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Sceicchi non sciocchi
Monti blandisce i capitali stranieri, ma è l'Europa che ancora non convince
“The economic perspective of the Eurozone and the role of Italy: an opportunity for investors”. Gli appunti che Mario Monti ha preparato per il suo ultimo discorso nel Golfo Persico, quello che terrà oggi pomeriggio ad Abu Dhabi davanti agli investitori, non potevano che tenere assieme Italia ed Europa. Perché le elezioni che incombono nel nostro paese peseranno pure – riconosce il presidente del Consiglio –, ma senza una stabilizzazione del quadro europeo nessun investitore straniero sceglierà di riorientare in maniera stabile i suoi capitali verso il nostro continente.
Roma. “The economic perspective of the Eurozone and the role of Italy: an opportunity for investors”. Gli appunti che Mario Monti ha preparato per il suo ultimo discorso nel Golfo Persico, quello che terrà oggi pomeriggio ad Abu Dhabi davanti agli investitori, non potevano che tenere assieme Italia ed Europa. Perché le elezioni che incombono nel nostro paese peseranno pure – riconosce il presidente del Consiglio –, ma senza una stabilizzazione del quadro europeo nessun investitore straniero sceglierà di riorientare in maniera stabile i suoi capitali verso il nostro continente. E le parole dette ieri – “Qualsiasi cosa accadrà nella politica italiana, penso che si tratterà di governi responsabili che faranno ancora meglio per far progredire l’economia italiana” – sono interpretate dallo staff del premier come un messaggio di chiarimento per politica e stampa domestiche, non come un cambiamento di rotta rispetto a quanto detto due giorni fa all’emiro e al principe ereditario del Kuwait (“non posso garantire per il futuro”). Monti – dice chi in queste ore sta partecipando ai colloqui con investitori e regnanti dell’area – si presenta agli interlocutori come “risanatore dell’Italia” e allo stesso tempo come “esponente di spicco e profondo conoscitore della situazione europea”. Anche perché così esigono partner come quelli incontrati domenica (Kuwait) e lunedì (Qatar e Oman). Fabio Scacciavillani, capo economista del Fondo di investimento dell’Oman, lo conferma al Foglio: “Vista la cacofonia di voci in arrivo dall’Europa, sentire la versione dei fatti di uno dei protagonisti più autorevoli e convincenti delle vicende della moneta unica ha un certo valore per gli investitori”. Ciò non esclude qualche risultato immediato per l’Italia: ieri per esempio il Fondo strategico italiano, controllato dalla Cassa depositi e prestiti, e la Qatar Holding del primo ministro Hamad bin Jassim bin Jaber Al Thani, hanno firmato un accordo per costituire una joint venture, “Iq Made in Italy Venture”. Con una dotazione iniziale di 300 milioni di euro, e un capitale che arriverà a 2 miliardi in 4 anni, Iq Made in Italy venture investirà nelle società italiane che operano in alimentare, moda e lusso, arredamento, turismo. L’Italia torna a essere un paese dove investire, ha detto lo sceicco Al Thani, “alla luce delle grandi riforme del governo Monti che meritano apprezzamento”. Per il resto, molte rassicurazioni e promesse per il futuro. D’altronde, dicono gli esperti, sarebbe stato difficile andare molto oltre i “memorandum of understanding”: cioè tante buone intenzioni e molti meno dollari.
I dubbi di Nomura e quelli di Pechino
Perché? L’Italia non è forse oggi un paese ricco di asset “a buon mercato”, come ha detto il premier? Una risposta l’ha fornita nel fine settimana Richard Koo, capo economista della banca d’affari Nomura, durante un seminario a porte chiuse organizzato dall’Institute for new economic thinking (Inet), think tank del miliardario George Soros. In videoconferenza tra Berlino, Londra e Roma, Koo ha risposto così a un membro italiano dei Global shapers, cioè gli under 35 del Forum di Davos, che gli chiedeva degli investimenti di Asia e medio oriente nel nostro paese: “L’Europa ha un problema che gli altri paesi non hanno, ed è il trattato di Maastricht”. In quella che l’economista definisce “balance-sheet recession” (crisi patrimoniale), con individui e società che preferiscono ripagare i debiti piuttosto che prendere a prestito, nonostante una politica monetaria espansiva, “l’idea che il governo possa indebitarsi solo del 3 per cento l’anno, come richiesto da Maastricht, non va”. Nell’Eurozona, poi, le distorsioni aumentano perché i risparmi possono essere investiti senza nemmeno cambiare valuta in titoli di stato tedeschi o olandesi, aggravando così le distorsioni speculative sui rendimenti e la spirale recessiva in Spagna e Italia. Insomma: “Finché l’Europa non aiuta se stessa, correggendo la sua struttura istituzionale, perché dovrebbero aiutarla i capitali cinesi o arabi?”. Un’altra conferma arriva dal rapporto appena depositato nella commissione sulle relazioni tra Stati Uniti e Cina del Congresso americano: al capitolo “Europa”, si legge che Pechino ha promesso molto e mantenuto poco sugli acquisti di bond dei paesi periferici, Italia inclusa. Il discorso è lievemente diverso per investimenti e acquisizioni in singole società strategiche, ma certo è che per attirare il Cavaliere bianco (e straniero) la sola Italia non basta più. E Monti lo sa.


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