La fabbrica dell'infelicità

Redazione

“Volete conoscere il mio futuro?”, sembra chiederci il neonato in fasce sulla copertina dell’ultimo numero di Time. Non si parla di astrologia, ma di come la mappatura del genoma umano stia cambiando la percezione di quel che vogliamo o non vogliamo sapere del futuro della nostra salute, e di come quella che è passata alla storia come una immensa opportunità di conoscenza e di prevenzione stia mostrando sempre più spesso il proprio lato oscuro.

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    “Volete conoscere il mio futuro?”, sembra chiederci il neonato in fasce sulla copertina dell’ultimo numero di Time. Non si parla di astrologia, ma di come la mappatura del genoma umano stia cambiando la percezione di quel che vogliamo o non vogliamo sapere del futuro della nostra salute, e di come quella che è passata alla storia come una immensa opportunità di conoscenza e di prevenzione stia mostrando sempre più spesso il proprio lato oscuro. Che succede, infatti, quando alla conoscenza del fatto che nel proprio Dna o in quello dei nostri cari c’è una predisposizione a una certa malattia non corrisponde una terapia praticabile? E non si rischia di moltiplicare l’infelicità, l’ansia, la paura, mettendo sulla testa di una persona – spesso di un bambino – una spada di Damocle che potrebbe anche non cadere mai, ma che comincerà a fare danni solo per il fatto di essere stata identificata, a volte decenni prima che eventualmente si manifesti? Solo negli Stati Uniti, ogni anno, sono migliaia le donne che, avendo saputo di essere portatrici di due geni che predispongono al tumore della mammella (Brca1 e Brca2), decidono di sottoporsi alla mastectomia totale sotto i trent’anni, anche se per il sessanta-settanta per cento di loro la malattia non si svilupperà mai. Ma c’è anche la piccola Amanda, di cui il Time intervista i genitori, che a due mesi mostrava problemi nel tono muscolare. Test genetici ripetuti non hanno saputo spiegare quel problema, ma hanno per caso individuato la mancanza di sette cromosomi in un gene, mutazione legata alla possibilità di un tumore infantile molto raro. E mentre il genoma di Amanda continuava a essere minuziosamente indagato, altri rilievi hanno portato a concludere che anche i suoi due fratelli più piccoli avrebbero potuto avere lo stesso problema. Tutto si gioca, naturalmente, sul piano delle ipotesi e non delle certezze, ma la famiglia di Amanda si è trovata prigioniera di un meccanismo nel quale ci si può solo aspettare il peggio, mentre i test non finiranno mai.

    “Questo è il mondo verso il quale ci stiamo avviando: abbiamo nuove e potenti armi contro antiche malattie ma anche una serie di problemi su come usarle con saggezza senza ritorcerle contro di noi”. Per questo, racconta il Time, che cosa devono fare i medici che, indagando sul genoma di un bambino con una malattia misteriosa, hanno trovato incidentalmente una mutazione associata alla demenza precoce intorno ai quarant’anni? Devono dirlo ai genitori, sapendo che non c’è prevenzione per quella patologia e che si sarebbero anche creati problemi con qualsiasi compagnia assicurativa? Alla fine, i genetisti hanno deciso di non raccontare quello che avevano scoperto. Mentre hanno fatto la scelta opposta nel caso di un piccolo paziente di due anni con problemi renali, di cui – sempre casualmente – era stata accertata una predisposizione genetica al tumore al colon, anche in età molto precoce. Non comunicare il risultato sarebbe stato immorale, perché in quest’ultimo caso “uno screening adeguato può fare una grande differenza”. Ma il genetista pediatrico Michael Bamshad, dell’Università di Washington, ammette che “non è affatto raro che i ricercatori dicano di non essere in grado di comunicare i risultati, perché non c’è il modo giusto di farlo”.

    Nel migliore dei mondi possibili, la mappatura del genoma dovrebbe (doveva) portare a una conoscenza certa e precoce di possibili future patologie da prevenire con trattamenti mirati, grazie ai quali molte risorse economiche dedicate alla cura sarebbero state risparmiate. Nella realtà, scrive Time, un sondaggio recente tra i medici americani mette in luce la preoccupazione che l’ampliamento dell’offerta di test (anche su Internet, centinaia di aziende, in cambio di poche centinaia di dollari e di un campione di saliva, sono pronte a divinare su future malattie) inneschi in realtà un fenomeno di crescita dei costi. I risultati dei test genetici sono spesso ambigui, ed è fatale il ricorso a ulteriori indagini alla ricerca di una certezza che potrebbe non arrivare mai. Time racconta che l’American College of Medical Genetics e Genomics sta faticosamente lavorando a una lista di alcune decine di mutazioni sulle quali vale la pena di concentrarsi. E mentre i pediatri americani sconsigliano i test genetici per i bambini, a meno che non rientrino in una strategia di prevenzione certificata, la domanda “chi pagherà per tutto questo?” sta diventando sempre più di attualità, nell’America dell’Obamacare.

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