
Il rimbalzo del lacrimogeno
La vicenda del video di Repubblica.it che mostra tre lacrimogeni verosimilmente lanciati dalle finestre del ministero della Giustizia sui manifestanti in strada durante lo sciopero di mercoledì ha molti tratti grotteschi. A partire da quanto emerso sullo stesso sito di Repubblica in serata (ma tenuto un po’ nascosto), quando Massimo Lugli ha mostrato un particolare dello stesso video in cui appare abbastanza evidente che i fumogeni arrivano dalla strada, rimbalzano sulla facciata del ministero e ricadono sulla folla.
Leggi Lo scoop sui lacrimogeni rimbalza addosso a Repubblica
La vicenda del video di Repubblica.it che mostra tre lacrimogeni verosimilmente lanciati dalle finestre del ministero della Giustizia sui manifestanti in strada durante lo sciopero di mercoledì ha molti tratti grotteschi. A partire da quanto emerso sullo stesso sito di Repubblica in serata (ma tenuto un po’ nascosto), quando Massimo Lugli ha mostrato un particolare dello stesso video in cui appare abbastanza evidente che i fumogeni arrivano dalla strada, rimbalzano sulla facciata del ministero e ricadono sulla folla. Versione peraltro data dal questore di Roma già in mattinata, ma sovrastata dalle dichiarazioni roboanti di politici che chiedevano le dimissioni del ministro Severino e parlavano di “sospensione dello stato di diritto”. Se questa seconda versione venisse confermata dall’indagine approfondita disposta dallo stesso ministro, ci troveremmo di fronte all’ennesima polemica pretestuosa contro le forze dell’ordine, fermo restando che, come detto dallo stesso questore, il lancio di lacrimogeni contro il ministero è comunque un errore di un agente. Ma è pur vero che se tali polemiche trovano terreno fertile nell’opinione pubblica italiana questo è dovuto, oltre alle forzature di routine dei media, anche al fatto che troppe volte la gestione delle forze dell’ordine difetta di trasparenza. Lo stesso balletto di dichiarazioni di ieri lo dimostra, quando sembrava che il video non lasciasse spazio ad altre interpretazioni, e l’immagine del Palazzo del potere assediato faceva venire in mente la Romania di Ceausescu rimbalzava sulle home page di tutti i siti di informazione. Le parole del questore restavano sul vago, c’era chi parlava di poliziotti entrati nel ministero senza permesso, chi pensava di riconoscere nelle immagini vecchi “lacrimogeni che si usavano nelle carceri”. In un paese dove i corpi di polizia vivono all’ombra triste dei fatti della scuola Diaz, incertezze del genere non possono succedere. Polizia e carabinieri dovrebbero offrire, probabilmente oltre il necessario, maggiore trasparenza sul proprio operato, ad esempio incollando i numeri identificativi sulle divise degli agenti per potere poi punire quei (pochi) che agiscono oltre la legge e dimostrare all’opinione pubblica che non c’è niente da nascondere.
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