
Martone spiega l'ultima sfida del governo a partiti e sindacati
Campagna elettorale in vista e spread sui titoli del debito pubblico in calo: è sufficiente quest’uno-due per far prevalere un moto controriformatore in Parlamento, come dimostra il cammino accidentato della legge di stabilità? O per far tornare imprese e sindacati sulle barricate? Il governo riflette su un possibile “calo di tensione”, ma resta fiducioso e rilancia: “Se in 11 mesi abbiamo approvato molte riforme, come ci riconoscono tutti anche in Europa, vuol dire che nei cinque mesi che ci separano dal voto possiamo fare ancora parecchio”, dice al Foglio Michel Martone, viceministro del Lavoro.
Roma. Campagna elettorale in vista e spread sui titoli del debito pubblico in calo: è sufficiente quest’uno-due per far prevalere un moto controriformatore in Parlamento, come dimostra il cammino accidentato della legge di stabilità? O per far tornare imprese e sindacati sulle barricate? Il governo riflette su un possibile “calo di tensione”, ma resta fiducioso e rilancia: “Se in 11 mesi abbiamo approvato molte riforme, come ci riconoscono tutti anche in Europa, vuol dire che nei cinque mesi che ci separano dal voto possiamo fare ancora parecchio”, dice al Foglio Michel Martone, viceministro del Lavoro. D’altronde il presidente del Consiglio, Mario Monti, ancora in queste ore invita i membri dell’esecutivo a concentrarsi, a utilizzare ogni momento utile, “testa bassa e lavorare, senza mollare”. Intanto però ieri dal Parlamento è arrivata un’altra bocciatura della legge di stabilità approvata dal governo il 9 ottobre scorso; questa volta a non superare il giudizio della commissione Ambiente sono stati i risparmi sull’illuminazione pubblica (l’operazione “cieli bui”), segnale simbolico ma che arriva dopo il respingimento dei tagli sui costi della politica, dei tagli sulla Sanità, della retroattività su deduzioni e detrazioni, e dopo il caos sul dossier esodati. “In una fase così delicata, è facile che si ceda alla paura e che per inerzia si pensi di tornare indietro”, osserva Martone. Ma il viceministro, che per conto dell’esecutivo ha già seguito in Parlamento l’approvazione della riforma delle pensioni e del lavoro, alla luce della sua esperienza dice: “Al momento della presentazione delle riforme più importanti siamo sempre stati accolti con rilievi e obiezioni. Inizialmente ha spesso prevalso una logica difensiva, poi il senso di responsabilità ha fatto sì che le riforme fossero modificate e approvate”. Oggi però la situazione è cambiata rispetto al novembre scorso, lo spettro del default si è allontanato: “I problemi del debito pubblico sono sempre lì. Lo spread tra Btp italiani e Bund tedeschi poco sopra i 300 punti non è una soluzione, deve scendere ancora per rendere accessibile il credito alle imprese”. La sensazione è che ci siano le logiche elettorali, dunque, dietro la riottosità dei partiti. Il presidente della Repubblica dovrebbe intervenire pubblicamente ancora una volta sui partiti? Il Quirinale, con il suo richiamo all’Europa e a una politica di rigore ed equità, non sta facendo mancare il suo sostegno, fa capire Martone.
“Drammatizzazione” mediatica ed esodati
Sarà, eppure la commissione Lavoro della Camera ha appena approvato un emendamento che amplia – ben oltre i piani dell’esecutivo – le tutele per gli esodati, ovvero quanti sono rimasti senza stipendio e senza pensione per effetto congiunto di accordi aziendali e riforma pensionistica. E non sono in pochi a pensare che dietro la difesa di casi particolari si nasconda la volontà di scardinare una delle riforme strutturali più importanti del governo. “L’emendamento presentato è già meno ‘radicale’ del precedente ddl Damiano, non mira a reintrodurre le pensioni di anzianità – osserva Martone, docente universitario di Diritto del lavoro – e poi lo stesso Cesare Damiano (Pd) ha detto in Aula che l’impianto della riforma va mantenuto. Resta il fatto che l’emendamento manca di copertura finanziaria…”. A Martone però non sfugge che qualcuno voglia fare degli esodati un totem ideologico: “Questo periodo è doloroso per ampie fasce della popolazione. Ma la drammatizzazione da parte di certi media non fa altro che rendere il tutto più difficile. Meglio procedere con pragmatismo, e allora osservo che già abbiamo stanziato 9 miliardi per tutelare 120 mila persone in tutto. Nessuno lo dice chiaro e tondo, ma ancora non sappiamo nemmeno se le richieste di assistenza in via di presentazione in queste settimane arriveranno a quella soglia”.
Classiche distorsioni da circo mediatico-finanziario. Esempio: siamo il paese con livelli di spesa pubblica tra i maggiori al mondo in rapporto al pil, eppure ogni volta che il governo vara misure di contenimento delle uscite ecco che viene fuori qualcuno ad annunciare che non potrà più garantire servizi fondamentali come l’istruzione o la sanità. “La spending review e la lotta agli sprechi sono un filo conduttore della politica del governo. Come vediamo anche da certe misure approvate in Francia, non è facile continuare lungo la via delle riforme quando si devono affrontare problemi – come il debito pubblico – accumulati in decenni di storia. Ma oggi, in Italia, almeno una cosa è chiara: prima si pensava che i soldi pubblici fossero di nessuno. Ora ci rendiamo conto che i soldi pubblici sono di tutti e di ciascuno, perciò non vanno sprecati. Sono un tecnico, ma questa esperienza mi ha insegnato che oramai la vera sfida della politica sarà nella capacità di gestire più problemi con sempre meno risorse pubbliche. Vincere questa sfida è anche il modo migliore per sconfiggere l’antipolitica montante”.
La Cgil e l’intesa (mancata) sulla produttività
I partiti si meritano una dose di critiche, ma padronato e sindacati non sono da meno. Monti infatti aveva chiesto alle parti sociali, sempre pronti a criticare le misure del governo, di raggiungere un accordo per rilanciare la competitività entro il 18 ottobre scorso, però non se n’è ancora fatto nulla: “Con quell’accordo saremmo stati ancora più credibili in Europa. La sfida resta fondamentale e occorre che imprenditori e sindacati recuperino presto. Finora hanno dimostrato senso di responsabilità durante la crisi, adesso devono far sì che l’aumento delle retribuzioni possa andare di pari passo con una migliore qualità del lavoro e una maggiore produttività. Il governo su questo ha fatto la sua parte, trovando 1,6 miliardi di euro per sgravi fiscali ad hoc, ma la produttività può essere incrementata soltanto all’interno delle singole aziende, grazie alla contrattazione decentrata”. La Cgil non è d’accordo, vi accusa di non fare abbastanza per i giovani e chiede di dirottare quelle stesse risorse per stabilizzare i precari: “Il governo si è già mosso in questa direzione, stanziando 240 milioni di euro per incentivare le stabilizzazioni. Ma le misure episodiche non sono la cura nel lungo termine, perciò la nostra filosofia è quella di creare opportunità. La riforma del lavoro e le misure per incentivare le start-up innovative vanno in questo senso, faciliteranno la creazione di posti di lavoro. Inoltre la legge di stabilità potrà essere modificata, ma l’impianto di fondo deve restare: il carico fiscale, finalmente non solo a parole, dev’essere spostato dalle persone alle cose. Se modifiche ci potranno essere, il mio auspicio è che si concentrino sull’alleggerimento ulteriore del carico fiscale su redditi da lavoro e i redditi bassi in particolare”. Ma la crescita, come in tutto il mondo occidentale, “potrà venire soprattutto dall’incremento della produttività. E su questo, ripeto, vedremo se le parti sociali fanno sul serio”.


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