Nel cilindro del berluscosauro

Salvatore Merlo

La famiglia e l’azienda raccolte intorno al tavolo ovale della sala da pranzo di Villa San Martino, Marina Berlusconi e Fedele Confalonieri, i direttori dei telegiornali, Mimun, Brachino, Toti. Orecchie aperte, è, sì, un incontro intimo, quasi famigliare, ma è pure un briefing d’azienda, tutto si tiene nella grandiosa anomalia di fine impero.

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    La famiglia e l’azienda raccolte intorno al tavolo ovale della sala da pranzo di Villa San Martino, Marina Berlusconi e Fedele Confalonieri, i direttori dei telegiornali, Mimun, Brachino, Toti. Orecchie aperte, è, sì, un incontro intimo, quasi famigliare, ma è pure un briefing d’azienda, tutto si tiene nella grandiosa anomalia di fine impero. Il lunedì di Arcore scorre veloce tra aperitivo e pranzo, verso sera fa capolino anche Ignazio La Russa e a cena Antonio Martino. Il Cavaliere illustra, spiega, motiva se stesso e gli altri, alterna dubbi a certezze, di fronte agli ospiti srotola un piano di battaglia d’altri tempi, sposta i carrarmatini, quelli che esistono e anche quelli che non esistono più, disloca le truppe del suo centrodestra sfinito sulla mappa elettorale del 2013: il generale Berlusconi guida Forza Italia, il colonnello Angelino Alfano è alla testa del Pdl, mentre Francesco Storace porta le insegne della Destra con tutto il mondo che fu di Alleanza nazionale. Possibile? Il Cavaliere ci crede, altri un po’ meno. Il senatore Andrea Augello, uomo spiritoso, storce il naso e la chiama “Casetta delle libertà”, riproduzione nanometrica dei fasti passati, mentre Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, dice che “Berlusconi ritorna a Forza Italia vent’anni dopo con lo stesso sistema con cui ha fatto il trapianto di capelli”. Ed entrambi sentono che c’è qualcosa di posticcio e crepuscolare nell’eterno ritorno dell’uomo attorno al quale ha ruotato per vent’anni il circo della politica italiana, delle maggioranze e delle opposizioni. Eppure il Cavaliere sembra aver ritrovato se stesso, malgrado a tratti appaia incerto, specie quando sono i famigliari ad avanzare qualche obiezione, o un dubbio: sei sicuro che le cose stiano proprio così? Sei certo che il tuo ritorno sia salvifico? Lui insiste nel raffigurarsi come un “dinosauro” vincitore, comunica con il corpo, si fa fotografare allo stadio mano nella mano con una giovane donna, Francesca Pascale, che presenta agli amici come la sua fidanzata ufficiale; è lui il mostro del pleistocene che ritorna convinto di poter squassare il fragile presepio politico: il Berluscosauro. Compulsa numeri e percentuali, elargisce sondaggi con facondia anche agli uomini di Mediaset che ha riunito, forse gonfia un po’ le cifre, ma tant’è: “Forza Italia è al 17 per cento, il Pdl al 4, An al 3. Con questo spacchettamento, e la mia candidatura, prendiamo il 24 alle elezioni”, dice. Non tutti gli credono. Ma è anche per questo che ieri Berlusconi ha dato ordine che al Senato i suoi fermino la riforma della legge elettorale, la riforma impedirebbe la possibilità di realizzare lo schema Forza Italia. Così ieri il tavolo della mediazione sulla riforma è saltato, è tutto più fermo di quanto non fosse fermo già prima, malgrado le pressioni del Quirinale e gli inviti di Mario Monti, malgrado il gruppo parlamentare del Pdl sia tentato dalla disobbedienza: bisogna conservare il porcellum, pensa il Cavaliere, è necessario salvare il sistema elettorale che costringe alle coalizioni, sono essenziali le liste bloccate (gli ex di An non sono d’accordo).

    “L’accordo non si trova anche perché i partiti sono diventati troppi, più di quelli ufficiali…”, dice Carlo Vizzini, e il senatore si riferisce al fatto che il ritorno a Forza Italia è cosa ormai fatta. Il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto ieri ha ripassato l’elenco dei deputati per tutta la sera, una lunga riunione, mani tra i capelli, i parlamentari che restano e quelli che vanno con il Cavaliere: “Savino?”; “va di là”; “Scajola?”; “di qua”; “Scelli?”; “forse di là”; “Sisto?”; “di qua”; “Speciale?”; “di là”: ci sono parlamentari del Pdl che già non rispondono più ai loro capigruppo. E si vede. Il lancio sarà pubblicitario, in diretta tv, il Cavaliere adesso un po’ rallenta, non vuole sbagliare i tempi dell’annuncio, mentre il Pdl si liquefà in pochissime ore e i suoi dirigenti, quelli che hanno tentato la via della resistenza, si inabissano, scompaiono dai radar del Palazzo e staccano pure i telefoni. Berlusconi, senza nemmeno averli consultati, li ha ricollocati – pure loro – tutti nella nuova geografia, non sarebbe nemmeno la prima volta (il Pdl nacque così, i berlusconiani furono avvertiti a cose fatte, Sandro Bondi, a cena con Quagliariello e altri al ristorante la Campana, annunciò, quasi tremando: “Mi ha appena telefonato il Dottore, chiude Forza Italia”).

    La Ri-Forza Italia adesso sarà per pochi intimi, la selezione all’ingresso la sta facendo Denis Verdini, incaricato di compilare una lista elettorale che qualcuno chiama “l’Arca di Noè”: metà maschi e metà femmine per garantire la sopravvivenza della specie, che tuttavia non sembra precisamente quella delle origini e non solo per ragioni anagrafiche: i Gianpiero Samorì al posto dei Lucio Colletti, gli Alessandro Proto dove sedevano i Marcello Pera. Tra qualche giorno nasceranno forse gruppi parlamentari, Sandro Bondi ritorna capogruppo in Senato come ai vecchi tempi? Un gruppo parlamentare serve, è necessario per evitare una raccolta di firme mostruosa a sostegno della nuova lista elettorale.

    Tutto come prima, quasi quindici anni dopo. Ma c’è posto anche per gli uomini che hanno sostenuto Alfano sino all’ultimo, ovvero i Cicchitto e i Quagliariello, i Raffaele Fitto e i Maurizio Lupi, Berlusconi li ha inseriti in contumacia nel nuovo Pdl guidato sempre da Angelino Alfano, il segretario che intanto ancora non sa bene cosa fare, sempre sospeso tra rivolta e capitolazione, rassegnazione e disperazione. Da qualche giorno lo chiamano “Amletino Alfano”, domenica ha rinunciato alle primarie del Pdl dicendo che la candidatura di Berlusconi le renderebbe inutili, ma da allora è rimasto in silenzio, interdetto, in bilico tra chi gli consiglia di muovere un’improbabile guerra al Cavaliere e la tentazione di abbandonare tutto e, chissà, iscriversi pure lui a Forza Italia. Non ha nessuna intenzione di provocare lui uno scontro con il suo padrino. Eppure la nuova corte berlusconiana non risparmia nessuno, ha già condannato il povero Alfano, e così la crisi del Pdl si consuma in un’esplosione di rancori, tra dileggio e sberleffo: al telefono Daniela Santanchè è arrivata a consigliare ad Alfano le dimissioni, con tono prescrittivo.

    Dunque Berlusconi, con l’energia pazzotica del dinosauro, disfa e ritesse il suo mondo dissolto: ha pure coscritto tutti gli uomini un tempo di An, da Maurizio Gasparri a Giorgia Meloni, nel nuovo partito di Francesco Storace. Il Cavaliere non chiede, dà per scontato che alla fine tutti si adegueranno: “I voti sono sempre stati solo i miei”; e se non volessero? “Una loro scelta”. Berlusconi ci ha messo dentro persino quelli che non ci pensano nemmeno (o almeno così dicono adesso) a seguirlo nella riedita Casa delle libertà, ci ha messo dentro anche Gianni Alemanno, il sindaco di Roma, quello che invece minaccia di andarsene “perché mi pare tutta una buffonata”, lui che coltiva da tempo relazioni vaticane e ora infatti osserva con interesse le mosse dei cattolici e del grande centro montiano di Casini, di Montezemolo e di Andrea Riccardi.

    Non ci sarà nemmeno un ufficio politico a segnalare l’addio al Pdl. Berlusconi, che ne è presidente, ha già pronte le sue dimissioni da consegnare però in diretta televisiva, come un breve inciso al più articolato (ri)lancio del marchio Forza Italia: è già in contatto con Bruno Vespa per uno speciale di “Porta a Porta” in prima serata. La liturgia di nomenclatura lo ha sempre irritato e il tentativo di trascinarlo adesso in un ufficio di presidenza del Pdl, fosse anche l’ultimo, è destinato a essere frustrato: il Cavaliere non si è mai davvero consegnato alla politica, ai suoi meccanismi e alle sue cerimonie, e non ha intenzione di farlo adesso per celebrare il funerale del Pdl. Lui ha sempre relegato le riunioni di partito alla funzione di indistinto sottofondo sonoro (“pura noia”), quella di Berlusconi rimane una dimensione antica, ma al tempo stesso evoluta, formalmente razionale, però così personalizzata da dover ricorrere al mito e alla magia: al carisma. E una volta esaurito il carisma vengano pure il diluvio e l’Arca di Noè.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.