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Eccessi di stabilità
Così governo e partiti mettono a rischio la ripresa. Parla Giavazzi
“Dal secondo trimestre del prossimo anno in avanti riusciremo a riprendere a crescere”. Questa è la posizione del governo, ribadita ieri dal ministro dell’Economia, Vittorio Grilli. Ma Francesco Giavazzi, economista la cui carriera ha incrociato spesso quella di Grilli sin dalla loro formazione negli Stati Uniti, è meno ottimista: “Ripresa in Italia dall’anno prossimo? Ci possiamo augurare che sia così, ma per ora non c’è nessuna evidenza che si vada in tal senso”.
Roma. “Dal secondo trimestre del prossimo anno in avanti riusciremo a riprendere a crescere”. Questa è la posizione del governo, ribadita ieri dal ministro dell’Economia, Vittorio Grilli. Ma Francesco Giavazzi, economista la cui carriera ha incrociato spesso quella di Grilli sin dalla loro formazione negli Stati Uniti, è meno ottimista: “Ripresa in Italia dall’anno prossimo? Ci possiamo augurare che sia così, ma per ora non c’è nessuna evidenza che si vada in tal senso”. Giavazzi è appena rientrato dagli Stati Uniti, dove ha presentato a economisti e membri della Federal reserve i risultati di una ricerca svolta con due colleghi, Alberto Alesina e Carlo Favero, sugli effetti della politica fiscale sul prodotto interno lordo. Il suo pessimismo è fondato sui numeri: “In due anni in Italia abbiamo fatto manovre correttive pari a 4 punti di pil. Tre punti di pil li abbiamo ricavati dall’aumento delle tasse, un punto perlopiù da minori trasferimenti dello stato agli enti locali che questi stanno già trasformando in aumenti di imposte locali. In base all’effetto moltiplicatore di questo inasprimento fiscale, dovremmo scontare quasi 5 punti di pil in meno. Se il 2012 si chiuderà a meno tre per cento, peggio di quanto si attende il governo, nel 2013 sarà difficile evitare una recessione di due punti di pil”. E se la spesa pubblica “non è il caso di aumentarla”, se “gli investimenti crescono soltanto se la domanda futura non si deprime”, continua il ragionamento Giavazzi, “allora l’unica possibilità di crescita a breve viene dall’export e quindi da una forte domanda internazionale”. In questo schema, le riforme strutturali non diventano quasi irrilevanti? “Assolutamente no. La via più virtuosa rimane quella dell’abbinamento di tagli alla spesa pubblica e riforme pro crescita, ma questo governo pare faccia fatica a imboccarla. Mario Monti ha evitato il baratro finanziario, certo. Il paese però è come un pugile suonato: il colpo più forte è arrivato dall’esterno, dalla crisi finanziaria, ma noi non abbiamo reagito. Anzi, con la nostra risposta abbiamo aggravato la situazione”. Eppure perfino il Fondo monetario internazionale ora mette in discussione l’idea che l’austerity sui conti pubblici possa avere effetti espansivi: “Il Fmi fa riferimento al moltiplicatore delle tasse. Un loro aumento per far quadrare i conti, specie in una fase di crisi, deprime la crescita. L’effetto recessivo dei tagli di spesa, invece, è minimo, soprattutto in Italia, dove la spesa improduttiva è molta. L’effetto dell’austerità sulla crescita potrebbe addirittura essere rovesciato se i tagli fossero annunciati assieme a sgravi fiscali che sostengano la domanda e a liberalizzazioni che tengano alta la fiducia di consumatori e imprese”.
Quel ministero che blocca il dossier sussidi
L’economista della Bocconi e del Mit, però, oggi ripone più speranze nella domanda estera che in una svolta domestica. “Sarebbe già positivo se le forze politiche si impegnassero a mantenere quanto fatto dai tecnici. Un accordo che per esempio vincoli il centrodestra a non fare campagna per abolire l’Imu e la sinistra a non scassare la riforma delle pensioni”. Se l’accordo non ci sarà, dice a sorpresa Giavazzi che finora ha sempre sostenuto – come il governo – l’inutilità dell’aiuto esterno, “allora meglio sottomettersi a un memorandum di impegni sottoscritti dal governo con Ue e Banca centrale europea”. Giavazzi infine non glissa sul suo ruolo di “consulente” di Monti per il dossier “incentivi alle imprese”. L’economista ha consegnato uno studio ad hoc lo scorso 23 giugno, prevedendo tagli possibili fino a 10 miliardi di euro. Ieri governo e Parlamento hanno trovato una prima intesa sulla legge di stabilità: saltano i tagli Irpef, viene soltanto in parte sterilizzato l’aumento dell’Iva. E oramai tutti i partiti incalzano Monti affinché dia attuazione al dossier-Giavazzi e recuperi risorse per detassare il lavoro. L’economista su questo però è doppiamente scettico. “Il Parlamento in questi giorni si è opposto anche a quei pochi tagli su enti locali e sanità suggeriti da Monti. Inoltre vedremo come si comporteranno i partiti all’atto pratico, quando si tratterà di eliminare 4 miliardi di aiuti già quest’anno, toccando gli interessi di settori come l’autotrasporto e la cantieristica”. Se il governo non agisce per decreto, è il ragionamento, le possibilità di successo saranno minime. “Poi non capisco questo ritardo. La Ragioneria di stato ha tradotto il mio studio in tabelle e numeri precisi già ad agosto. Sono passati oltre due mesi e ancora non ne è stato fatto nulla. Il problema, temo, è che alla gestione dei sussidi è preposta un’amministrazione. Se i tagli vengono approvati, quest’amministrazione non potrà più esercitare la sua discrezionalità”. Il ministero dello Sviluppo guidato da Passera? “Sì”.


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