Natale a Malindi

Pietrangelo Buttafuoco

Motore, azione. Silvio Berlusconi è accomodato su un divano di casa sua, a Palazzo Grazioli. Alza il telefono e comanda: “Non voglio essere disturbato”. Gira il vassoio verso l’ospite. Sanbittèr e salatini. Porge un bicchiere quadrato all’ospite e domanda: “Gradisce del ghiaccio?”.
Interno, giorno. La sequenza descrive una mano che, con gesto d’inesorabile eleganza, fa cenno di no: “Piuttosto”, è una voce calda di donna che parla, “preferirei dell’acqua, magari con una fetta di limone”. C’è, infatti, una signora con lui. Cinquant’anni. Bionda. Capelli corti. Gambe belle e lo sguardo paziente di chi sa condurre una terapia. Druna Kebler, questo è il suo nome.

Leggi Natale a Malindi di Pietrangelo Buttafuoco

    Motore, azione. Silvio Berlusconi è accomodato su un divano di casa sua, a Palazzo Grazioli. Alza il telefono e comanda: “Non voglio essere disturbato”. Gira il vassoio verso l’ospite. Sanbittèr e salatini. Porge un bicchiere quadrato all’ospite e domanda: “Gradisce del ghiaccio?”.
    Interno, giorno. La sequenza descrive una mano che, con gesto d’inesorabile eleganza, fa cenno di no: “Piuttosto”, è una voce calda di donna che parla, “preferirei dell’acqua, magari con una fetta di limone”. C’è, infatti, una signora con lui. Cinquant’anni. Bionda. Capelli corti. Gambe belle e lo sguardo paziente di chi sa condurre una terapia. Druna Kebler, questo è il suo nome, è una psicoterapeuta, anzi, una psichiatra di scuola lacaniana, e ha accettato di prendere in cura Berlusconi.
    Comincia con questa scena “Natale a Malindi”, il cinepanettone diventato nel frattempo altro. Regia di Neri Parenti per metà e per l’altra metà – grazie a Enrico Vanzina di cui diremo più avanti – trasformato in un capolavoro della cinematografia a seguito di un colpo di scena o, meglio, di un colpo di testa del protagonista che – nella magia del cinema – ha vissuto una catarsi di vera e propria fantasmagoria pretendendo un rimaneggiamento della sceneggiatura e un capovolgimento delle intenzioni di Aurelio De Laurentiis, il produttore: “Forse sarò il nuovo De Sica”, gli dirà a metà lavorazione, “ma sento dentro di me Vittorio. Sono un Umberto D., un Generale della Rovere, insomma, sono l’artefice del mio personalissimo Giudizio Universale”.

    Motore, azione. Druna Kebler, inquadrata nell’interezza della figura non corrisponde al canone ideale del Cav. Non è, infatti, rifatta. Ha il tipico charme della donna bella ma senza l’ansia di dover piacere agli uomini. In altri tempi, il Silvio, avrebbe detto, con spirito crudele, “sindrome da sfasciacarrozze”. Caviglie affusolate su scarpe basse, è alta e noncurante, sfuggente, forse anche distratta, rude perfino: “I suoi familiari, i suoi amici più fidati hanno voluto che io prenda in considerazione il suo caso. Dobbiamo liberarla dal suo smodato bisogno di consumo femminile”. Irrompe in scena Maria Rosaria Rossi: “Perché”, chiede al Cav. “hai dato ordine di non voler vedere nessuno?”. A ruota, quasi a controllare che questa non presidi il territorio, entra Francesca Pascale, addobbata di sciarpe e cappellucci del Milan: “Che succede?”. Entrambe scorgono Druna Kebler, pericolosamente vicina al Cav. e, a una sola voce, interrogano il pover’uomo: “La signora, sarebbe…?”.
    Ed è così che il miliardario stressato da cene eleganti affollate da decine di splendide ragazze, sfinito da una ridicola fine politica, decide di darsi e regalarsi una vacanza di Natale lontano da tutte e da tutti. La macchina da presa lo coglie mentre chiama al telefono un amico: “Flavio, sono Silvio. Prepara tutto. Non parlarne con anima viva. Vengo da te”.

    Ed è così che Silvio scappa. Se ne va via, infatti, dal suo partito, scappa dalle donne e, soprattutto, scappa via da questa psichiatra che la famiglia, dopo lunga consultazione, ha deciso di mettergli alle calcagna per curarlo una volta per tutte dalla malattia chiamata “donna”.
    Il film, che il Foglio ha avuto il privilegio di vedere in fase di montaggio, prosegue in Kenya, a Malindi. E’ tutto un racconto di porte che si aprono e porte che si chiudono. Sbucano, infatti, come dalle botole degli equivoci, pure i Fabrizio Cicchitto, un Ignazio La Russa in giacca coloniale e Daniela Santanchè fasciata di ghepardi vivi. Lui voleva levarsi di torno chiunque, non vedere nessuno ma pare che tutti – pure il consigliere regionale Nicole Minetti, pure Roberto Formigoni e altri penitenti – abbiano deciso di passare le vacanze lì, nell’Africa nera, in quella sorta di Roma nord trasferita tra i Masai. Malindi, infatti, è quasi un’altra Cortina dove manca poco e vi arrivano i coniugi Cisnetto e Bruno Vespa che, manco a dirlo, sono lì, lesti ad organizzare Malindincontra. Pure Paolo Mieli ha dato la sua disponibilità per un incontro con gli italiani in vacanza a Malindi.

    Tutti i cinepanettoni, si sa, hanno la stessa trama. E’ quella di un signore con un buon portafoglio che se ne parte, apre una parentesi di pura libertà, e se la gode lontano da tutti. Il canovaccio di Neri Parenti, cucito addosso a Berlusconi, non manca di rispettare questo procedimento e la sapiente commistione tra attori e personalità pubbliche che si prestano al gioco – primo tra tutti Flavio Briatore, interprete di se stesso – ricrea nel resort dello stesso il Circolo Canottieri Lazio del nostro immaginario.
    Il racconto, dal punto di vista del protagonista, è un po’ sbalestrante. Non sono capanne quelle dove si aggira il Cav. ma un resort di lusso pieno di quelle stesse ragazze che presenziavano le cene eleganti. Lui è andato lì alla ricerca del selvaggio, l’eleganza naturale del passo kenyano, è ormai stanco del Sanbittèr e brama l’odore forte della pelle nera. La prima notte sta passando liscia, seduto al banco del bar, e se non fosse di lusso sembrerebbe un dipinto di Hopper. E’ solo, Silvio, e forse non desidera neppure più quell’Africa primordiale che aveva creduto d’amare fino a qualche ora prima. “Buonasera”. La voce è profonda, volutamente seducente. E’ bionda, forse più bionda di quanto non lo fosse stata prima… è lei: luminosa, i capelli sono lisci e retti, così perfetti sulla schiena morbida ma forte. Le gambe poi…

    E’ Druna. E’ a Malindi e si sa bene perché. Non certo per inseguire il suo paziente. Ama gli orizzonti delle spiagge perdute, ama i palmizi, non è lì per continuare a lavorare e la situazione così paradossale di trovarsi davanti l’uomo che avrebbe dovuto far distendere nel lettino la diverte: “Che colpo di scena”.
    Esterno, notte. I due si ritrovano a passeggiare in spiaggia nel buio bucato di riflessi lunari. “Confesso”, dice il Cav. sfoderando il suo proverbiale sorriso, “confesso: sono fuggito via da tutti, anche da te. Sono sempre stato diffidente verso la psicoanalisi. Per me sono solo psicoballe. Ha ragione Svevo, non funziona e serve solo per fare letteratura. Tuttavia, signora, lei è proprio bella”. Ecco, ci mette poco a innamorarsi di Druna. E le racconta del film che sta facendo.
    Druna ride di “Natale a Malindi”, ride di cuore al punto che lui si sente montare dentro come un senso di colpa, quello di essere il solito italiano con le zie suore, puttaniere e mascalzone ma, sapete com’è, si è alzato l’umore e lì è tutta una passerella di figliole kenyane e la notte si fa mossa.
    Interno, notte. Il saluto è dolce, appena un bacio sulla mano, davanti all’ascensore che la porta al suo piano. E dopo, si diceva, la serata si fa mossa perché più annotta e più è tutto un via vai di pantere. Silvio è ora rilassato, quasi felice, si dedica al piacere estemporaneo con in testa l’immagine bellissima di lei.

    Iniziare il corteggiamento è semplice. Potrebbe dirle: “Sono malinconico, magari sono avvilito, non so ma ogni giorno sento il mondo che mi crolla addosso. Alfano, le primarie, questi che non sanno uccidere il padre, il padre che se ne vuole andare, la madre, le figlie, il Familienroman c’è tutto, mi serve sempre e solo la psicoanalista, perfino qui, perfino in Kenya”.
    Il giorno dopo, è fresco. Sa che lei lo aspetta a colazione. La chiacchiera è brillante: sì è tornato proprio l’antico ragazzo di via Volturno nel quartiere Isola, tra uno yogurt e deliziose confetture spalmate, le barzellette non sono sporche, non si parla di politica, non si magnifica Silvio, non è narciso stamani, anzi ascolta solo la sua bella signora dalle cinquanta primavere. E’ catarsi per lui e transfert per lei. E’ amore.

    E’ amore ed è lei che lo accompagna sul set. Il cinema rapisce entrambi e se lui affretta la seduta al trucco, insofferente alle ciprie e alle parrucche, lei, concentrata, studia il copione e segna tutte le scene e le battute su cui prenota una discussione per dopo, per la pausa pranzo prima, e poi ancora la sera, quando saranno da soli e potranno ragionare su quello che sta facendo: “Un divertimento che non ti dovrà far guadagnare Cavani ma anche la scoperta del nuovo Silvio”.
    Il nuovo Silvio non tarda a farsi vivo e a sorprendere tutta quella bella gente di Malindi, come a cena, ospiti di Briatore, dove il Cav. – e tra le testimonianze abbiamo quella di un attonito Carlo Rossella – discute di etica e impegno, si sofferma sui testi di Gustavo Zagrebelsky, parla e ragiona di surriscaldamento del pianeta al punto che la cara Elisabetta Gregoraci, moglie di Flavio e madre di Nathan, incredula davanti a tanta metamorfosi, alla seconda cena, batte un pugno sul tavolo e gli urla contro: “Silvio, di’ una cosa di destra!!”. Anche Bruno Vespa, sopraggiunto al desco, aggiunge: “Una cosa di centrodestra, almeno…”.

    Quasi un urlo morettiamo. Ed è questo il punto di svolta nel film. Noi che abbiamo visto il girato in sala montaggio possiamo ben svelare il retroscena. La notte, Silvio e Druna, presi d’amore, leggono il copione e segnano, passo dopo passo, tutte le battute dove lui non riconosce più se stesso ma l’uomo che fu e che vuole combattere. Una scena, per esempio, quella dove il consigliere Minetti fa la doccia: “Da tagliare”. Un’altra, quella dove Maria Rosaria Rossi, rappresentante delle istituzioni, fa del proprio décolleté un Calvario su cui esibire il Crocifisso e la catenina d’oro: “Da tagliare”. E “da tagliare” è tutto un racconto di cene eleganti – con relative porte che si aprono e porte che si chiudono – con le ragazze di via Olgettina e tutto il resto di birichinaggine mozartiana: “Ci vuole profondità”, dice Silvio a Druna, sempre più attenta a non fare di questa storia d’amore un incontro di psichiatria lacaniana. E dunque: una svolta.

    La notte porta consiglio e Silvio alza il telefono. Dall’altra parte del filo, una voce amica: “Aspettavo la tua chiamata”. E’ Enrico Vanzina. E’ un amico sincero di Berlusconi. Il Cav., infatti, solo di lui si fida in tema di cinematografia e a lui confida tutto. Racconta di De Laurentiis. “So tutto”, risponde Vanzina. Racconta di come la sua vita, adesso, sia cambiata: “Ho incontrato Druna, una psichiatra lacaniana. Mi aiuta tanto. Mi ha convinto a fare delle correzioni in corso d’opera. Pensa che faccio correggere i dialoghi a Virzì di nascosto da Parenti. Druna è convinta che Virzì, a sua volta, se li faccia riscrivere da Bellocchio, ma non è questo il problema. Pensa, ho detto loro di aggiungere un momento alto, di coscienza civile, che ne so, una cosa come trovare una sezione del Pci di Bagheria, qui, in Africa, e chiedere al dottor Tornatore di farmi un cammeo…”. E’ un fiume in piena Silvio in quella telefonata nel cuore della notte di Malindi.

    E non racconta, il Cav., di ciò che la troupe ogni giorno scopre su di lui, tipo: “Che je devo di’, dottò”, si lamentano i tecnici, i fonici e gli attrezzisti con De Laurentiis, “’amo trovato Sirvio in mezzo ai negretti. Je spiegava l’attualità della Costituzzione!!”. E poi, ancora, gli sceneggiatori: “Pe faje fa na scena spinta, amo dovuto spiega’ che era alta e d’impegno. Nun se voleva ‘ngroppà na bella fica. Amo dovuto di’ che era na citazzione de Moretti. Era Caos Calmo puro!! A famosa scena de Nanni co ’a Ferrari, dottò. E così l’ha fatta”. E, infine, la stravaganza: “S’è presentato con l’idea di far suonare con lui Fedele Confalonieri. Finalmente, direte. Na bella e sana idea. Ma quale!! Je dava da sonà Kurt Weill!! Du palle, manco a li tempi de Grassi e de Strelle!”.

    Tutto questo viene poi raccontato a Vanzina da un De Laurentiis al massimo della disperazione: “Pensa”, dice quest’ultimo a Vanzina, “che Carlo Verdone me lo diceva: ‘Ma sei pazzo a fare il film con Berlusconi. Te rovini per sempre. Nun capisci che il cinema, per definizione, è de si-ni-stra!! Co’ quello te ’mpuzzi e poi te ritrovi stroncato pe’ la vita’”. E, invece? “E, invece”, ha confidato in uno sbotto di dolore De Laurentiis, non senza avere bevuto uno sciroppo di Maalox, con la scusa del cinema è diventato di sinistra lui”.  Vanzina, a questo punto, come un novello Franti, sorrise: “Già risolto”. Preso sotto braccio il Silvio, porgendo un bicchiere di chinotto alla dottoressa lacaniana, Vanzina ha sistemato tutto con una trovata, anzi, un colpo che non esitiamo a definire di genio: “Vedi, Silvio, tu hai ragione a non fare il film così. Qui urge una botta di Ettore Scola. Tu devi fare il remake di ‘Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?’, lo ricordi? E’ quello con Nino Manfredi. Tu hai già il tuo ruolo. Adesso si tratta di prendere qualcuno che reciti la parte di Alberto Sordi, il cognato, e quella di Bernard Blier, il ragioniere. A me piace Maurizio Mattioli per fare il cognato mentre per il ragioniere…”.

    Silvio è pur sempre il leone che tutti conosciamo. Stoppa l’amico e dice: “… Ma per il ragioniere, Enrico mio, c’è Giuseppe Spinelli. E’ un Blier smagrito, è perfetto”. “E’ magnifico”, aggiunge Vanzina, “è la morte sua quel ruolo”.
    Insomma: esterno, giorno. Silvio Berlusconi, grazie al cinema, capisce di avere l’occasione giusta per dire la verità. “E viverla!” gli gridano in coro Druna, Vanzina e pure Paolo Virzì (ma al telefono) e anche Marco Bellocchio (riservatamente). L’esterno è in pieno giorno e le macchina da ripresa accolgono nella luce una folla festante di africani e di italiani, a Malindi, urlare una sola festa: “Berlusco’ nun ce lassà! Berlusco’ nun ce lassà!”.

    La pellicola – e noi che pure l’abbiamo vista ancora tutta da montare – è un capolavoro. Lui, poi, è riconoscibile in questo suo essere così “de sinistra”, proprio perché irriconoscibile: sembra Giobbe Covatta, s’è allargato, ha tutta una panza di felicità, non ha più capelli ma una fragile peluria colorata di bianca innocenza. E’ un Natale a Malindi ma non ci sono zebre impegnate in rumori corporali, c’è tutto un lato Brecht che fa riflettere, un qualcosa di mucciniano che non è mera solidarietà ma compenetrazione. In campo lungo s’intravede la cara Elisabetta Gregoraci che urla, al modo di Munch, “Di’ qualcosa di destraaaaa!!!”. Entra in campo, Vespa: “… O, quantomeno, di centrodestraaaa!!!”.
    Riusciranno, dunque, i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso? Arriva da Roma, Carlo Rossella. Arriva anche Guido Crosetto. Guido Bertolaso, scende direttamente dal Sudan. Arriva Gianpiero Samorì, accompagnato da Emilio Fede. E pure Laura Ravetto, arriva, ma armata di nobilissima Luger. Una vera Bond Girl, la bella Laura. Ha anche un pugnale apri-ostriche attaccato sulla tonica coscia. La regia affida la scena madre a Mattioli, il cognato, e a Spinelli, il ragioniere. Ma la scena madre non ve la raccontiamo. Già ci siamo gustati il piacere di darvi questo retroscena, ecco. A Natale, tutti al cinema.

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    • Pietrangelo Buttafuoco
    • Nato a Catania – originario di Leonforte e di Nissoria – è di Agira. Scrive per il Foglio.