Attacco alla libertà di impresa

Redazione

Anche se non è piaciuta al ministro Corrado Passera, la reazione della Fiat alla sentenza che le impone di far rientrare in produzione gli ex dipendenti Fiom che non erano stati riassunti “pre discriminazione” ha un senso: rivendicare il diritto dell’azienda a stabilire la dimensione della mano d’opera necessaria a realizzare la produzione, ridotta per effetto della pesante situazione di mercato.

    Anche se non è piaciuta al ministro Corrado Passera, la reazione della Fiat alla sentenza che le impone di far rientrare in produzione gli ex dipendenti Fiom che non erano stati riassunti “pre discriminazione” ha un senso: rivendicare il diritto dell’azienda a stabilire la dimensione della mano d’opera necessaria a realizzare la produzione, ridotta per effetto della pesante situazione di mercato. Fa impressione osservare che anche commentatori  che solitamente denunciano il livello basso della libertà di mercato attribuito all’Italia non si rendano conto della lesione che a questa libertà viene inflitta dall’imposizione di una sorta di “imponibile di mano d’opera”, per giunta basato sulla suddivisione delle adesioni ai sindacati. L’imponibile di mano d’opera non è una novità nella storia italiana. Fu uno degli elementi del “compromesso giolittiano”, che conferì alle Camere del lavoro e alle coopertive della valle padana la funzione impropria di centri di collocamento, soprattutto di lavoro bracciantile nelle aziende agricole. La misura venne giustificata dall’esigenza di combattere lo sfruttamento dei lavoratori, di imporre un equilibrio ragionevole tra dimensione delle fattorie e quantità di lavoro impiegata. Ben presto però si passò all’abuso, all’esercizio di un monopolio dell’impiego che, durante e dopo il “biennio rosso” 1919-1920, provocò una rabbiosa reazione agraria alla quale le strutture del movimento operaio non ressero – e questa fu una delle ragioni del successo della reazione fascista.

    Naturalmente la situazione attuale è diversa, la scelta della Fiat di mettere in mobilità un numero di lavoratori pari a quelli che è stata costretta a riassumere non ha niente a che vedere con il foraggiamento di squadracce. Resta il problema di una imposizione dall’esterno delle responsabilità aziendali di decisioni sull’impiego di mano d’opera, che rende aleatorio ogni piano di risanamento o di sviluppo produttivo, introducendo una variabile spuria nel conto economico. Marchionne ha reagito a queste imposizioni, in difesa della sostanza di un accordo approvato dalla maggioranza dei lavoratori e che un sindacato messo in minoranza intende sabotare con una guerriglia giudiziaria che ha ottenuto per ora sentenze favorevoli. L’efficacia delle scelte della Fiat è sottoposta al giudizio dei mercati, ma deve potersi dispiegare  in base a un elementare principio di libertà d’impresa, che ha il diritto e il dovere di difendere.