Le parti (a)sociali

Imprenditori e sindacati in ordine sparso per far saltare i piani di Monti

Marco Valerio Lo Prete

Un mese fa Mario Monti aveva posto il suo ultimatum: entro il 18 ottobre, cioè giovedì scorso, le parti sociali avrebbero dovuto trovare un accordo per rilanciare la competitività del sistema produttivo italiano, in cambio l’esecutivo avrebbe offerto risorse per il mondo del lavoro. Nella legge di stabilità approvata due settimane fa e che da oggi è in discussione alla Camera, alla fine, Monti ha effettivamente messo a disposizione 1,6 miliardi di euro per detassare i salari di produttività. Il problema è che le parti sociali ancora latitano.

    Roma. Un mese fa Mario Monti aveva posto il suo ultimatum: entro il 18 ottobre, cioè giovedì scorso, le parti sociali avrebbero dovuto trovare un accordo per rilanciare la competitività del sistema produttivo italiano, in cambio l’esecutivo avrebbe offerto risorse per il mondo del lavoro. Nella legge di stabilità approvata due settimane fa e che da oggi è in discussione alla Camera, alla fine, Monti ha effettivamente messo a disposizione 1,6 miliardi di euro per detassare i salari di produttività. Il problema è che le parti sociali ancora latitano. Così già la scorsa settimana, mancando un’intesa di “alto profilo”, Monti è andato in Europa senza accordo in tasca da mostrare ai partner. Ora dovrà ritenersi soddisfatto se qualcosa sarà messo nero su bianco entro la fine di questa settimana. Ieri infatti non si sarebbe tenuto nessun incontro formale tra sindacati (Cgil, Cisl e Uil) e parti datoriali (Confindustria, Rete imprese Italia, Abi-Associazione bancaria italiana, Ania-Associazione Nazionale delle Imprese Assicuratrici), soltanto “contatti”. E già nel fine settimana, dopo che l’esecutivo aveva respinto un’intesa di massima tra Confindustria e sindacati non ritenuta all’altezza perché attribuiva scarso peso alla contrattazione aziendale ed escludeva piccoli e bancari, la Cgil ha lanciato una proposta giudicata “diversiva” da ambienti del governo: con gli 1,6 miliardi, “anziché defiscalizzare i salari di produttività, si defiscalizzino le assunzioni a tempo indeterminato”, ha detto la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, intervenendo a una manifestazione. Ieri il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ha risposto negativamente: “Abbiamo promesso di ridurre a tutti i lavoratori le tasse sulla parte di salario legata alla produttività. Dobbiamo mantenerlo, su questo dobbiamo insistere”. D’accordo anche il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che ieri ha parlato di altre risorse, 230 milioni per la precisione, già destinate “a sostenere l’occupazione”. Confindustria, che la settimana scorsa aveva sposato una bozza di accordo condivisa dai sindacati ma giudicata troppo poco coraggiosa da piccole imprese e bancari, ieri ha respinto “qualsiasi responsabilità – così il presidente Giorgio Squinzi – per il mancato accordo”. Ma tra alcuni partecipanti alle trattative la paura adesso è triplice: che la Confindustria preferisca non rompere con i sindacati piuttosto che osare di più, che la Cgil abbia deciso definitivamente di abbandonare il tavolo e che al ministero dell’Economia, alla vigilia di una complessa battaglia parlamentare per modificare la legge di stabilità, prevalga “chi attende il fallimento del tavolo per impegnare in altro modo le risorse a disposizione delle parti sociali”. Non fanno ben sperare le stilettate a distanza tra Camusso, che ha annunciato una nuova mobilitazione di piazza per il 14 novembre, e Fornero che prima ha detto ai giovani di essere meno “schizzinosi” sul primo lavoro, poi s’è detta disponibile ad andare in piazza per dialogare.

    Messori e le proposte di Astrid al governo
    Nell’attesa di un accordo o di un possibile intervento risolutivo dello stesso Monti, il gap di produttività e competitività con i partner europei resta invariato. Per questo anche l’associazione Astrid, presieduta da Franco Bassanini (presidente di Cassa depositi e prestiti), incalza il governo con le ricerche di un suo “gruppo di studio” ad hoc. Marcello Messori, docente di Economia alla Luiss e coordinatore del gruppo, dice però al Foglio che “non si può aumentare la produttività se non si tiene conto, oltre che del fattore lavoro, del ruolo degli imprenditori e dell’ambiente in cui operano”. L’innovazione è sempre meno “incorporata nei beni capitali” e sempre più “frutto dell’organizzazione dei processi produttivi”. Ma in Italia le innovazioni organizzative sono limitate perché le imprese “sono poco incentivate a compiere un salto dimensionale”. Le ragioni sono due: pesano le “esternalità negative, come i tempi lunghi della giustizia e l’inefficienza della Pubblica amministrazione”; inoltre “quello italiano è un capitalismo famigliare peculiare, senza separazione tra proprietà e controllo”. La proposta di Astrid, così come l’anticipa Messori, è complessa ma originale: consiste, in estrema sintesi, nel legare la dinamica salariale alla “produttività programmata” da imprenditori e sindacati. Ma, anche in questo caso, funzionerà meglio se si procederà con intese aziendali. Parti sociali permettendo.