Presentato un emendamento alla legge di stabilità in commissione bilancio della Camera

Scusi, dov'è la macelleria sociale? Dati su tre mesi di Fornero

Redazione

Scusi, sa dov’è la macelleria sociale? L’Armageddon prevista dalla segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, da Maurizio Landini della Fiom e da innumerevoli altri sugli effetti della riforma del lavoro non c’è stata. Almeno fino ad ora. I sindacati annunciano monitoraggi sui licenziamenti individuali dopo la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, così come sui tagli dei contratti a tempo determinato, ma i dati sanguinosi, anche di parte sindacale, ancora non si vedono.

di Cristina Giudici e Alberto Brambilla

    Scusi, sa dov’è la macelleria sociale? L’Armageddon prevista dalla segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, da Maurizio Landini della Fiom e da innumerevoli altri sugli effetti della riforma del lavoro non c’è stata. Almeno fino ad ora. I sindacati annunciano monitoraggi sui licenziamenti individuali dopo la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, così come sui tagli dei contratti a tempo determinato – frutto della norma che si propone di combattere il precariato “cattivo”, come lo ha definito il ministro del Lavoro Elsa Fornero. Ma i dati sanguinosi, anche di parte sindacale, ancora non si vedono. Il Foglio è invece in grado di anticipare alcune tendenze.

    A più di tre mesi dall’entrata in vigore della legge, in Italia i temutissimi licenziamenti senza giusta causa si contano sulle dita di una mano: circa cinque. E diciamo circa perché alcune vertenze sono in corso, poche, e non se ne può anticipare l’esito. Per il resto, il temuto abuso che la modifica dell’art. 18 avrebbe provocato non è alle viste. E’ ovviamente difficile interpretare quali siano le conseguenze della crisi e cosa invece sia conseguenza delle modifiche introdotte della riforma. Tra i dati più significativi, c’è l’indagine resa pubblica ieri da Unioncamere e relativa al quarto trimestre del 2012. E’ emerso che ci sono stati 218 mila nuovi ingressi nel mercato del lavoro, di cui solo il 19 per cento a tempo determinato, mentre 120 mila dipendenti hanno perso il lavoro. L’unico aspetto relativo alla riforma rilevato dallo studio statistico di Unioncamere riguarda i contratti di apprendistato, rilanciati dalla riforma, che invece sono in lieve ripresa. Il commento del presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, è cauto: “Le imprese manifestano molta incertezza. Si ha quasi la sensazione che le imprese siano tentate di allargare la propria base occupazionale, ma poi temano di fare il passo più lungo della gamba”. Tradotto: le imprese virtuose, o che resistono, vorrebbero assumere i loro precari, secondo i desiderata di Elsa Fornero, ma ogni nuovo investimento è visto con timore. Secondo la Cisl veneta, interpellata dal Foglio, “al contrario la tendenza è quella di ricorrere alle deroghe previste dai contratti aziendali per prolungare i contratti a tempo determinato” come, spiega la segretaria generale Franca Porto, “e cercare di assumere solo chi rischia di perdere il lavoro”.

    Paradosso. La crisi morde, la riforma allarga le strade della flessibilità, restringe quelle della precarietà, e le aziende si tengono stretti i giovani talenti sui quali hanno investito con contratti precari? C’è qualcosa che non coincide con i luoghi comuni. Si potrebbe supporre, maliziosamente, che per quanto riguarda i contratti a tempo determinato la riforma non ha finora provocato effetti negativi semplicemente perché la legge non viene applicata in maniera rigida. Tranne che per casi eccezionali. Ma potrebbe anche non essere così. Il tema è controverso e l’arco del periodo sul quale fare valutazioni ancora troppo breve per dare un pieno parere oggettivo. Eppure alcuni esempi positivi in Veneto si sono già registrati. Come per esempio l’accordo firmato tra sindacati scuola e Fism, l’associazione che rappresenta le 1.200 scuole d’infanzia private (comprese quelle cattoliche) attive in Veneto per garantire la continuità dell’occupazione per le insegnanti senza abilitazione. “E per oltre cento insegnanti delle scuole materne private, è stato portato a 60 mesi il tempo massimo per il rinnovo dei contratti a termine per permettere alle insegnanti prive di abilitazione di continuare a lavorare e iscriversi ad un corso di abilitazione e poi essere assunte”, fa notare la Cisl. Oppure ciò che è successo alla multinazionale Alfa Laval dove, nella sede vicentina, è stato raggiunto un accordo-scambio fra tutti i sindacati, compresa la Cgil, per conservare tutti i posti di lavoro grazie a un turn-over dei contratti. E cioè mantenendo le vecchie regole sui nuovi impiegati con contratti a tempo determinato e assumendo invece gli impiegati presi precedentemente alla riforma alla fine del contratto a termine.

    Secondo un’altra indagine statistica della Fondazione Studi – Consulenti del Lavoro, secondo cui il mercato del lavoro riformato appare “poco edificante”, le nuove norme hanno comunque incentivato le assunzioni per il 27 per cento dei lavoratori precari, mentre il 39 per cento dei giovani lavoratori tra 18 e 29 anni, è riuscito a difendere il suo posto di lavoro grazie agli sgravi fiscali destinati all’apprendistato. “Le prospettive che erano state date a questa riforma erano però molto più ambiziose”, dice al Foglio Enzo De Fusco, coordinatore scientifico della Fondazione e consulente del lavoro. “Non notiamo significativi aumenti occupazionali da quanto secondo noi emerge attualmente. Sul versante della flessibilità in entrata, invece, si attribuivano a questa riforma delle speranze che non sono state soddisfatte”, nota Fusco.

    Anche per gli imprenditori lombardi la riforma del lavoro non ha avuto effetti negativi, ma neanche molto positivi. Per Paolo Galassi, presidente di Confapi industria, l’associazione di categoria che riunisce tremila piccole e medie imprese, la riforma avrebbe potuto essere migliore. “Ma la riforma non ha avuto effetti negativi innanzitutto perché non ci sono molte aziende con più di 50 dipendenti che possono ricorrere ai licenziamenti per giusta causa. E poi i nostri imprenditori cercano di evitare scontri brutali. Per quanto riguarda la precarietà il ministro ha ragione a mettere dei paletti, perché in alcuni settori la flessibilità può essere usata in modo strumentale: ma invece, le pare che nel settore manifatturiero un imprenditore formi un lavoratore, e poi lo licenzi? In ogni caso secondo l’indagine della Confapi gli imprenditori che hanno dato la sufficienza alla riforma Fornero sono il 16 per cento. Per loro il nodo gordiano del mercato del lavoro è uno solo: ridurre il cuneo fiscale.

    di Cristina Giudici e Alberto Brambilla