Eurosciovinismi

Interessi e tattica dietro gli slanci nazionalisti di Parigi contro Londra

Marco Valerio Lo Prete

Dove sta scritto che la City debba rimanere per sempre il cuore pulsante della finanza europea? Da nessuna parte, soprattutto se il Regno Unito non intende rispettare le regole comuni che l’Unione europea si darà. A lanciare l’assalto contro Londra è stato Christian Noyer, presidente della Banca centrale francese e voce ascoltata all’interno della Banca centrale europea, con un’intervista al Financial Times. Non è “logico” che i paesi europei, a partire dai 17 che utilizzano la moneta unica, consentano che il loro “hub finanziario” sia “offshore”.

    Dove sta scritto che la City debba rimanere per sempre il cuore pulsante della finanza europea? Da nessuna parte, soprattutto se il Regno Unito non intende rispettare le regole comuni che l’Unione europea si darà. A lanciare l’assalto contro Londra è stato Christian Noyer, presidente della Banca centrale francese e voce ascoltata all’interno della Banca centrale europea, con un’intervista al Financial Times. Non è “logico” che i paesi europei, a partire dai 17 che utilizzano la moneta unica, consentano che il loro “hub finanziario” sia “offshore”. E come se non bastasse aver assimilato il Regno di Sua Maestà a una delle tante isole caraibiche dal fisco facile, Noyer ha aggiunto: “Non siamo contrari al fatto che alcune attività finanziarie vengano svolte a Londra, ma la maggior parte di esse devono cadere sotto il nostro controllo”, e questa “è una conseguenza dovuta alla scelta della Gran Bretagna di rimanere fuori dall’Eurozona”. La risposta britannica non si è fatta attendere. Il sindaco conservatore di Londra, Boris Johnson, lo stesso che la settimana scorsa aveva invitato il colosso dell’acciaio Mittal a fuggire le velleità nazionalizzatrici di Parigi e a fare affari nel Regno Unito, ieri ha parlato di “attacco spudorato per scippare la corona finanziaria”. Dal governo inglese stessa risposta risentita: “E poi l’alternativa – ha detto un dirigente anonimo del Tesoro – non sarebbe Parigi, ma Shanghai o Singapore”.

    Secondo gli osservatori, la data scelta da Noyer per sfidare la prima Piazza finanziaria del pianeta, che da sola ospita più scambi valutari di tutti gli altri listini europei messi assieme, non è casuale: oggi infatti a Bruxelles si riuniscono i 27 ministri finanziari dell’Ue per stringere sull’Unione bancaria. In linea di principio il governo conservatore di David Cameron non è contrario a una maggiore integrazione finanziaria, ma chiede la possibilità di valutare (e di fatto bloccare) di volta in volta le misure che potranno riguardare la City. La Francia, invece, non accetta veti. In un report dell’istituto di credito transalpino Bnp Paribas, si chiarisce perché l’Unione bancaria sia ritenuta fondamentale a Parigi e non solo: primo, perché soltanto dopo la costituzione di un meccanismo di vigilanza unico le banche potranno essere ricapitalizzate direttamente dal Meccanismo di stabilità europeo (Esm) e non pesare più sui debiti nazionali; secondo, perché un nucleo di Unione bancaria è la precondizione per far agire la Banca centrale europea come prestatore di ultima istanza degli istituti di credito.

    Il tema, non a caso, sta a cuore anche al nostro governo. Mario Monti, in visita a Parigi, ha auspicato “passi avanti senza rinvii verso l’Unione bancaria”, prima di firmare una dichiarazione congiunta con Hollande sprizzava “visione comune del futuro dell’Europa”. Il premier italiano si è sempre battuto per una risposta alla crisi che fosse concertata a livello europeo, e l’Unione bancaria va in questo senso. D’altronde è probabile che Monti stia finalmente raccogliendo in questi giorni i frutti tanto attesi della sua strategia: i mercati infatti rifiatano, ieri lo spread tra Btp italiani e Bund tedeschi è sceso sotto quota 300 punti. E l’ex presidente della Bocconi ha dichiarato: “Per me c’è un livello di spread, 287 punti base, che rappresenta un punto particolarmente significativo”, essendo “la metà dei 574 punti base, livello trovato quando abbiamo iniziato”. Tuttavia lo stesso Monti è considerato uno dei leader più vicini al Regno Unito. Con Cameron, nel febbraio scorso, il premier italiano scrisse una lettera alla Commissione Ue (ma di fatto indirizzata a Parigi e Berlino) per chiedere di accelerare sul mercato unico come motore per lo sviluppo.

    E la Germania cosa pensa di questo improvviso ritorno di fiamma dei nazionalismi a cavallo della Manica? “Più che di Germania, visto l’avvicinarsi delle elezioni di settembre 2013, oggi dovremmo parlare di Merkel e della Cdu, di Peer Steinbrück e dell’Spd, e via dicendo – dice al Foglio Erik Jones, docente di Studi europei e direttore del Bologna Institute for Policy Research della Johns Hopkins University – Oggi Berlino non è più quella che faceva di tutto per tenere Londra dentro l’Ue, accettando che Margaret Thatcher negli anni 80 ottenesse uno sconto sul bilancio comunitario, che John Mayor negli anni 90 potesse fare ‘opt out’ da Maastricht e andando incontro alle esigenze di Tony Blair sul bilancio Ue negli anni 2000. Oggi Merkel, come già dimostrato al momento di introdurre la Tobin tax avversata da Londra ma benvoluta dall’opposizione socialdemocratica, farà di tutto per guadagnare consensi interni e in Parlamento”. Londra e Parigi battibecchino pure, per ora.