai compatibile” con il populismo di sinistra di Nichi Vendola e di parti del Pd”, né “con il populismo di certa destra e di Silvio Berlusconi”. E si capisce anche perché alcuni montiani, su temi chiave come la concertazione, dovranno rivedere le loro posizioni.

    Il documento “Cambiare l’Italia, riformare l’Europa”, dice Calenda, “è un’agenda integralmente liberale. Nel bipolarismo italiano di oggi, per forza di cose, rompe gli schemi”. Sarebbe sbagliato dunque pensare che il montismo penda naturalmente a sinistra: “Monti ha citato, non a caso, l’editoriale dell’Economist sul ‘True Progressivism’, una nuova forma di politica centrista radicale”. Dalla lettura dell’agenda montiana, piuttosto, si evince chiaramente chi non potrà avere nulla a che fare con la discesa in campo, o la salita come dir si voglia, di Monti in politica. Calenda infatti sintetizza così l’agenda dell’ex premier: “Non c’è crescita senza mobilità sociale. E la crescente disuguaglianza nelle società occidentali va affrontata favorendo l’uguaglianza di opportunità, non con il vecchio principio della redistribuzione a opera dello stato”. Per l’ex presidente della Bocconi, insomma, mobilità sociale ed eguaglianza sarebbero praticamente (e giustamente) sinonimi: “Nel suo documento-manifesto, Monti propone di inserire e rendere più espliciti i meccanismi di valutazione nella Pubblica amministrazione, a partire dalla scuola e dagli incentivi sugli stipendi degli insegnanti. C’è poi una forte enfasi sulle liberalizzazioni da fare e sulle barriere da abolire nell’accesso a determinate professioni. Infine, anche nella rimodulazione del fisco, l’idea è quella di premiare di più lavoro e impresa invece che le rendite e le ricchezze acquisite”. A sinistra, invece, prosegue Calenda, “prevale una visione dell’eguaglianza intesa come redistribuzione da parte dello stato. Con punte di populismo, che riguardano Vendola ma – dopo l’inizio della crisi globale – anche spezzoni più importanti del Pd: quanti continuano a chiedere più spesa pubblica per risolvere i nostri problemi di welfare e crescita. E più spesa pubblica, comunque la si pensi sui suoi effetti, oggi non ce la possiamo permettere. Populisti dunque vuol dire essere conservatori, non voler cambiare modello di crescita”. Lo stesso binomio, populismo-conservatorismo, alberga a destra, “nella volontà di Berlusconi di essere più morbidi con gli evasori o di leggere le dinamiche sociali sempre a favore di rendite e ricchezze già accumulate”. Per Calenda, invece, l’agenda Monti è “pienamente coincidente” con quella del think tank ItaliaFutura per l’importanza che assegna “alla mobilità e al dinamismo sociale”. Se si escludono sinistra e destra, però, non rischia di restare troppo poco? “Questo centro in via di formazione esclude le ali populiste che hanno dominato centrodestra e centrosinistra negli ultimi anni. Ma è un centro tutt’altro che immobile, è un polo d’attrazione, sia per la classe dirigente sia per l’elettorato. I nostri sondaggi danno oltre il 20 per cento dei consensi a una ‘Lista Monti’ da lui guidata”.

    Eppure, tra le parole d’ordine più “di rottura” pronunciate finora da Monti, c’è anche un secco “no” a concertazione e consociativismo in materia di relazioni industriali. Come la mettono i montiani doc come Luca di Montezemolo (già presidente di Confindustria e già presidente Fiat), Emma Marcegaglia (già presidente di Confindustria quando Sergio Marchionne abbandonava Viale dell’Astronomia tacciata di eccessivo conservatorismo), Raffaele Bonanni (segretario generale della Cisl) e Luigi Abete (già a capo degli industriali tra 1992 e 1996)? “Il basso livello di conflitto sociale durante il mandato confindustriale di Montezemolo – dice Calenda che allora era direttore dell’area Affari internazionali di Confindustria – favorì la ristrutturazione di molte imprese che hanno poi sostenuto il tessuto produttivo di questo paese in una fase di rapida globalizzazione. Fu giusto farlo? Certo è che oggi, nel 2012, ciò che conta è che Monti ha fatto bene a non inseguire a tutti i costi il consenso della Cgil sull’intesa sulla produttività tra le parti sociali. La situazione del paese è cambiata, non è più concepibile attribuire poteri di veto a nessun interesse corporativo”.