
I saggi brevi di Elsa Morante ovvero il gioco della ricerca della verità
Si sta concludendo, con la pubblicazione da Einaudi dell’epistolario a cura di Daniele Morante e con una serie di incontri, letture e convegni, il centenario della nascita di uno dei maggiori scrittori del Novecento, l’autrice di “Menzogna e sortilegio”, dell’“Isola di Arturo” e della “Storia”, i suoi libri più famosi. Elsa Morante è uno dei pochi geni narrativi della nostra letteratura novecentesca, che con la forma-romanzo ha avuto non poche difficoltà e inibizioni.
Si sta concludendo, con la pubblicazione da Einaudi dell’epistolario a cura di Daniele Morante e con una serie di incontri, letture e convegni, il centenario della nascita di uno dei maggiori scrittori del Novecento, l’autrice di “Menzogna e sortilegio”, dell’“Isola di Arturo” e della “Storia”, i suoi libri più famosi. Elsa Morante è uno dei pochi geni narrativi della nostra letteratura novecentesca, che con la forma-romanzo ha avuto non poche difficoltà e inibizioni. Abbiamo avuto eccellenti prosatori, saggisti e autori di racconti, come Gadda, Gramsci, Alberto Savinio, Roberto Longhi, Mario Praz, Giacomo Debenedetti, Calvino, La Capria, Parise… Ma il romanzo, salvo poche eccezioni (Svevo, Moravia, Lampedusa, Soldati) è rimasto quasi sempre un’esigenza, un sogno, una ricerca con scarsi esiti.
Elsa Morante invece si è espressa pienamente nel romanzo. Aveva la religione del romanzo e una innata capacità di mantenere la prosa al più alto livello di qualità artistica costruendo architetture narrative sorprendentemente complesse e abili. E’ stato detto e ripetuto che in lei il romanzo realistico e psicologico di tradizione ottocentesca si fonde con un’epica visionaria e fiabesca, come se un’ispirazione che veniva dal feuilleton, da Stendhal e Dostoevskij fosse ricondotta a culture e tempi remoti, a Cervantes e Ariosto, alla tradizione mitologica e fiabesca occidentale e orientale.
Giacomo Debenedetti, il più appassionato e geniale indagatore della forma-romanzo nel Novecento italiano, fu il primo a capire che dietro la narrativa della giovane Morante c’era la fiaba, che conduce il lettore “nell’evento e nell’apparizione fatata”, poiché l’autrice “ci attira a cercare il nocciolo della sua verità nei domini del mitico” e del fiabesco, in cui non solo si raccontano e si conoscono le cose, ma si “riconoscono” in “qualche grande immagine primitiva”, in qualche archetipo atemporale.
L’intreccio romanzesco, l’eco del mito e della fiaba: ma anche la musica dello stile, creata “con uno strumento da gran concerto, suonato da un virtuoso”. Eppure, al di là della fiaba e della musica, “l’intento deliberato era di comporre un romanzo della realtà”.
La cosa singolare è che fra romanzo, fiaba e musica, Elsa Morante abbia anche scritto, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, una serie di brevi saggi che mostrano in lei l’attitudine alla conversazione intellettuale praticata come gioco della verità. Negli scritti raccolti in “Pro o contro la bomba atomica” incontriamo una Morante saggista che costruisce i suoi miti di idee ed espone le sue diagnosi psicologiche, intellettuali e sociali. E’ un libro di poco più di cento pagine ma contiene in poco spazio interi mondi. E’ come se i tempi e gli spazi del pensiero rallentassero e si dilatassero creando fughe prospettiche in cui si vedono comparire Umberto Saba, “poeta di tutta la vita”, Beato Angelico “propagandista del Paradiso”, la bomba atomica, “il fiore, ossia la espressione naturale della nostra società contemporanea, così come i dialoghi di Platone lo sono della città greca”: la bomba agente della disintegrazione, mentre “l’arte è il contrario della disintegrazione” perché restituisce e custodisce “l’integrità del reale” nella coscienza umana. A questo serve il romanzo, di cui tratta il saggio più esteso.
Ma la nozione di romanzo è anche questa dilatata fino a comprendere l’“Eneide”, l’“Orlando Furioso”, il canzoniere di Petrarca, i sonetti di Shakespeare. Come “I promessi sposi” e l’“Uomo senza qualità”, anche la “Divina commedia” è definita romanzo saggistico, essendo un’epica della mente, del pensiero, una narrazione teologica e filosofica che si conclude in quell’excessus mentis che è l’estasi.
Ho ricordato la passione di Elsa Morante per il gioco della verità. Come dice il nome, è un gioco, ma la faccenda è seria, la verità va detta. Solo che la verità prende varie forme e diverse strade: narrazione, poesia, saggio, ritratto, conversazione… In questi saggi-conversazione, tra le altre cose che veniamo a sapere, ce ne sono almeno tre che anche volendo non si potrebbero dimenticare. Anzitutto che piazza Navona “è la regina di tutte le piazze, non solo dentro la città di Roma, ma nel mondo intero, e forse (sarei pronta a scommetterlo) nell’universo (…) Affronterò magari il linciaggio, ma ripeterò fino alla fine questo mio ritornello indiscutibile: piazza Navona è senza pari!”.
La seconda cosa memorabile è che “a ben guardare, i poeti e scrittori narrativi dispongono, in tutto e per tutto, di tre personaggi fondamentali, i quali rappresentano, per l’appunto, i tre possibili atteggiamenti dell’uomo di fronte alla realtà:
1) il Pelide Achille, ovvero il Greco dell’età felice. A lui la realtà appare vivace, fresca, nuova e assolutamente naturale;
2) don Chisciotte. La realtà non lo soddisfa, gli ispira ripugnanza, e lui cerca salvezza nella finzione;
3) Amleto. Anche a lui la realtà ispira ripugnanza, ma non trova salvezza, e alla fine sceglie di non essere.
Tutti gli altri personaggi non sarebbero perciò che varianti. Fabrizio del Dongo e Manon Lescaut varianti di Achille. L’Idiota e Emma Bovary reincarnazioni di don Chisciotte. Amleto riappare di continuo e si fa presto a riconoscerlo.
Ci sono poi le innumerevoli contaminazioni fra i tre tipi fondamentali e ognuno può provare a trovarle.
La terza e più indimenticabile delle cose scoperte dalla Morante nelle sue riflessioni saggistiche è che mentre noi esseri umani seguiamo la sorte di Adamo ed Eva, cacciati dal Paradiso terrestre, gli animali non sono mai stati cacciati e perciò abitano ancora lì. La loro compagnia ci permette di frequentare creature viventi che ci guardano dall’Eden per noi perduto: “Quanto amaro sarebbe il nostro esilio se non ci fosse rimasta questa consolazione”.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
