
Comari contro Marchionne
Diffidare del padrone che dà del “nazista” al padrone
L’affidabilismo in epistemologia designa il ruolo essenziale che ha la fiducia nel processo della conoscenza. In effetti, per credere che un’affermazione sia vera, devo fidarmi: del mio giudizio, ma molto spesso degli altri, di qualcuno che mi dice “le cose stanno così”, perché ritengo che sia autorevole. Ora, supponete che un capitano d’industria inizi a dire di un altro capitano d’industria: no, di lui non c’è da fidarsi.
di Michele Magno
L’affidabilismo in epistemologia designa il ruolo essenziale che ha la fiducia nel processo della conoscenza. In effetti, per credere che un’affermazione sia vera, devo fidarmi: del mio giudizio, ma molto spesso degli altri, di qualcuno che mi dice “le cose stanno così”, perché ritengo che sia autorevole. Ora, supponete che un capitano d’industria inizi a dire di un altro capitano d’industria: no, di lui non c’è da fidarsi. E’ chiaro che prima o poi comincerò ad avere dei dubbi. In questo senso, l’offensiva mediatica sferrata contro Sergio Marchionne da Diego Della Valle e Carlo De Benedetti si può definire come una forma di ingiustizia epistemica, che funziona – spiega Miranda Fricker in “Epistemic Injustice” – diminuendo con le armi dell’invettiva e dell’ironia l’affidabilità di una persona. Ecco, allora, il gioco del Marchionne anti italiano e anti operaio, con il braccio a Via Rasella e la mente a Detroit. Ma è un gioco futile, che rischia di trasformare un problema assai serio in una condominiale lite tra comari nel cortile del capitalismo domestico. Il problema assai serio è quello di un modello di relazioni industriali ancora sottomesso alla logica centralistica e consociativa delle grandi organizzazioni d’interesse, che tende a ignorare la pressione esercitata sul sistema di contrattazione dalle spinte competitive mondiali.
L’ad del Lingotto ha sicuramente commesso errori di valutazione nella possibilità di bruciare le tappe verso un nuovo gruppo in grado di dominare la scena produttiva dell’auto. Ma non gli si può certo imputare una rottura dei quadri di regolazione nazionale che ha investito tutti gli ordinamenti contrattuali, europei e anglosassoni. Clausole derogatorie e contratti di “concessione”, ossia peggiorativi di quelli esistenti, si sono sperimentati un po’ ovunque, dagli Stati Uniti alla Germania. La recessione scoppiata nel 2008 ha intensificato l’utilizzo di queste formule. Se si guarda all’Europa, il fenomeno più evidente è quello del decentramento. Esso risponde alla generale richiesta di flessibilità avanzata dalle imprese, che ripropone il tema del coinvolgimento dei lavoratori nella gestione degli accordi aziendali. Un tema cruciale nella realtà nordeuropea, che spiega perché lì la prassi delle deroghe al contratto nazionale non abbia provocato le guerre di religione combattute in Italia. La verità è che – per ragioni storiche e politiche – da noi la questione della democrazia economica non ha mai avuto piena cittadinanza, nonostante sia citata nella Carta del 1948.
Il sindacalismo giudiziario di Camusso
Forse la cultura della partecipazione è una materia scarsamente studiata nelle scuole del padronato, ma non sembra nemmeno in cima alle preoccupazioni della sinistra e della Cgil. Mentre l’ampliamento degli spazi di cooperazione nell’impresa e la promozione di accordi aziendali di produttività dovrebbero costituire l’impegno principale di una politica dei redditi finalizzata alla crescita di salario e pil. Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, preferisce invocare dal governo un decreto legge sulle regole della democrazia sindacale, in linea con l’intesa interconfederale siglata l’anno scorso. La richiesta è paradossale. Quell’intesa è infatti rimasta lettera morta anche grazie al ricorso sistematico alla magistratura scelto dalla Fiom per invalidare il risultato dei referendum negli stabilimenti Fiat. Abbiamo così assistito alla nascita di un sindacalismo giudiziario che nella botte della libertà contrattuale ha versato il vino dell’arbitrio corporativo. E’ probabile che una soluzione per i diciannove operai di Pomigliano a rischio di licenziamento alla fine si troverà. Di sicuro, invece, non saranno le carte bollate e le aule dei tribunali a garantire i diritti del lavoro. Senza mai dimenticare che questi diritti sono delle “conditional opportunities”, per usare l’espressione del sociologo Jack Barbalet. E cioè che la loro esigibilità dipende, in una misura che non ha confronto con i diritti civili e politici, dalle risorse create dall’economia e dai rapporti di forza che emergono conflittualmente nella società. Possiamo anche tuonare contro il neoassolutismo manageriale di Marchionne, ma con questo fatto anche i leader di Pd e Cgil devono fare i conti. E i fatti, come si dice, hanno la testa dura.
di Michele Magno


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