Clima elettorale

Piero Vietti

Dopo quasi quattro anni passati nel dimenticatoio delle promesse irrealizzabili, improvvisamente il riscaldamento globale torna a occupare, seppure a fatica, copertine e prime pagine di riviste e giornali. I danni causati dalla tempesta Sandy a New York hanno ridato fiato al catastrofismo che è dentro a ogni democratico che si rispetti, fino a che giovedì il sindaco di New York, Michael Bloomberg, ha deciso di sostenere Obama in quanto – pur avendo fatto poco – è quello che promette di più nella lotta ai cambiamenti climatici.

    Dopo quasi quattro anni passati nel dimenticatoio delle promesse irrealizzabili, improvvisamente il riscaldamento globale torna a occupare, seppure a fatica, copertine e prime pagine di riviste e giornali. I danni causati dalla tempesta Sandy a New York hanno ridato fiato al catastrofismo che è dentro a ogni democratico che si rispetti, fino a che giovedì il sindaco di New York, Michael Bloomberg, ha deciso di sostenere Obama in quanto – pur avendo fatto poco – è quello che promette di più nella lotta ai cambiamenti climatici. La mossa, come quasi tutto quello che riguarda il global warming, è stata quasi esclusivamente politica (ieri Mike Allen su Politico ha rivelato che il vicepresidente Joe Biden ha chiesto con insistenza a Bloomberg di intervenire). D’altronde il tema stesso del riscaldamento globale è stato cavalcato, se non creato, dalla politica, Partito democratico americano in testa. L’ex vicepresidente Al Gore ci ha costruito una carriera, vincendo un Nobel e un Oscar, fino a che non è diventato un impresentabile: da tempo è scomparso da qualsisasi iniziativa pubblica del suo partito, i suoi argomenti sono scomparsi dall’agenda di Obama e all’ultima convention democratica non si è visto. Nel frattempo però, raccontava il Washington Post qualche tempo fa, diverse società da lui partecipate e che operano nel campo dell’energia verde hanno ottenuto parecchi finanziamenti da Washington.

    Ai pochi che durante la campagna elettorale chiedevano dove fosse finito il global warming nei programmi si opponeva un vago silenzio. Poi è arrivata Sandy, e l’anima liberal che vuole bene al pianeta e si commuove per gli orsi polari si è ridestata dal sonno in cui il fallimento della green economy e delle promesse obamiane l’avevano fatta piombare. L’appello a combattere il clima che cambia per colpa delle attività umane sembra però avere perso molto dell’appeal che aveva appena quattro anni fa, e difficilmente le parole di Bloomberg sposteranno voti o faranno breccia nei cuori degli americani alle prese con problemi ben più gravi come la disoccupazione. Resta la certezza – ancora una volta – che il global warming c’entra poco con la preoccupazione per la salute del pianeta e molto, invece, con la politica.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.