Congresso a Pechino

Tenere d'occhio Hu Jintao: riuscirà a tenere il potere militare per sé?

Redazione

A Pechino ci sono due modi per prendere la temperatura politica della Repubblica Popolare cinese: osservare l’umore dei tassisti e il funzionamento della connessione Internet. Il primo è pessimo e le seconda è lenta e s’interrompe di continuo. E’ il segnale che qualcosa di importante sta accadendo. Ieri si è aperto il diciottesimo Congresso del Partito comunista, che nei prossimi giorni sancirà la fine dell’èra del presidente Hu Jintao, del premier Wen Jiabao e l’ascesa al potere della quinta generazione di leader comunisti, verosimilmente guidata da Xi Jinping e Li Keqiang.

    Pechino. A Pechino ci sono due modi per prendere la temperatura politica della Repubblica Popolare cinese: osservare l’umore dei tassisti e il funzionamento della connessione Internet. Il primo è pessimo e le seconda è lenta e s’interrompe di continuo. E’ il segnale che qualcosa di importante sta accadendo. Ieri si è aperto il diciottesimo Congresso del Partito comunista, che nei prossimi giorni sancirà la fine dell’èra del presidente Hu Jintao, del premier Wen Jiabao e l’ascesa al potere della quinta generazione di leader comunisti, verosimilmente guidata da Xi Jinping e Li Keqiang. Mentre l’America chiudeva il voto che ha portato alla rielezione di Barack Obama, milioni di cinesi guardavano in tv il discorso di apertura di Hu Jintao. Tra le righe della liturgia di partito si è intravisto  il delicato equilibrio di pesi e contrappesi in atto in questa delicata fase di transizione. La prima inquadratura della Cctv, la tv di stato, è stata proprio per Hu Jintao, entrato in scena per primo a fianco del suo predecessore, l’ottantaseienne gran burattinaio della politica cinese, Jiang Zemin.

    Hu ha dedicato il suo intervento alla rituale apologia dell’operato del governo negli ultimi cinque anni, appellandosi ai pilastri teorici della dottrina maoista-denghista e riconfermando la linea ideologica del “socialismo con caratteristiche cinesi”. Ogni parola del discorso del presidente uscente è stata pesata con cura maniacale e aveva un destinatario ben preciso. Il riferimento alla modernizzazione delle Forze armate era rivolto sia ai compagni di Partito sia ai vertici dell’Esercito di liberazione popolare: “la Cina deve implementare la teoria militare della cosiddetta ‘difesa attiva’ e prepararsi adeguatamente all’eventualità di una guerra locale nell’èra dell’informazione”. Fondamentale per il raggiungimento di questo scopo è la modernizzazione degli apparati militari e la trasformazione della Repubblica popolare cinese in una “potenza marittima”.
    Un settore particolarmente delicato, quello della Difesa, se è vero che da tempo si discute se Hu Jintao manterrà la guida della Commissione militare centrale – l’istituto in assoluto più potente del sistema politico cinese, il mezzo per controllare l’Esercito di liberazione popolare, protettore di ultima istanza del popolo cinese e dello stesso Partito – anche dopo la fine del suo mandato. Probabilmente, ricalcando le orme di Jiang Zemin, l’attuale presidente rimarrà al vertice della Commissione militare, ma le indiscrezioni degli ultimi mesi hanno alimentato le supposizioni sul ruolo indebolito del capo dello stato. Mantenendo il controllo politico delle Forze armate, Hu Jintao dimostrerebbe di volere tutelare la sua eredità politica. Allo stesso tempo però, una dimostrazione di forza rischia di portare alla luce le gravi e numerose rivalità interne, specialmente quelle tra i fedeli di Hu e la cosiddetta “cricca di Shanghai” dominata dai protégé di Jiang Zemin, di cui fa parte il probabile futuro presidente Xi Jinping.

    La vecchia guardia
    La vecchia guardia, capeggiata dall’ex presidente Jiang Zemin, conserva ancora un ruolo fondamentale nei giochi politici della Repubblica popolare, soprattutto dopo l’epurazione di Bo Xilai, l’astro nascente del neo maoismo. E’ lecito attendersi che la linea conservatrice emerga vittoriosa al termine della settimana congressuale. Il Partito è diventato un sistema fluido di alleanze in cui i leader hanno bisogno di costruire e nutrire il loro consenso interno per non cadere in disgrazia. Ecco perché, nei giorni immediatamente precedenti l’apertura del Congresso, Hu Jintao ha provveduto a un rimpasto tra gli alti ufficiali delle Forze armate. La recente nomina alla vicepresidenza della Commissione militare dei generali Fan Changlong (comandante del Comando militare di Jinan) e Xu Qiliang (ex comandante dell’aviazione) – entrambi reputati vicini all’attuale capo dello stato – è interpretata come un avvertimento per il futuro presidente Xi, che ora potrebbe dovere attendere due anni prima di ottenere la presidenza della potente Commissione.
    La mossa di Hu Jintao sembra certificare una spaccatura anche nell’Esercito, diviso tra riformisti e conservatori, sulla scia di quanto avviene nel Partito. Il timore è che da un dissidio tra i vertici delle Forze armate derivino gravi conseguenze: per tradizione, almeno il 20 per cento dei seggi della Commissione centrale militare è riservato a loro, con il rischio che si venga a creare una pericolosa impasse. Non a caso, l’Esercito di liberazione del popolo ha lanciato su larga scala una campagna di fedeltà al Partito. Lo slogan è “Io comando il fucile, ma il Partito comanda me”.