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I viveri Marchionne
I mercati, ormai sentinella universale, ci informano che i problemi dell’Italia non si limitano alle sorti elettorali di tecnici o politici. La bocciatura del titolo Fiat in Borsa, che fin dall’inizio della mattina di ieri ha subìto una caduta del 5 per cento e più, va assai al di là delle reazioni per l’ennesima e scontata discesa delle vendite in Europa a novembre (il 12,8 per cento in meno contro il 10,1 del mercato). Pesa fino a un certo punto la notizia, poi smentita, del Messaggero che parla di primi contatti con le banche d’affari per un aumento di capitale da effettuarsi nei prossimi mesi.
I mercati, ormai sentinella universale, ci informano che i problemi dell’Italia non si limitano alle sorti elettorali di tecnici o politici. La bocciatura del titolo Fiat in Borsa, che fin dall’inizio della mattina di ieri ha subìto una caduta del 5 per cento e più, va assai al di là delle reazioni per l’ennesima e scontata discesa delle vendite in Europa a novembre (il 12,8 per cento in meno contro il 10,1 del mercato). Pesa fino a un certo punto la notizia, poi smentita, del Messaggero che parla di primi contatti con le banche d’affari per un aumento di capitale da effettuarsi nei prossimi mesi. Certo, tutto contribuisce a peggiorare la cornice di un’azienda che fa notizia, dalle nostre parti, solo se obbligata dalla magistratura a riprendersi diciannove tesserati Fiom. O per consentire al ministro dello Sviluppo Corrado Passera di prendere le distanze dal Lingotto, senza far cenno a quegli sforzi per favorire l’export di cui si era reso garante pochi mesi fa. La sentenza dei mercati serve a rompere quel clima di imbarazzato disinteresse che circonda le mosse del gruppo torinese che pure ha preso decisioni impegnative: ha tagliato l’occupazione a Tychy, la fabbrica polacca, per salvaguardare gli investimenti in Italia; ha avviato il piano per Melfi, dove si comincerà a produrre per la prima volta in Italia Suv targati Jeep. Intanto i costruttori europei dell’Acea hanno riconfermato il mandato di presidente a Sergio Marchionne a dimostrazione che, con buona pace di Maurizio Landini e di Diego Della Valle, il leader di Fiat gode di una certa considerazione anche in Europa. Resta, intatto, poi il nodo della competitività delle fabbriche italiane. Il veto Fiom al contratto dei metalmeccanici dimostra che il “cattivo” Marchionne non era la ragione dello stallo che si era determinata a Pomigliano o a Mirafiori.
Infine, al tracollo dei numeri Fiat in Europa si contrappongono i primati di Chrysler. Insomma, la Fiat non è morta. E’ assassina, semmai, l’indifferenza che la circonda. Marchionne ora deve scegliere tra l’accelerazione per l’acquisto dell’intero capitale Chrysler (per cui il sindacato Uaw ha alzato il prezzo) o il rilancio degli investimenti in Italia. Le due questioni si tengono: gli States non acconsentiranno mai allo sbarco di Fiat senza garanzie sul futuro europeo del gruppo. Ma un conto è aumentare il capitale di una multinazionale, altro è fornire i viveri a una guarnigione assediata dalle truppe cammellate della politica e del sindacato. I mercati chiedono di decidere su questo.


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