
Arriva finalmente il governo dei padroni
Che cosa cambia con Mario Monti in corsa per le politiche, alla testa di una lista centrista? Parecchio. Intanto la prevedibile affermazione del Pd e dei suoi alleati trova in teoria un argine politico serio; c’è ora un interlocutore difficile, un “estraneo” molto diverso dai tecnici puri del prodismo-d’alemismo come Ciampi e Padoa-Schioppa, con cui trattare la formazione del governo, la sua guida, il suo programma, e la carica di capo dello stato: di questo parla il fastidio di Massimo D’Alema, il suo strambo veto “morale” alla investitura democratica di Monti e dei suoi.
Che cosa cambia con Mario Monti in corsa per le politiche, alla testa di una lista centrista? Parecchio. Intanto la prevedibile affermazione del Pd e dei suoi alleati trova in teoria un argine politico serio; c’è ora un interlocutore difficile, un “estraneo” molto diverso dai tecnici puri del prodismo-d’alemismo come Ciampi e Padoa-Schioppa, con cui trattare la formazione del governo, la sua guida, il suo programma, e la carica di capo dello stato: di questo parla il fastidio di Massimo D’Alema, il suo strambo veto “morale” alla investitura democratica di Monti e dei suoi. Berlusconi, Grillo e la Lega avranno campo libero in quella che si annuncia come una disgraziata rincorsa demagogica antifiscale e antieuropea, sempre suscettibile di trovare qualche robusto consenso ma oggi sulla carta anacronistica. Vedremo. Dipenderà tutto dalla capacità di persuasione dal basso di una proposta politica e di programma che fino a ora è stata convincente (con riserve) ma solo dall’alto, formalizzata come una necessità imposta dalle circostanze e da “color che sanno e possono”. Bisogna anche vedere la ricettività popolare della faccenda: gli italiani, dopo le lezioni del ventennio che ha chiuso con una transizione incompiuta la storia della Prima Repubblica, vogliono essere governati con acribia e una punta di arida solerzia professionale o intendono continuare a giocare?
Monti in politica che cerca voti è comunque una nuova anomalia. Era anomalo, è anomalo, il governo del presidente della Repubblica, composto di ministri non designati dai partiti, arrivato quando nel novembre del 2011 la coalizione eletta nel 2008 si è dissolta nei numeri e nella credibilità internazionale, e nel pieno di una spettacolare crisi finanziaria da debito, con conseguenze destabilizzanti nella battaglia dei mercati internazionali: si decise con un accordo di unità nazionale di non votare, caso unico al mondo, perché l’offerta politica di maggioranza e opposizione non era considerata all’altezza della crisi (votarono sotto la neve i greci, gli spagnoli, i portoghesi, gli irlandesi, gli italiani no). Con Monti ora a capo di una coalizione l’anomalia raddoppia, e non solo o non tanto per la questione della non candidabilità diretta di un senatore a vita. Raddoppia, l’anomalia, perché oltre ai partiti nazionali (il Pd) e territoriali (la Lega), oltre al movimento carismatico personale (il Pdl di Berlusconi), ora è in campo un gruppo di ottimati e di tecnocrati che prendono il posto da tempo in esaurimento del vecchio centro politico post democristiano, e tentano da posizioni di potere e di governo non democraticamente legittimate, fondate su una maggioranza coatta a ricasco dell’Europa e dei mercati finanziari e delle alte burocrazie dell’Unione, la scalata al potere democratico, quello legittimato dagli elettori, con una scelta di blocco sociale (il sostegno di Fiat e sindacati non classisti) e un programma riformatore che Mario Monti dovrà esporre tra qualche giorno ed è in parte implicito nel suo anno di governo tra decreti, leggi e dossier, nelle cose fatte e in quelle rinviate. Come noi, sono tutti presi di sorpresa da questa decisione di Monti, che entra in gioco pur cercando di mantenere una distanza di sicurezza di tipo istituzionale: Scalfari e la sua lobby avrebbero fatto carte false, come ha scritto il Fondatore, per evitarlo, e anche il presidente della Repubblica non è un sostenitore della scelta azzardata e a rischio fatta dal premier.
Insomma, l’anomalia è in questo: il sistema dei partiti non è rinato a tanti anni dalla sua morte nei primi anni Novanta, quello bipolare e di alternativa fondato sulle coalizioni costruite intorno alla funzione carismatica dei leader si è impantanato e dissolto, e ora un uomo che sembrava destinato alla terzietà, alla cultura di governo e alla prefigurazione ideologica europea, una specie di Jean Monnet, di cattolico liberale aperto al mercato e al marchio sociale dell’economia capitalistica, fa una scelta di coalizione, dunque si schiera, e prova a rilanciare dal basso quel che era nato dall’alto. Osserviamo qui da quasi vent’anni, ora con ironia e ora con malinconia, le convulsioni tipiche della formazione di una nuova classe dirigente, e tutte le atipicità del caso sono state passate in rassegna e analizzate da noi senza boria e sopracciò, con un coinvolgimento tormentato ma anche ironico nel fenomeno rivoluzionario costituito per anni, e nelle premesse, dal privato Berlusconi che irrompeva nella politica pubblica con le sue grandi e celebri mattane. Ora c’è una novità assoluta da osservare: un centro un po’ più robusto del solito è una cosa tutto sommato minore, un progetto di consenso e di coalizione sociale guidato da un portavoce della borghesia industriale e finanziaria ostile alla concertazione, e sostenuto da Sergio Marchionne, è un’altra cosa, forse anche più interessante.


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