Secondo di venti capitoli sulla biografia politica berlusconiana

Un'adorabile canaglia nella lunga estate del 1993

Redazione

Già in polemica con Raitre, alla fine di maggio Berlusconi interviene in diretta al “Processo del lunedì” di Aldo Biscardi (che di lì a pochi mesi andrà a lavorare per Telepiù). Il Cavaliere definisce il programma “diseducativo”, e contesta sia l’attenzione riservata alle sue deposizioni spontanee rese al giudice Maria Teresa Cordova nell’ambito dell’indagine sull’applicazione della legge Mammì, sia il modo in cui, nella puntata precedente, era stato posto il problema relativo all’assegnazione delle frequenze per il Giro d’Italia.

di Alessandro Campi e Leonardo Varasano

    I “nipotini di Stalin”.
    Già in polemica con Raitre, alla fine di maggio Berlusconi interviene in diretta al “Processo del lunedì” di Aldo Biscardi (che di lì a pochi mesi andrà a lavorare per Telepiù). Il Cavaliere definisce il programma “diseducativo”, e contesta sia l’attenzione riservata alle sue deposizioni spontanee rese al giudice Maria Teresa Cordova nell’ambito dell’indagine sull’applicazione della legge Mammì, sia il modo in cui, nella puntata precedente, era stato posto il problema relativo all’assegnazione delle frequenze per il Giro d’Italia. L’attacco è virulento: “Siete professionisti della mistificazione”, tuona il presidente di Mediaset. Che poi aggiunge: “Il ‘Processo del lunedì’ è stato l’agghiacciante fotografia di quello che succederebbe a tutti noi se certi nipotini di Stalin prendessero il governo dell’Italia futura”. Ora il Cavaliere ne ha la certezza: se la sinistra governasse farebbe brandelli delle sue aziende. Il presidente del Milan difende due dei suoi più stretti collaboratori, Letta e Galliani, e nella stessa telefonata scaglia saette contro il gruppo Caracciolo, “il gruppo di stampa che sta portando il paese verso soluzioni pericolose, con troppe facce da federali in giro”. A chi, in televisione o altrove, invoca Mani pulite per Mediaset, Berlusconi replica con sdegnata asprezza.

    L’intervento telefonico al “Processo del lunedì” – durato circa venti minuti, con punte di circa 5 milioni di telespettatori, a riprova dell’interesse destato dalla figura del Cavaliere – provoca reazioni fragorose. Mentre Enrico Mentana smentisce seccamente chi lo indica come “l’istigatore” dello sfogo di Berlusconi, da sinistra piove verso il presidente del Milan una gragnuola di accuse al limite dell’ingiuria. Giuseppe Giulietti, membro di spicco della Federazione nazionale della stampa (Fnsi) e dell’Usigrai, attacca il Cavaliere (“ha ormai perso il controllo dei nervi e il mitico stile vincente”) e lo provoca: “Berlusconi è a conoscenza di eventuali presenze di iscritti alla P2 nel sistema delle comunicazioni?”. Sulla stessa falsariga Vincenzo Vita, del Pds, che propone l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sull’iter che ha portato all’approvazione della “legge Mammì”. Alla reprimenda si aggiungono anche altri. Mauro Paissan (Verdi), taccia Berlusconi di debolezza e paura e auspica la fine dell’emittenza privata prodotta dal Caf (Craxi, Andreotti, Forlani). Gaspare Nuccio (la Rete), invoca ulteriori indagini sulle “scandalose storie di Telepiù” e su “tutti i favori concessi con decisioni insolitamente fulminee” al Cavaliere: “E’ bene – aggiunge il deputato – che sia fatta luce su questa lobby trasversale che in Parlamento arruola e cementa da destra a sinistra meglio di una fede politica”. A tanti, simultanei attacchi la Fininvest replica denunciando apertamente “la santa alleanza della televisione di stato e del gruppo Espresso”. “I nostri avversari – si legge nel comunicato dell’azienda del Cavaliere – pretendono non solo di aggredirci ma che la vittima si rassegni all’aggressione senza reagire”.
    La telefonata al “Processo del lunedì” segna nella vicenda personale del Cavaliere (e, in prospettiva, nella più complessa vicenda italiana) uno spartiacque. I sondaggi Abacus rendono noto che l’82 per cento dei telespettatori (con punte che lambiscono il 90 per cento se si prendono in considerazione giovani e donne) ritiene che il presidente del Milan abbia fatto bene a irrompere durante il programma di Biscardi. Quella tra Berlusconi e la sinistra italiana – nelle sue diverse forme ed espressioni – diventa ormai una guerra conclamata e di dominio pubblico. Pronta a trasferirsi ben presto nell’agone politico.

    Primi appelli dei craxiani, spunta la destra
    Con Craxi, con Berlusconi. Attorno alla metà del 1993, l’Italia è un paese ormai fortemente provato: da inchieste giudiziarie, arresti, agguati mafiosi. E soprattutto da un clima di incertezza politica e di crescente caos istituzionale, acuito dalla crisi (che appare ogni giorno di più come irreversibile) dei grandi partiti storici, in particolare della Dc e del Psi. In un contesto del genere, la personalità del Cavaliere, attivo su molti fronti, assume una crescente rilevanza pubblica, lasciando presagire agli osservatori più accorti che qualcosa stia maturando nella sua testa. Nella sua guerra ormai aperta con la sinistra, Berlusconi comincia a trovare sostenitori e potenziali alleati. A partire dai socialisti. All’inizio del giugno 1993, quando la polemica per l’intervento telefonico al “Processo del lunedì” è ancora rovente, i “Comitati pro Craxi” fondati da Maurizio Lullo si rivolgono al presidente della Fininvest perché si unisca a loro per “combattere una battaglia che in questo momento sta venendo contro la sua persona da determinati gruppi politico-editoriali che hanno già determinato scelte dell’opinione pubblica contro l’on. Bettino Craxi” (lo stile del comunicato è claudicante, ma il messaggio politicamente assai chiaro). L’invito – insidioso vista la tempesta giudiziaria che si è abbattuta sui socialisti e sul loro leader, e viste soprattutto le accuse a Berlusconi di aver lucrato sulla sua amicizia con Craxi e di esserne stato una sorta di braccio affaristico – non trova però accoglienza. Il Cavaliere, che in quelle stesse ore vede il fratello Paolo rinviato a giudizio per violazione della legge sul finanziamento ai partiti (in favore della Dc milanese), lascia che la sollecitazione socialista cada nel vuoto. Ma il richiamo all’impegno politico è ormai forte. Si tratta solo di capire verso quali strade si indirizzerà.
    In difesa di Berlusconi si schiera pubblicamente anche Franco Servello (Msi-Dn), che con il Cavaliere vanta, sulla piazza milanese, un’antica consuetudine. Il deputato missino critica apertamente il gruppo Caracciolo-Espresso e Raitre, denunciando la virulenta campagna di stampa allestita contro il Cavaliere. Per Servello si tratta di un’effettiva macchinazione che viene prima annunciata “privatamente e minacciosamente, poi sulle pagine dell’Espresso, infine si manifesta in tutta la sua geometrica potenza con titoli della Repubblica e di altre 14 testate locali ingoiate in questi anni di imperialismo editoriale”. Comincia a farsi chiara la rete politica del Cavaliere: nella sua battaglia il presidente della Fininvest può contare sia sull’apporto degli ex sodali di Craxi sia sul sostegno di una destra che si appresta a uscire dalla tradizionale marginalità attraverso la fondazione di Alleanza nazionale.
    Intanto però non si placano né le forti tensioni sociali – il 2 giugno, a Roma, in via dei Sabini, vicino a Palazzo Chigi, i carabinieri disinnescano un’autobomba: segno che l’attacco della mafia si è ormai pericolosamente avvicinato ai centri del potere nazionale – né le polemiche politico-giornalistiche. A Berlusconi, che prospetta la possibilità di un aumento della disoccupazione nel caso venga approvato il regolamento sulle telepromozioni proposto dal Garante per la radiodiffusione e l’editoria, Gaspare Nuccio replica accusando il Cavaliere di comportarsi come un imprenditore “in odore di mafia”. Mentre in Italia si vive un’allarmante tragedia sociale e istituzionale, con ordigni disseminati per la penisola in modo da spandere morte e terrore, il deputato della Rete parla esplicitamente di una possibile contiguità tra il presidente della Fininvest e la potente organizzazione criminale siciliana: l’accusa di essere una sorte di garante politico della mafia, addirittura di aver sottoscritto un patto di potere con quest’ultima, mediato dal suo fido collaboratore e amico Marcello Dell’Utri, diverrà, a partire da queste prime insinuazioni, un cavallo di battaglia dell’antiberlusconismo, sostenuto nel corso degli anni da indagini, inchieste e processi che a più riprese cercheranno di fare luce sui rapporti intrattenuti dal Cavaliere (e da suoi collaboratori) con esponenti della malavita siciliana, i cui soldi, riciclati sulla piazza milanese, sarebbero stati all’origine della sua fortunata carriera imprenditoriale.

    “Accerchiato dai neostatalisti”
    Di Berlusconi, come avverrà in maniera sempre maggiore negli anni seguenti, si parla ormai anche all’estero, dove cresce la curiosità per questo miliardario tentato – secondo molte indiscrezioni – dall’impegno politico e dal passato, si vocifera, piuttosto ambiguo. La rivista Forbes ne certifica la ricchezza complessiva, annoverandolo tra i “super ricchi”, ma tra le righe ricorda sia la drammatica situazione dell’Italia (che “continua a tremare per il terremoto e le scosse di assestamento degli scandali che hanno coinvolto centinaia di politici e imprenditori”), sia i legami politici pregressi del presidente della Fininvest (“uno dei più grandi finanziatori del Partito socialista”). E’, forse, l’inizio di un rapporto con la stampa estera che negli anni si rivelerà controverso, difficile e a tratti perfino astioso, segnato da scontri e incomprensioni, che più volte faranno dire a Berlusconi che dietro gli attacchi alla sua persona provenienti dai giornali stranieri (che spesso non sono altro che la riproposizione di antichi stereotipi anti italiani, tornati d’attualità proprio grazie all’eccentrica personalità di Berlusconi) esiste in realtà una manovra ispirata dai suoi nemici interni.
    Riconoscimenti di ricchezze a parte, il Cavaliere si sente “assediato” (un tratto psicologico ed emotivo che non l’abbandonerà mai nel corso della sua futura carriera politica). Al Corriere della Sera, il 12 giugno, dichiara di essere ormai “accerchiato dai neostalinisti”. E in effetti gli attacchi alla sua persona e al suo gruppo si moltiplicano. Perfino il segretario della Dc Mino Martinazzoli, noto per la sua mitezza, interviene, chiedendo in un’intervista che venga rotto il duopolio tra Rai e Fininvest, considerato il frutto di una legge “sbagliata”. Sempre in giugno, l’amministratore delegato della Fininvest Fedele Confalonieri viene iscritto nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta Mani pulite: per il gruppo, la cui situazione finanziaria è in questa fase particolarmente delicata, è un altro duro colpo.
    Le vicende giudiziarie e parapolitiche di Berlusconi e del suo entourage s’incastonano in un contesto di cambiamenti politici e drammatiche tensioni. Il mese di giugno si chiude con il “sì” a procedere contro Giulio Andreotti per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli e con i ballottaggi delle elezioni amministrative – le prime con la nuova legge –, che vedono ascendere alla carica di primo cittadino il leghista Marco Formentini (su cui Paolo Berlusconi, in agosto, esprimerà espressamente il proprio gradimento) a Milano, Valentino Castellani a Torino e una lunga serie di esponenti del Pds in città di medie dimensioni.

    Quando il Cav. incontrò Giuliano Urbani
    In un momento storico così opaco, il Cavaliere incontra Giuliano Urbani, un riservato professore di Scienza della politica alla Bocconi di Milano, che negli anni precedenti ha molto collaborato con la Confindustria. E’ la svolta. E’ l’incipit vero e proprio – ammantato da una qualche leggenda: ad esempio che sia stato per davvero Gianni Agnelli a consigliare a Urbani di incontrare il Cavaliere, l’unico imprenditore “pazzo” che in quel clima di caccia alle streghe si sarebbe potuto gettare nella mischia elettorale – del percorso che porterà Berlusconi all’impegno politico diretto.
    Urbani, esperto di sistemi elettorali, è convinto – ricerche alla mano – che la nuova legge elettorale maggioritaria, approvata con il referendum del 18 aprile proposto da Mario Segni, sia un pericolo per le forze alternative alla sinistra, che rischia di fare man bassa di voti e seggi approfittando della liquefazione della Dc e dei partiti laici. Ma anche un’opportunità, sostiene, se i moderati riusciranno ad aggregarsi in una qualche forma. Berlusconi viene a sapere delle convinzioni del professore e decide di incontrarlo. I due non si conoscono. Hanno un colloquio, per la prima volta, il 29 giugno, ad Arcore. E’ una discussione lunga e intensa. Il Cavaliere è profondamente allarmato sia per il futuro delle sue aziende – che rischia di veder cancellate –, sia per le sorti del paese, che rischia di consegnarsi agli odiati “comunisti”. L’indomani il presidente della Fininvest decide di entrare in azione: convoca il giovane e fido Gianni Pilo, uno dei suoi più stretti collaboratori, gli commissiona una serie di indagini demoscopiche per analizzare il mercato elettorale, e gli dice di tenersi pronto perché c’è il “rischio di dover mettere in piedi un partito”. Occorre verificare se è possibile costruire un polo opposto alla sinistra: dall’incontro con Urbani discende il primo, ancora arruffato germoglio di quella che sarà Forza Italia. I risultati delle indagini sono incoraggianti, c’è un’Italia moderata maggioritaria che però non vuole più votare per la Dc. In questo vuoto s’innesta, di giorno in giorno, il progetto berlusconiano.

    Il “progetto di fattibilità”
    Il Cavaliere ne è convinto, l’Italia deve emanciparsi “da quel tanto di socialismo reale” in cui è impantanata. L’idea iniziale è quella di un progetto sostenuto da intellettuali e imprenditori guidati politicamente da Mario Segni. Mentre un programma satirico di Raitre lo attacca, ironizzando sulla creazione del mausoleo di Arcore, l’attenzione di Berlusconi verso la politica si moltiplica. L’estate del 1993 trascorre all’insegna di un vero e proprio “progetto di fattibilità” per capire quale gradimento potrebbe trovare un nuovo contenitore politico di matrice liberaldemocratica e anticomunista.
    Il 18 luglio Eugenio Scalfari pubblica su Repubblica uno sferzante editoriale (dal titolo “Quel mucchio di spazzatura televisiva…”) in cui parla di un “connubio di ferro” instauratosi “tra Berlusconi e il rampantismo craxiano”, gettando un’ombra grave sui finanziamenti concessi alla Fininvest (pesantemente indebitata). L’accusa è esplicita: Berlusconi avrebbe avuto importanti sostegni bancari – in particolar modo da parte del Monte dei Paschi di Siena, della Banca popolare di Novara e della Banca nazionale del lavoro, come il giornalista specificherà in un intervento successivo – in virtù non di garanzie reali ma dell’intermediazione dei suoi referenti politici. L’invito è perentorio: le banche, scrive Scalfari, revochino i loro affidamenti e le loro fideiussioni (provocando così il dissesto e forse la cancellazione delle tv berlusconiane). La replica del Cavaliere, che con un articolo affidato al Giornale invita il direttore di Repubblica a fare nomi, è veemente. Berlusconi parla espressamente di “scalfarismo imperante” che avrebbe come disegno politico quello di “consegnare l’Italia al governo delle sinistre, con il Pds a far da perno e da coagulo”. La polemica non si placa e il giorno seguente Scalfari controreplica, ricorda il “vergognoso Far West televisivo” e definisce il Cavaliere “un’adorabile canaglia”: “Sì – scrive – Silvio Berlusconi è proprio un’adorabile canaglia (…), anche se più passa il tempo e più canaglia diventa”. Nella gazzarra mediatica s’inseriscono anche i dirigenti della Fininvest, offesi per le parole scritte da Scalfari, considerate lesive del loro lavoro. Ma l’episodio produce uno strascico anche nei rapporti tra Berlusconi e Montanelli, che cominciano a guastarsi. Il primo ritiene infatti che la sua replica pubblicata dal Giornale sia stata inopinatamente censurata, laddove Scalfari veniva definito “pubblico mentitore, estorsore, farabutto”. Leggenda vuole – riferita tra gli altri da Federico Orlando, all’epoca vicedirettore della testata – che dinnanzi alle proteste del suo editore Montanelli gli abbia inviato privatamente un biglietto così concepito: “Caro Silvio, nell’arte dell’imprenditoria, della fantasia, dell’immaginazione, dello spettacolo, di tutto, tu sei un genio e io un coglione. Nell’arte della polemica, il genio sono io e tu il coglione. Con un grande abbraccio, il tuo Indro”.

    Un clima da tregenda
    D’improvviso la polemica Berlusconi-Scalfari passa però in secondo piano. Tra il 27 e il 28 luglio l’Italia è nuovamente scossa dalle bombe. A Milano, in via Palestro, un ordigno provoca 5 morti. Altri due attentati, attraverso altrettante autobomba, vengono realizzati a Roma, a San Giovanni in Laterano (dove si contano 22 feriti) e a San Giorgio in Velabro. Il paese vive ormai in un clima sempre più cupo e da tregenda. Gli effetti di una simile temperie sembrano imprevedibili. Il direttore del Sisde si dimette, lo stato sembra vacillare.

    L’imprenditore più popolare
    In un’Italia smarrita e spaventata il Cavaliere – sondaggi alla mano – è uno dei pochi personaggi pubblici che sembra offrire speranza e certezze. Già nel luglio 1993, Berlusconi dà un’immagine di sé complessa e contraddittoria, gratificante e positiva, al contempo lontana (lui è troppo ricco) e vicina a quella dell’“italiano medio”. In un paese messo a dura prova da scandali, bombe e incertezza economica, non pochi italiani iniziano ad immedesimarsi nella figura, per certi aspetti prossima e rassicurante, del Cavaliere: il presidente della Fininvest sa fare i soldi, capisce di calcio, è sposato ma adora le donne, racconta le barzellette e detesta le regole. Un sondaggio Abacus fotografa questa condizione: Silvio Berlusconi supera Gianni Agnelli, leader storico e incontrastato dell’industria italiana, ed è il primo imprenditore per gradimento e notorietà.
    Le voci di una nuova creatura politica promossa dal Cavaliere iniziano a diffondersi con insistenza. Alla fine di luglio Repubblica, che lo monitora quotidianamente, parla di un nuovo partito, il “partito degli imprenditori”, “antagonista del Pds e della Lega”. Il presidente della Fininvest nega con fermezza. Intanto però c’è chi già dà credito alla sola ipotesi di un nuovo soggetto politico: il Pli si dice pronto a passi risolutivi “per favorire la nascita di un raggruppamento di centro, sul modello francese, che le emergenze del Paese richiedono per assicurare senso di responsabilità, coerenza di obiettivi e stabilità”. Tramite il loro portavoce, i liberali plaudono al possibile impegno di Berlusconi, l’unico all’interno della grande imprenditoria ad aver mostrato “una presa di coscienza”. L’ascesa politica del Cavaliere inizia così, tra le macerie, ancora fumanti, della prima Repubblica: negli anni successivi la coincidenza temporale con le bombe verrà letta come una connessione causale, generando maligni sospetti circa le ragioni effettive che sono state alla base del progetto politico-partitico berlusconiano.

    Odore di Forza Italia
    Se da un lato smentisce ogni iniziativa diretta, dall’altro lato Berlusconi continua a immaginare una nuova creatura politica. Il presidente della Fininvest inizia a cavalcare il rifiuto montante contro il vecchio sistema. Senza però trascurare le proprie aziende – all’inizio di agosto il Cavaliere pianifica l’ingresso in Borsa della Silvio Berlusconi Editore; allarga il marchio Milan a tutte le squadre del suo gruppo; segue le trattative, poi naufragate, per portare Michele Santoro alla Fininvest –, e senza rinunciare alle schermaglie con Scalfari, che definisce “un mentitore, un mistificatore, un pubblico calunniatore”.
    Berlusconi ormai “fa notizia anche se si soffia il naso”. E se il popolo dei detrattori è già nutrito e rumoroso – la Fieg, la Federazione degli editori di giornali, si schiera apertamente contro il Cavaliere, mentre Carmen Lasorella e Corradino Mineo, parlando del caso Santoro, dichiarano che non lavorerebbero mai per Berlusconi –, quello dei sostenitori, palesi o ancora solo ipotetici, cresce anch’esso di giorno in giorno. Il presidente della Fininvest lo sa e lavora al suo progetto con questa consapevolezza.
    Attorno a Ferragosto, ritiratosi in Sardegna con i più stretti collaboratori, Berlusconi ha un aspro scontro con Letta e Confalonieri, i quali tentano in tutti i modi di farlo desistere dal proposito manifestato: contribuire alla creazione di un polo moderato alternativo alla sinistra. Il loro timore è che un’esposizione diretta nell’agone politico possa danneggiare le aziende e metterle definitivamente in crisi. Nei giorni seguenti, il Cavaliere, “combattivo ma silente”, prima offre il proprio sostegno logistico e finanziario a forze e leader moderati, poi – visti i dinieghi e constatate le condizioni che porterebbero alla vittoria della sinistra – cambia decisione e comincia a circondarsi di professionisti del settore che, se necessario, siano in grado di aiutarlo a preparare il terreno per “vendere” il prodotto Berlusconi a elettori che, stando ai sondaggi, vogliono un drastico cambiamento ma non sanno bene a chi affidarsi. Comincia così a maturare l’ipotesi di una “discesa in campo” in prima persona. 
    Smentire, smentire, smentire
    L’idea di una “cosa” politica prende corpo di giorno in giorno, ma più se ne parla, nei conciliaboli politici e sui giornali, più la notizia viene smentita. Berlusconi in effetti passa giornate a incontrare politici e imprenditori potenzialmente interessati al progetto e comincia a predisporre la squadra che potrebbe eventualmente affiancarlo: sono tutti uomini della sua cerchia più stretta, manager o dirigenti delle sue aziende che in alcuni casi sono anche suoi personali amici.

    Ai primi di settembre, il Cavaliere – che Michele Santoro, in un’intervista agostana all’Espresso, definisce come “un uomo simpatico, intelligente, capace”, arrivando perfino a difenderlo: “E’ vero che Berlusconi si è fatto strada sgomitando e valendosi delle protezioni politiche che tutti conosciamo, ma è anche vero che non gli è stato mai concesso di vivere e operare in una situazione di certezza del diritto” – è più attivo che mai, anche se come al solito non gli mancano i guai sul fronte giudiziario. Nell’ambito dell’inchiesta Mani pulite, il pm Tiziana Parenti (futura candidata nelle liste di Forza Italia, di lì a pochi mesi) chiama a testimoniare Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri per far luce sui loro rapporti con la Editori Riuniti: due giornalisti – autori del volume “Berlusconi. Inchiesta sul signor TV”, in cui si parla di fallimenti, mafia bianca e rapporti con Ciancimino, Calvi e Gelli – accusano il presidente del Milan di aver “fatto di tutto” per impedire l’uscita del libro.
    “Non c’è alcun partito di Berlusconi, non c’è nemmeno in previsione alcun impegno diretto mio per quanto riguarda la politica”, dichiara il presidente di Fininvest a margine della presentazione di un master in comunicazione di Publitalia. “Credo – aggiunge – che ci sia in atto nel nostro paese un cambiamento e che in questo cambiamento ciascuno di noi debba sentirsi nel diritto e nel dovere di dare un contributo. Anch’io penso di poter fare lo stesso ma ciò prescinde completamente dal mio mestiere di editore in cui la regola è stata, è e sarà sempre un totale ecumenismo”. Berlusconi non nega di sostenere l’iniziativa politica portata avanti da Giuliano Urbani, ma in riferimento a un possibile impegno personale precisa: “E’ assolutamente impensabile che chi fa il mestiere del comunicatore possa proporsi come soggetto politico”. Ma alle smentite del Cavaliere non crede quasi nessuno. Nel numero di settembre, la rivista Prima comunicazione sostiene che Berlusconi “vuole sollecitare la nascita di una nuova classe liberaldemocratica che copra il vuoto aperto al centro”, forse impegnandosi in prima persona. Nonostante le sconfessioni, il progetto sembra totalmente di dominio pubblico. Mentre molti si chiedono su quali basi si fonderà il “partito del buon governo”, Emilio Fede si lancia nell’impresa perinde ac cadaver: “Se Berlusconi formerà un esercito, mi arruolerò e difenderò come se fosse mio quello che è di Berlusconi”. Di lì a poche ore il presidente della Repubblica Scalfaro comunica che scioglierà le Camere appena completata la riforma elettorale. E’ il 1° ottobre 1993. E’ in qualche modo, parafrasando Fede, la chiamata alle armi.

    di Alessandro Campi e Leonardo Varasano
    (2 - continua)


    Il precedente capitolo è stato pubblicato venerdì 12 ottobre scorso ed è disponibile su www.ilfoglio.it