
Si vota in America
Obama sta in difesa, Romney negli avamposti. “Ci serve un esecutore”
Le scelte geografiche di Barack Obama e Mitt Romney nelle ultime ore di campagna elettorale prima del voto raccontano di un presidente che confida in un leggero vantaggio e lavora per consolidare il suo firewall elettorale fra Wisconsin e Iowa; e di uno sfidante che cerca una sortita in una Florida che non sente ancora sua, nonostante i sondaggi più favorevoli vengano da lì, e si sposta in Virginia, dove l’ultimo rilevamento Wsj/Nbc dà un solo punto di vantaggio a Obama. Le strade dei candidati non potevano che incrociarsi in Ohio.
New York. Le scelte geografiche di Barack Obama e Mitt Romney nelle ultime ore di campagna elettorale prima del voto raccontano di un presidente che confida in un leggero vantaggio e lavora per consolidare il suo firewall elettorale fra Wisconsin e Iowa; e di uno sfidante che cerca una sortita in una Florida che non sente ancora sua, nonostante i sondaggi più favorevoli vengano da lì, e si sposta in Virginia, dove l’ultimo rilevamento Wsj/Nbc dà un solo punto di vantaggio a Obama. Le strade dei candidati non potevano che incrociarsi in Ohio, dove Romney sarà anche oggi prima di rientrare al quartier generale di Boston per la notte dello spoglio. Sul palco di Madison, nel Wisconsin, Bruce Springsteen ha tentato ancora una volta di far rientrare dalla finestra un po’ dello spirito “hope and change” del 2008 rimasto fuori dalla porta in questa tornata elettorale, e l’esordio con la versione acustica di “No surrender” ha emozionato un pubblico evidentemente smemorato o non scaramantico: quella canzone era la colonna sonora ufficiale della campagna elettorale di John Kerry nel 2004. Ci sono 512 combinazioni per arrivare alla somma di grandi elettori che vale la Casa Bianca, e per Obama è sufficiente conservare gli stati dove i dati mostrano un vantaggio significativo. Romney, invece, lavora negli avamposti cercando di fare leva sul “momentum”, sull’inerzia favorevole delle ultime settimane che si riflette nei sondaggi nazionali.
Ma in questa campagna chiunque trova senza sforzo almeno un sondaggio che conferma le proprie speranze. Arthur Brooks, presidente dell’American Enterprise Institute, think tank conservatore, spiega al Foglio che “prima del dibattito di Denver la situazione di Romney sembrava peggiore di quanto fosse in realtà, ora sembra migliore di quello che è”. “Non è il caso per i conservatori di stappare le bottiglie di champagne – dice Brooks – anche se la possibilità che Romney vinca c’è. Può farcela, ma è complicato. Il paradosso è che se lo sfidante adesso ha qualche possibilità di vittoria è tutto merito di Obama e dei tifosi più accaniti, che si sono trasformati nei suoi critici più spietati. Il caso del dibattito di Denver è emblematico: la buona vittoria di Romney è stata trasformata in una débâcle per il presidente dalla reazione rabbiosa dei liberal, ed è una perfetta metafora della campagna e delle sue distorsioni. L’involontaria spinta a Romney da parte della sinistra dimostra che il Partito democratico è ostaggio dell’ala liberal. Accusano i repubblicani di essere estremisti, di essersi venduti al Tea Party, di alimentare una retorica partigiana e distruttiva, salvo poi mostrare la loro natura quando il presidente in cui ponevano le loro speranze si mostra per quello che è”.
Romney ha fatto una decisa virata al centro nell’ultima fase della campagna elettorale, ma Brooks non l’ha notata, perché, dice, “Romney è da sempre un conservatore moderato, persino troppo moderato per i miei gusti. E’ un esecutore e va in difficoltà quando deve articolare una visione. Di solito il messaggio implicito che manda in questi casi è: ‘Per le idee chiedete a Paul Ryan’. Ma anche un manager come lui è stato trasformato in un pericoloso estremista di destra nella vulgata democratica. Nell’ultimo mese si è semplicemente riappropriato della sua identità. Obama, invece, è un pessimo manager con grandi qualità quando si tratta di mostrare una prospettiva ideale e suscitare emozioni. Gli elettori dopo questi quattro anni di depressione e debito impazzito dovrebbero chiedersi con sincerità: di che tipo di presidente il paese ha bisogno in questo momento? La risposta è chiara: un esecutore affidabile. E anche Obama, se sarà rieletto, dovrà rendersi conto di questo dato, che va al di là degli schieramenti”. Per idee, amicizie washingtoniane e appartenenza generazionale Brooks è molto vicino a Ryan, candidato vicepresidente che ha ricevuto giudizi non troppo lusinghieri da destra sul modo “romneyano” di condurre la campagna: “Il candidato vicepresidente – spiega Brooks – deve baciare bambini, mangiare hot dog in Ohio e non sbagliare il nome dello stato in cui sta parlando, nient’altro. Al contrario del suo diretto avversario lo ha fatto, e questo è un bene per la sua carriera e per il futuro del partito, comunque vada”.
Twitter @mattiaferraresi


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