Le conseguenze democratiche dell'Euro-emergenzialismo

Redazione

Il Fiscal compact (formalmente, Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria (Tscg) è un accordo di diritto internazionale sottoscritto il 2 marzo 2012 da 25 stati membri, tutti a eccezione del Regno Unito e della Repubblica ceca. Detta una disciplina di bilancio in gran parte confermativa delle regole del Six pack. Il Tscg entrerà in vigore il 1° gennaio 2013, se a quella data sarà stato ratificato da non meno di 12 membri della zona euro o addirittura precedentemente se avranno ratificato almeno 12 stati dell’Eurozona.

di Gian Luigi Tosato

    Pubblichiamo stralci del volume “Il Fiscal Compact” che è stato presentato ieri a Roma, nella sede della Commissione europea in via IV Novembre a partire dalle 17,30, con la partecipazione di Enzo Moavero Milanesi, ministro per gli Affari europei. Il libro, curato da Gianni Bonvicini e Flavio Brugnoli, è edito dall’Istituto affari internazionali (Iai), in collaborazione con il Centro studi sul federalismo di Torino. Il Foglio, la settimana scorsa, ha ospitato un dibattito a più voci sul tema. Gli interventi di Giuseppe Guarino, Francesco Forte, Angelo De Mattia, Paolo Savona, Ornella Porchia, Matthias Ruffert e Frank Schorkopf sono disponibili su www.ilfoglio.it/soloqui/16183

    Il Fiscal compact (formalmente, Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria (Tscg) è un accordo di diritto internazionale sottoscritto il 2 marzo 2012 da 25 stati membri, tutti a eccezione del Regno Unito e della Repubblica ceca. Detta una disciplina di bilancio in gran parte confermativa delle regole del Six pack. Il Tscg entrerà in vigore il 1° gennaio 2013, se a quella data sarà stato ratificato da non meno di 12 membri della zona euro o addirittura precedentemente se avranno ratificato almeno 12 stati dell’Eurozona. Completata la rassegna e l’inquadramento giuridico degli atti in esame, si può passare a valutarne l’impatto sul sistema istituzionale dell’Unione. Il discorso è abbastanza semplice per quel che riguarda le misure basate sul diritto della Ue. La loro adozione ha rispettato i requisiti di procedura e sostanza posti dai trattati. (…) Le valutazioni risultano più complesse se si passa alle misure adottate tramite accordi internazionali al di fuori del diritto dell’Unione. Al riguardo mi pare che ci si debba porre, nell’ordine, un triplice ordine di questioni. Ci si deve chiedere (I) se fosse necessario uscire dal diritto dell’Unione, (II) se le misure adottate siano compatibili con tale diritto, (III) se si è creato un sistema parallelo ispirato a logiche diverse. Su queste basi si potrà trarre poi qualche conclusione in ordine agli effetti sulla struttura istituzionale Ue.

    In relazione al Fiscal compact, la necessità di ricorrere a un trattato separato è discesa dalla nota opposizione di due stati. In effetti, la procedura di revisione dei trattati Ue esige il consenso di tutti; e nemmeno era praticabile la soluzione dell’opting out, data la richiesta britannica di contropartite inaccettabili. Non tutte le norme del Fiscal compact avrebbero peraltro richiesto una revisione dei trattati. Questo è vero per la regola del pareggio di bilancio, da recepire negli ordinamenti nazionali “preferibilmente” a livello costituzionale. Lo è molto di meno per altre regole, che hanno valore prevalentemente confermativo della disciplina del Six pack o avrebbero potuto essere decise in base ai poteri normativi già spettanti all’Unione. Qui subentra tuttavia un profilo formale e politico a un tempo. L’inserimento delle regole nel Fiscal compact provoca un loro “irrigidimento”, nel senso che possono essere modificate solo con il consenso di tutti gli stati contraenti; detto in altro modo, a ciascuno stato è attribuito un diritto di veto. Ed è questo il chiaro messaggio che si voleva inviare all’elettorato di alcuni paesi (Germania, in primis). (…)

    La conclusione di accordi extra Ue non presenta di per sé elementi di illiceità. Il diritto internazionale dei trattati consente la modifica di un accordo multilaterale solo fra alcune delle parti; richiede però che non si pregiudichino gli obiettivi dell’accordo base e i diritti degli altri contraenti (Convenzione di Vienna del 1968, art. 41). Alle stesse condizioni può dirsi rispettato anche l’obbligo di leale collaborazione che vincola tutti gli stati membri (art. 4 par. 3 Tue). Qualsiasi violazione del diritto Ue sembra esclusa in radice nei riguardi del Fiscal compact. Le sue norme – lo richiede l’art. 2 dell’accordo – devono essere interpretate in conformità al diritto dell’Unione e possono essere applicate solo se compatibili con tale diritto. Per la verità non pare che problemi di questo tipo siano rilevabili nel Fiscal compact. Ma anche se ci fossero, sarebbero facilmente superabili in via di interpretazione o di disapplicazione delle norme incompatibili. Una disposizione analoga all’art. 2 del Fiscal compact non si rinviene negli altri accordi extra Ue. Ma la si può considerare in qualche modo implicita; e, in ogni caso, un’analisi del Patto euro plus e degli accordi Efsf e Esm non rivela la presenza di norme in contrasto con il diritto Ue. In definitiva, un’ipotesi di illiceità degli accordi in esame non può ricondursi al loro contenuto. Dovrebbe fondarsi sul fatto stesso che si è proceduto al di fuori dell’ordine giuridico dell’Unione. Ma, come si è avuto modo di accennare, questa circostanza non è di per sé illecita se si rispettano certe condizioni. E’ da escludere, in base a quel che precede, che gli accordi considerati comportino sottrazioni o menomazioni alle competenze delle istituzioni Ue. Vi si oppone prima di tutto una ragione giuridica: un atto extra Ue non può modificare le norme di un ordinamento al quale è estraneo. Il Fiscal compact e gli altri accordi in esame contengono bensì una pluralità di riferimenti alle istituzioni dell’Unione e alle loro funzioni in base ai trattati. Ma si guardano bene dall’apportarvi limiti o deroghe. E’ vero piuttosto il contrario, vale a dire che essi tendono a utilizzare tali funzioni e ad attribuirne di nuove. Si pone quindi il quesito se e in quale misura siano ammissibili sviluppi di questo tipo.
    In principio la risposta deve essere negativa. Gli accordi in discorso si collocano all’esterno del sistema dell’Unione; non possono utilizzare le sue istituzioni, né attribuire ad esse ulteriori competenze, anche se compatibili con quelle dei trattati. Le istituzioni dell’Unione sono chiamate a svolgere unicamente funzioni e compiti a esse attribuiti dal diritto dell’Unione; non hanno titolo per spingersi al di fuori di questo ambito, a operare all’interno di un sistema normativo a esse estraneo.
    Il divieto per gli stati membri e per le istituzioni vale tuttavia fino a che non sia lo stesso diritto Ue a consentirne il superamento. (…)

    Il Fiscal compact contiene ripetuti riferimenti a funzioni e compiti delle istituzioni dell’Unione. Quelli relativi alla Corte di giustizia sono autorizzati – come già detto – dall’art. 273 Tfue. Per il resto, manca un consenso esplicito come quello che caratterizza il Esm; e neppure si può ipotizzare un nullaosta implicito tipo Efsf, data la posizione antagonistica assunta dal governo britannico. Si prospetta dunque una preclusione all’utilizzo delle istituzioni dell’Unione al di fuori dei compiti da esse ordinariamente svolti in base ai trattati. Il funzionamento del Fiscal compact non è destinato tuttavia a bloccarsi, né a giustificare contenziosi da parte degli stati non partecipanti. La ragione di ciò risiede nella natura del Fiscal compact. Le sue norme rendono più rigorosi taluni obblighi già esistenti nel diritto Ue (art. 3: tetto ai disavanzi, regola del pareggio di bilancio nel diritto interno, meccanismi correttivi automatici); sollecitano gli stati contraenti a utilizzare certi meccanismi dei trattati (art. 10: ricorso alle cooperazioni rafforzate e alle misure ex art. 136 Tfue); li obbligano a sostenere e dare seguito alle raccomandazioni e proposte della Commissione in talune materie (art. 7: in tema di procedura per disavanzi eccessivi; art. 8: nel caso di mancato recepimento della regola sul pareggio di bilancio). Complessivamente, il Fiscal compact si limita a dettare regole di condotta più restrittive per gli stati partecipanti, senza peraltro alterare le normali competenze delle istituzioni dell’Unione.

    I rilievi che precedono attengono essenzialmente al Titolo III del Fiscal compact, che ne costituisce la parte centrale. La denominazione del Tscg parla tuttavia, oltre che di “stabilità”, anche di “coordinamento” e “governance” nell’unione economica e monetaria. (…) Maggiore interesse ai nostri fini presenta il titolo V relativo alla governance nella zona euro (non nell’unione economica e monetaria come suggerisce la denominazione del Tscg). Qui è prevista l’istituzione di un nuovo organismo, il Vertice euro (euro summit), di cui si regola composizione, compiti e funzionamento. In sintesi, fanno parte di questo organismo i capi di stato o di governo delle parti contraenti la cui moneta è l’euro, più il presidente della Commissione. Il Vertice ha un suo presidente, si riunisce almeno due volte all’anno e discute delle questioni strategiche della zona euro. Alle riunioni del Vertice è stabilmente invitato il presidente della Bce e possono essere invitati il presidente del Pe e il presidente dell’Eurogruppo. Il Pe è sistematicamente informato dei preparativi ed esiti delle riunioni del Vertice dal presidente di quest’ultimo.

    Il Titolo V contiene un’importante integrazione dei trattati relativamente alla struttura istituzionale della zona euro. (…) Non mi pare che si possa ravvisare nel titolo V del Fiscal compact un’incompatibilità con il diritto dell’Unione. L’istituzione del Vertice euro integra la disciplina (carente) dei trattati, ma non la modifica né pregiudica i diritti degli stati non euro o di quelli euro eventualmente non contraenti. Resta il problema dell’utilizzo delle istituzioni dell’Unione, alle quali indubbiamente si attribuiscono nuove funzioni. Rispetto al Pe non sorgono particolari problemi. (…)
    Il discorso sulla Commissione presenta qualche maggiore criticità. Il suo inserimento quale membro a tutti gli effetti del Vertice sembra formulato in termini cogenti; e questo richiederebbe un’autorizzazione esplicita o, almeno, implicita di tutti gli stati membri, ciò che abbiamo in precedenza escluso. Qui però, in parziale deroga al precedente assunto, si può forse ipotizzare l’esistenza di un tacito assenso. Depone a favore di questa tesi la circostanza che la governance della zona euro delineata nel Fiscal compact ricalca quasi alla lettera il documento allegato alla Dichiarazione dell’euro summit del 26 ottobre 2011; e non risultano reazioni negative a tale documento da parte degli stati non euro. La medesima considerazione può valere per la presidenza del Vertice della zona euro. (…)

    E’ tempo di formulare qualche conclusione sui quesiti inizialmente proposti: la crisi dell’euro ha determinato un indebolimento degli organi sovranazionali dell’Unione? E’ quanto sostengono molti commentatori, specie con riguardo agli sviluppi intervenuti al di fuori del diritto Ue. Sennonché, per le ragioni già illustrate, questi sviluppi non possono aver pregiudicato le normali funzioni degli organi dell’Unione; possono solo averne aggiunte di nuove. Così, in forza dell’art. 273 Tfue, la Corte di giustizia si è vista attribuire il compito di decidere circa la corretta trasposizione nel diritto interno delle regole di bilancio dettate dal Fiscal compact. E’ una competenza limitata; perché non si estende alla successiva verifica del rispetto di queste regole. Una verifica del genere è riservata ai giudici nazionali, nelle forme previste nei singoli stati. Ma è ipotizzabile che la questione risalga alla Corte europea attraverso il sistema del rinvio pregiudiziale. (…) Ugualmente, non si è indebolito il ruolo della Commissione, piuttosto il contrario. Già si è accennato al sistema del reverse voting introdotto dal Six pack e rafforzato dal Fiscal compact (art. 8). Le proposte della Commissione in materia di deficit eccessivi e squilibri macroeconomici assurgono al livello di quasi decisioni. Infatti si intendono adottate se non respinte dal Consiglio a maggioranza qualificata: un’ipotesi non facile da realizzarsi, specie dopo l’impegno assunto dagli stati del Fiscal compact di sostenere le proposte della Commissione (salvo decisione contraria a maggioranza). (…) Più problematico risulta il discorso riguardo al Pe. Si lamenta che esso sia stato escluso dagli sviluppi susseguenti alla crisi dell’euro. Ma i provvedimenti del Six pack sono stati adottati con il coinvolgimento del Pe, nel puntuale rispetto delle regole di Lisbona. E il Pe ha partecipato attivamente, anche se privo di un ruolo formale, nel negoziato sulla stesura del Fiscal compact e degli accordi sui fondi di salvataggio. (…) Né va trascurata una difficoltà di carattere strutturale, che vale generalmente per ogni ipotesi di “Europa a più velocità”. Nel Pe siedono rappresentanti di tutti gli stati membri; di qui una certa riluttanza ad attribuire un ruolo al Pe rispetto a iniziative alle quali taluni stati membri hanno deciso di non partecipare. (…)

    Non giova pertanto argomentare dal carattere del Fiscal compact e del Trattato Esm una compressione del metodo comunitario a vantaggio di quello intergovernativo. Occorre piuttosto chiedersi se fosse possibile ottenere con strumenti intra Ue quello che si è inteso perseguire con accordi extra Ue. Come discusso in precedenza, la risposta è in parte negativa, in parte positiva. E’ negativa laddove si prospettava la necessità di una modifica dei trattati, non conseguibile per l’opposizione di taluni stati membri. E’ positiva nella misura in cui si sarebbe potuto ricorrere ai poteri normativi degli articoli 136 e 352 Tfue, ovvero alla procedura di cooperazione rafforzata, o quantomeno esplorare la utilizzabilità di questi strumenti. Evidentemente si è ritenuto più semplice e diretto il ricorso ad accordi extra Ue; ma non in spregio delle istituzioni comunitarie, che sono comunque largamente coinvolte. Con maggiore attenzione, forse, ai problemi di legittimazione democratica interna e alle relative questioni di costituzionalità.

    di Gian Luigi Tosato (professore ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università la Sapienza di Roma)